L’Unione europea ha una leader per il quinquennio 2024-’29, anzi ha un poker di leader con un tris di donne. Negli Stati Uniti, un leader saggio, ma anziano e malfermo, il presidente Joe Biden, si fa da parte: a contendersi la Casa Bianca, restano l’ex presidente Donald Trump e quella che potrebbe diventare la prima donna presidente, Kamala Harris, ascendenze afro-americana e indiana.

La partita europea ha vincitori e vinti – anche questi principalmente donne: Giorgia Meloni e Marine Le Pen -. La partita americana non ha ancora espresso il suo vincitore – del resto, si giocherà il 5 novembre, nell’Election Day di Usa 2024 -. Ma resta l’ipotesi, non campata in aria, che Ue e Usa, nel prossimo futuro, abbiamo guide femminili: una situazione assolutamente inedita.
Che cosa ciò significhi, lo scopriremo nel prossimo futuro, se l’ipotesi di verificherà. Ma come si è arrivati a questa possibilità, di una leadership (quasi) tutta di donne, in una settimana frenetica per Ue e Usa, lo possiamo già analizzare ora. Cominciamo dai fatti più freschi, quelli americani.
Donne al comando: Usa 2024. Biden fuori, corsa si riapre fra democratici e con Trump

Fuori il candidato, viva il candidato: è la versione adattata del motto della monarchia francese, ‘Morto il re, viva il re’. Biden rinuncia a brigare la rielezione e indica come candidata democratica la sua vice Kamala Harris che, in un solo giorno. riceve donazioni per 81 milioni di dollari, ottiene il voto della maggioranza dei delegati alla convention di agosto a Chicago e coagula sul suo nome endorsement di peso, dai Clinton a Nancy Pelosi. Manca Barack Obama, che preferisce sempre restare al di sopra della bagarre
Trump chiede i danni ai democratici e a Biden. È stato frodato, dice, perché gli hanno fatto credere che avrebbe avuto come avversario un vecchio rimbambito e lui aveva pianificato tattica e spot della sua campagna in quell’ottica. Invece, adesso scopre che avrà un rivale diverso, che neppure si sa ancora con certezza chi sia, e dovrà cambiare tattica e spot: un danno anche economico notevole; e un azzardo politico.
Perché quella che pareva una vittoria ormai acquisita diventa una partita aperta. Dopo il dibattito tv tra presidente ed ex presidente, il 27 giugno, Usa 2024 s’era ridotto a un referendum sulla fragilità di Biden. Adesso, torna ad essere quello che era stato Usa 2020: un referendum pro o contro Trump. La corsa è un Gran Premio di Formula 1 dopo l’ingresso della safety car: le posizioni si compattano, i vantaggi si annullano, bisogna rifare tutto da capo.
E Trump, abituato a ironizzare sulle fragilità del rivale, si ritrova a essere l’arci-vecchio, cioè il più anziano candidato di un grande partito mai in corsa per la Casa Bianca – e, se eletto, il più anziano presidente a entrare alla Casa Bianca -.
Le virulente reazioni del ticket repubblicano, Trump e il suo vice di fresca nomina JD Vance, testimoniano disappunto, ma anche preoccupazione per il cambio in corsa democratico, repentino, ma di sicuro non inatteso: la strada che pareva in discesa torna a farsi impervia. E il confronto in tv a settembre Trump – Harris promette scintille: lei lo presenta così, “la pm e il criminale condannato, ho l’abitudine a molestatori e truffatori” – tipologie di reato per cui Trump è stato condannato -.
Attenzione!, però. Anche fra i democratici, c’è tensione e incertezza: Harris, per la nomination, parte in pole position, ma dovrà guadagnarsela di qui alla convention di agosto a Chicago. Lei comincia bene: il suo primo discorso da potenziale candidata è un elogio di Biden, il cui record come presidente è – dice – “senza precedenti”. Altro che “il peggiore di tutti i tempi”, come recita Trump.
Pur se crea incertezza e confusione, il ritiro di Biden è una scossa positiva per i democratici, che erano rassegnati e ora sono galvanizzati, nonostante debbano muoversi in un territorio largamente inesplorato, con analogie con il 1968 (decisione di Lyndon B. Johnson di non ricandidarsi e uccisione di Robert Kennedy).
“E’ l’ora di essere uniti e di battere Trump”, scrive Biden. E lo slogan di Harris gli fa eco: “Quando lottiamo uniti, vinciamo”. Il Comitato nazionale democratico assicura “un processo trasparente e ordinato” per selezionare candidato alla presidenza e suo vice. Resta da vedere se qualcuno sfiderà Harris, in vista della convention che potrebbe non essere ‘open’, cioè avviarsi senza che tutto sia già deciso. La vice di Biden ha punti di forza, ma anche debolezze: una bassa popolarità e prestazioni opache, specie sul dossier dell’immigrazione che le era stato velenosamente affidato.
C’è chi si fa da parte e sta con Harris – la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer – e chi valuta se candidarsi, come il senatore Joe Manchin della West Virginia. Se Harris la spunta, il vice sarà un uomo bianco – un tandem di donne è escluso -: nella lista dei papabili, i governatori di Pennsylvania Josh Shapiro e Kentucky Andy Beshear e il senatore dell’Arizona Mark Kelly.
Donne al comando: Ue. nomine, Ursula e Roberta ok, Giorgia a secco

