Retorica a bizzeffe sull’Ucraina a parte, di pace ne esce ben poca, dalla ‘staffetta dei Vertici’ tra il G7 in Puglia, da giovedì a sabato, e l’incontro nel fine settimana, in Svizzera, sul lago dei Quattro Cantoni, nel castello di Burgenstock. Mentre gli antagonisti della Russia che ha invaso l’Ucraina sono riuniti, Mosca proclama la conquista d’una città nel sud dell’Ucraina: Zagirne, nell’area di Zaporizhzhia. Nel briefing quotidiano, il Ministero della Difesa russo comunica: “Le unità del raggruppamento delle forze orientali hanno liberato l’insediamento di Zagirne e hanno occupato posizioni più favorevoli”.
Non c’è replica da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo cui in Svizzera “si fa la storia”. Ma il comunicato finale della conferenza, cui partecipano oltre 90 Paesi, per lo più occidentali o filo-occidentali, non fa l’unanimità: 80 delegazioni lo avallano, una dozzina no, nonostante non ci sia nulla di inedito. Il documento chiede il rispetto dell’“integrità territoriale” dell’Ucraina invasa.
Le consultazioni al G7 e il paradossale Vertice della Pace in Svizzera, assenti il Paese con cui si deve fare la pace, cioè la Russia, neppure invitata, e praticamente tutti quelli che non la pensano come l’Occidente, a cominciare dalla Cina, producono, di nuovo, solo una raffica di sanzioni contro Mosca e chi sta con Mosca, a partire dall’utilizzo degli extra-profitti derivanti dai beni russi sequestrati: una proposta americana, che gli europei accettano un po’ ‘obtorto collo’, temendone contraccolpi; e i cui dettagli, comunque, devono essere ancora definiti – si parla di un fondo da 50 miliardi di dollari a favore di Kiev da sbloccare entro l’anno -.
A Vertici conclusi, Zelensky esulta: parla di “chiaro sostegno all’Ucraina”, espresso sia in Puglia che in Svizzera, e di nuovi aiuti. Mosca è gelidamente minacciosa: “Un passo che non porterà niente di buono”, né all’Ucraina né all’Occidente.
Ucraina: un Vertice della Pace ne tira un altro
Il Vertice della Pace fine a se stesso si conclude con l’impegno a farne un altro. Che, magari, se ci sarà la Russia, e pure la Cina, sarà una cosa seria. Quando? Non si sa, ma il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis è straordinariamente ottimista: è “certamente possibile” – dice – che possa riunirsi “prima di novembre”, ovvero prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Berna è disponibile a ospitarlo, ma tutto dipende dal lavoro che sarà fatto nei gruppi che sono stati formati e, più sostanzialmente, dall’evoluzione dei rapporti di forza sul terreno e dagli sviluppi politico-diplomatici.
La Svizzera è pure pronta ad accogliere il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende un mandato di cattura internazionale della Corte di Giustizia dell’Onu. Rispondendo a una domanda, il ministro Cassis spiega: “Se Putin venisse, potremmo derogare agli obbloghi internazionali e non arrestarlo: la nostra legge lo permette… Ma dovremo prima interfacciarci con la Corte…”.
Putin, del resto, in contemporanea al G7, e prima del Vertice di Pace, aveva messo una sua proposta sul tavolo: “Subito un cessate-il-fuoco, se Kiev si ritira dalle quattro regioni annesse e rinuncia all’ingresso nella Nato”. Dalla Puglia, s’era levato un coro di no, cui ha poi fatto eco un coro di no dalla Svizzera. Zelensky respinge la richiesta di Putin: la considera “un ultimatum”, accettarla sarebbe una resa.
