Usa 2024 124 – Joe Biden inciampa in una serataccia, nel dibattito in diretta televisiva con Donald Trump; e Trump, che denuncia contro di lui complotti giudiziari, ha il vento in pappa di sentenze della Corte Suprema che appaiono talora paradossali e che vanno tutte a suo favore. La corsa presidenziale di Usa 2024 sembra scivolare su un piano inclinato verso un esito quasi scontato: la vittoria di Trump e il ritorno alla Casa Bianca del magnate campione di frottole ed ego-centrismo, di populismo e rivalsa.
C’è euforia nel campo repubblicano. C’è panico in quello democratico. In Europa e nel Mondo, c’è un intreccio di sentimenti diversi: chi spera nel ritorno del presidente isolazionista e imprevedibile, per restare al potere – Benjamin Netanyahu -, per vincere la guerra – Vladimir Putin – o per avere una sponda a Washington – sovranisti e populisti d’ogni dove -; e c’è chi paventa che l’increspatura nella democrazia degli Stati Uniti sia contagiosa.
Usa 2024: Biden, corsa fuori controllo, voci dal Congresso
Dopo il flop nel dibattito con Trump di giovedì scorso e le sentenze avverse della Corte Suprema, “la corsa alla Casa Bianca del presidente Biden – scrive la Cnn – sta andando fuori controllo…. E, da un giorno all’altro, dall’alba al tramonto, le cose vanno peggio…”. Il panico “a bassa intensità” diffusosi nei ranghi democratici dopo “la terribile performance” in diretta televisiva inizia a creare “controversie” nel partito, dove si sentono voci critiche.
L’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, una che di ottuagenari se n’intende – ha 84 anni e rimase speaker ben oltre gli 80 -, sostiene che “è legittimo” interrogarsi sulle condizioni fisiche e mentali del presidente candidato: vuoti di memoria, assenze, incertezze lessicali e deambulatorie “sono episodi – chiede – o sono il frutto di una condizione psico-fisica deteriorata?”.
Dalla Casa Bianca, arriva una risposta stizzita al giornalista che ripropone le domande di Pelosi: Biden non soffre di Alzheimer o di qualsiasi forma di demenza o malattia degenerativa, afferma, visibilmente irritata, la portavoce Karine Jean-Pierre. “E – aggiunge, alludendo a Trump – spero che facciate la stessa domanda anche all’altro tizio”.
Il New York Times riferisce che i passi falsi del presidente diventano più ricorrenti e preoccupanti e cita testimonianze di persone che l’hanno incontrato a porte chiuse: Biden appare sempre più spesso confuso o fiacco e perde il filo delle conversazioni. Gli episodi imbarazzanti non sono prevedibili, ma sono più frequenti quando è in mezzo alla folla o è stanco per un programma particolarmente intenso – è accaduto al G7 in Puglia -.
Come a molte persone della sua età, a Biden, che compirà 82 anni a novembre, dopo il voto, capita di storpiare una parola, dimenticare un nome o confondere un fatto, ma le défaillances si sono fatte negli ultimi tempi più frequenti, più pronunciate, più percepibili e più preoccupanti.
Il deputato democratico del Texas Lloyd Doggett è il primo esponente del Congresso a chiedere formalmente a Biden di fare un passo indietro: “Il presidente deve prendere la decisione dolorosa e difficile di ritirarsi”. Alla Camera, Doggett rappresenta il collegio di Lyndon Johnson, il presidente che si fece da parte nel 1968 e non si ricandidò, per assumere su di sé la responsabilità della guerra in Vietnam (ma i repubblicani vinsero lo stesso le elezioni).
Anche il deputato dell’Illinois Mike Quigley, che molto s’è battuto per l’ok della Camera agli aiuti all’Ucraina voluti da Biden, invita il presidente a riflettere sul rischio che una sua disfatta faccia perdere ai democratici pure il Congresso: “Dobbiamo essere onesti con noi stessi e ammettere che la performance nel dibattito non è stata solo una brutta sera”.
Usa 2024: Trump, processi al macero, verdetto rinviato
Ma i segnali più preoccupanti di una slavina democratica arrivano dai fronti giudiziari, quelli che, un anno fa, sembravano annunciare la fine di Trump, sommerso da una raffica di rinvii a giudizio: micce bagnate, anzi boomerang, per i tentennamenti di una giustizia che non è uguale per tutti e dà ai ricchi più chances di cavarsela e per la collusione di magistrati scelti fra i propri amici. I processi in fieri non saranno celebrati, e nepopure iniziati, prima dell’Election day, il 5 novembre, e rischiano di finire al macero.
E, dopo la sentenza sull’immunità della Corte Suprema, il giudice del processo di New York, in cui Trump è già stato riconosciuto colpevole di tutti i 34 reati ascrittigli, ha rinviato dall’11 luglio, com’era previsto, al 18 settembre il verdetto sulla pena, accogliendo una sollecitazione della difesa condivisa dall’accusa. Perché?, ci si chiede, visto che quel processo riguarda reati compiuti prima che Trump divenisse presidente e che, quindi, non possono essere coperti dall’immunità.
Il giudice Juan M. Merchan non è certo sospettabile di partigianeria ‘trumpiana’. Ma il fatto è che l’inchiesta contro il magnate si basa anche su elementi relativi a quando Trump era presidente, la cui accettabilità va ora vagliata alla luce della sentenza della Corte Suprema: se cioè il presidente stava agendo come presidente, sia pure per motivi abietti – ma sarebbe, comunque, immune – oppure come privato cittadino per proteggere i propri interessi. Un distinguo difficile da farsi e la cui valutazione è soggetta a eccezioni e contestazioni. Di qui la decisione del giudice di prendersi tempo per vagliare la nuova situazione, prima di pronunciarsi, fissandom una data a sette settimane dall’Election Day di Usa 2024..
Usa 2024: i sodali del magnate nelle peste
Va male solo ai sodali del magnate ex presidente. Lunedì 1 luglio, il suo guru e consigliere speciale Steve Bannon s’è consegnato a un carcere federale del Connecticut per colletti bianchi, per scontare una pena di quattro mesi per oltraggio al Congresso – non si presentò a testimoniare davanti a una commissione d’inchiesta sul 6 gennaio 2021 -.
E martedì 2 luglio, il suo avvocato Rudy Giuliani, sindaco di New York l’11 settembre 2001, è stato radiato dall’albo di New York dopo che una corte ha stabilito che fece ripetute false dichiarazioni sostenendo che le elezioni del 2020 erano state ‘rubate’.