Se gli Stati Uniti sono in ebollizione, l’Unione europea è un mare piatto: le decisioni sono state prese, le nomine fatte. E le destre e le estreme destre si trovano – o si mettono – fuori da tutto.
Dovevano rivoltare l’Europa come un calzino. No, scusate: quelli erano i Cinque Stelle del 2018, quando ancora avevano la verve lessicale di Beppe Grillo; e si riferivano al Parlamento italiano. Invece, le destre promettevano, in termini meno olenti, di cambiare l’Europa, ma sono più divise che mai e vengono messe alla porta, o tenute lì a fare tappezzeria durante la festa, con l’agendina dei balli desolantemente vuota.
Il giro delle nomine ai vertici delle Istituzioni europee lascia l’Italia e le destre d’Italia e d’Europa senza nulla in mano: né posti, ché comunque erano improbabili; né crediti da riscuotere o influenze da esibire. Quasi patetico, adesso, il tentativo di esibire come riscatto quello che il Trattato assegna di diritto: l’indicazione d’un commissario, che – per quel che conta – sarà pure vice-presidente, dotato d’un portafoglio d’interesse (ma attenti alle scatole vuote col bel coperchio, il Mediterraneo, l’immigrazione, la difesa).
Succede tutto tra la vigilia del Vertice europeo del 27 giugno, quando i leader popolari, socialisti e liberali dei 27 fanno le loro scelte, comunicandole ai pochi partner restanti a cose fatte, e la prima sessione plenaria del Parlamento europeo eletto a giugno, dal 15 al 18 luglio. Nella giornata finale, Ursula von der Leyen, popolare, tedesca, viene confermata alla guida della Commissione europea per un secondo mandato con 401 voti, largamente oltre la maggioranza di 361 su 720. L’intesa con Meloni, che pareva solida, quasi un’amicizia, costruita con ripetute visite in Italia e segnali di vicinanza, viene meno: Fratelli d’Italia vota contro, come la Lega. A favore, Pd e FI.
L’Italia resta fuori dai giochi anche nel Parlamento, come le era già successo nel Consiglio europeo. Forse Meloni è un po’ frastornata dagli impegni internazionali a getto continuo, dal G7 in Puglia.
La nuova legislatura del Parlamento europeo eletto a suffragio universale inizia a spron battuto: il sì a Uvdl segue la conferma, martedì 16, di Roberta Metsola, pure popolare, maltese, alla presidenza dell’Assemblea con la maggioranza più larga di sempre, 563 voti su 720.
Il ‘gotha’ europeo della legislatura 2024-’29 è completato da Antonio Costa, ex premier portoghese, socialista, presidente designato del Consiglio europeo – l’1 novembre, succederà al liberale belga Charles Michel – e da Kaje Kallas, liberale, premier estone, che sarà capo della diplomazia europea – il titolo ufficiale è alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. Tre donne su quattro, l’Ue indica la strada agli Usa?