Ucraina: Biden e Zelensky firmano un patto di sicurezza
Al G7, il presidente Usa Joe Biden ha presentato ai suoi partner una gamma di 300 nuove misure per isolare ulteriormente la Russia (penalizzando chi fa affari con lei) e limitare ancora gli introiti del Cremlino. Dopo un bilaterale con Zelensky, Biden firma un patto di sicurezza con l’Ucraina: è l’unica notizia che fa scattare i campanelli delle ‘breaking news’ nelle redazioni statunitensi, Puglia e Svizzera sommate insieme.
Il patto impegna gli Stati Uniti a continuare ad addestrare per i prossimi dieci anni le forze armate ucraine; ad approfondire la cooperazione nella produzione di armi e di equipaggiamenti militari; ed a proseguire la fornitura di assistenza militare e informazioni d’intelligence.
L’accordo tra Usa e Ucraina può costituire un ulteriore elemento di frizione con la Russia, ma può anche rivelarsi utile a ridurre le tensioni con Mosca: il patto, infatti, potrebbe rivelarsi un’alternativa all’adesione dell’Ucraina alla Nato, essendole già garantita la copertura americana.
Ma ci sono punti da chiarire. L’accordo non è un trattato e non sarà quindi ratificato dal Congresso, dove oggi, nel clima di campagna elettorale, potrebbe incontrare ostacoli. Questo però significa, osserva il Washington Post, che qualsiasi prossimo presidente degli Stati Uniti potrà cancellarlo, anche se l’intesa decennale mira a impegnare le future Amministrazioni degli Stati Uniti a sostenere l’Ucraina e vuole creare la cornice per uno sforzo americano a lungo termine per aiutare, sostenere e sviluppare le forze armate ucraine.
Non è ovviamente escluso che l’intesa trascenda le divisioni politiche all’interno degli Stati Uniti. Ma, d’altra parte, non è neppure escluso che Donald Trump o qualsiasi futuro presidente si chiami fuori dal patto.
Ucraina: il sostegno dell’Occidente resta, nonostante gli scossoni politici
Dal doppio appuntamento G7 / Vertice della Pace, la compattezza del sostegno dell’Occidente all’Ucraina esce confermata, nonostante l’Europa viva un momento di grandi incertezze politiche, dopo le elezioni europee.
Il voto ha dato uno scossone agli equilibri politici tedeschi: i partiti della coalizione al governo ne sono usciti tutti pesantemente sconfitti; i cristiano-sociali hanno vinto; i neo-nazisti dell’AdF sono diventati la seconda forza.
In Francia, il successo della destra è stato così netto che il presidente Emmanuel Macron, il più determinato fra i leader dei maggiori Paesi europei nel sostegno a Kiev, ha indetto nuove elezioni – primo turno il 30 giugno, ballottaggio il 7 luglio. Anche in Gran Bretagna l’appuntamento elettorale è imminente, il 4 luglio.
Per gli analisti della Cnn e di Politico, gli appuntamenti europei di questi giorni, con leader indotti ad equilibrismi per restare in sella, meritavano questo titolo: “Sei anatre zoppe e Giorgia Meloni”.
In queste condizioni, era impossibile attendersi sviluppi significativi su qualsiasi fronte dal G7, che ha infatti prodotto un documento di 36 pagine – la legge dei Vertici è che i documenti più sono lunghi meno sono significativi –; riflessioni stimolanti ma zero decisioni sull’intelligenza artificiale, anche grazie allo straordinario contributo di Papa Francesco; passi indietro rispetto all’anno scorso sui diritti, motivo di frizione fra la presidenza di turno italiana e la Francia; affermazioni ripetitive sull’economia e sui commerci, sulla democrazia e sull’immigrazione. L’Italia ha presentato ai Grandi il suo Piano Mattei per l’Africa.
Quanto all’altra guerra, in Medio Oriente, tra Israele e Hamas, nessuna iniziativa è scaturita dal G7, a parte scontati appelli al cessate-il-fuoco, alla liberazione degli ostaggi, alla moderazione verso i civili, alla distribuzione degli aiuti. Ma il fragore dei combattimenti nella Striscia di Gaza è troppo forte perché i contendenti potessero sentirli.