La Camera formulerà in giornata una richiesta perché il vice-presidente Mike Pence “dichiari Donald Trump incapace di eseguire i suoi obblighi” e invochi il XXV Emendamento. Lo dice e lo scrive, in una lettera ai deputati democratici, la speaker della Camera Nancy Pelosi: Pence avrà tempo 24 ore per rispondere, passate le quali, se non avrà risposto o avrà risposto no, la Camera procederà con l’avvio della procedura d’impeachment.
Per la Pelosi, che avrebbe l’appoggio d’una larga maggioranza dei deputati democratici, almeno 180, Trump costituisce una minaccia imminente alla Costituzione e alla democrazia statunitensi.
Non è chiaro se l’iniziativa della Pelosi sia davvero mirata a estromettere prima del termine Trump o se serva a soddisfare la sinistra democratica e a mantenere alta la pressione sulla Casa Bianca e sui repubblicani, essendo i tempi molto stretti – il mandato del magnate scade il 20 gennaio – e non essendo il Senato, che deve ‘processare’ il presidente, in sessione questa settimana.
Nella sua lettera, la Pelosi rileva l’urgenza della situazione: “Nel proteggere la nostra Costituzione e la nostra democrazia, agiremo con urgenza perché questo presidente è una minaccia imminente … Con il trascorrere dei giorni, l’orrore per l’assalto alla nostra democrazia perpetrato dal presidente si intensifica e per questo c’è bisogno di un’azione immediata”.
Secondo indiscrezioni, Pence non esclude un ricorso al XXV Emendamento ma solo se Trump divenisse più instabile. Appaiono invece altamente improbabili le dimissioni del presidente: fonti della Casa Bianca ribadiscono che Trump non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro, , ritenendo di non avere fatto nulla di male, nonostante le pressioni venute anche da alcuni esponenti del partito repubblicano.
“Mi piace il XXV Emendamento perché ci consente di sbarazzarci di Trump“, dice secca la Pelosi, in un’intervista a ’60 Minutes’. Ma anche l’impeachment, che sarebbe basato su un solo capo d’accusa, istigazione all’insurrezione, sta incassando un notevole sostegno: escluderebbe il magnate da eventuali futuri incarichi pubblici, facendo così evaporare il sogno di Trump del 2024.
La Camera potrebbe votare la messa in stato d’accusa già domani o mercoledì. Non è però chiaro quello che succederà dopo. Una delle ipotesi è la trasmissione al Senato del procedimento non subito, ma passati i primi 100 giorni della presidenza Biden, così da consentire al nuovo presidente, che non vede con favore un inasprimento delle tensioni fra democratici e repubblicani, d’incassare il via libera alle sue nomine e di affrontare le priorità della sua agenda, pandemia ed economia.
Gli ultimi dieci giorni della presidenza Trump potrebbero essere di fuoco: nuove manifestazioni sono attese a Washington domenica 17 e il giorno dell’insediamento di Biden, mercoledì 20. Avverte la Pelosi: “La minaccia di gruppi estremisti violenti resta alta”. E il sindaco di Washington Muriel Bowser chiede di rafforzare i dispositivi di sicurezza, dopo che s’è conclusa l’installazione d’una barriera tutto intorno al Congresso.
In tutta l’Unione, proseguono gli arresti e i rinvii a giudizio dei caporioni dell’attacco al Congresso di mercoledì 6. Riconosciuti nei filmati dai datori di lavoro, alcuni sono stati licenziati su due piedi. Dalle indagini, emergono particolari inquietanti, che lasciano pensare a una premeditazione dell’assalto, con i rivoltosi, giudicati “terroristi domestici” da Joe Biden, dotati di esplosivo e addirittura d’una forca fittizia con cui impiccare Pence e i “traditori”.
Ma i repubblicani che prendono le distanze dal magnate sono minacciati e contestati, Fra gli ultimi a schierarsi contro il presidente sobillatore, la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski e il senatore della Pennsylvania Pat Toomey. Minacce fisiche toccano ai senatori repubblicani Lindsay Graham e Mitt Romney.
Trump, che si sarebbe pentito di avere dato via libera a una transizione pacifica dei poteri e che non parlerebbe con Pence da mercoledì, sta lavorando alla squadra di legali per difendersi dall’impeachment: dovrebbero farne parte Rudolph Giuliani e Alan Dershowitz, che hanno già lavorato con lui nel primo impeachment, un anno fa.
Diplomatici contro Trump – (ANSA) Facendo ricorso a un canale di comunicazione utilizzato solo in circostanze eccezionali, oltre cento diplomatici hanno firmato un messaggio per protestare contro le parole del presidente Trump che mercoledì 6 hanno innescato l’assalto al Campidoglio provocando “incalcolabili danni” all’immagine degli Stati Uniti all’estero. Lo indica l’Abc.
I diplomatici hanno fatto ricorso al canale “dissent” per esprimere le loro preoccupazioni direttamente ai vertici del Dipartimento di Stato: “Dopo mesi passati a promuovere accuse infondate di frodi elettorali, respinte dalle autorità giudiziarie in decine di casi, il presidente Trump ha incoraggiato i suoi sostenitori, alcuni dei quali armati, a marciare sul Campidoglio mentre il Congresso certificava i risultati di una libera e giusta elezione presidenziale”.
Il messaggio prosegue: “Il suo incitamento ha portato ad una sommossa violenta e a cinque morti, ad atti di distruzione e a vandalismi su proprietà del governo e a danni incalcolabili al sistema democratico e alla nostra immagine all’estero”.
I diplomatici contestano la reazione “insufficiente e tardiva” del segretario di Stato Mike Pompeo: “Così come denunciamo regolarmente i leader stranieri che usano la violenza e l’intimidazione per interferire nel processo democratico e cancellare la volontà degli elettori, il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto menzionare per nome il presidente Trump”. Secondo i diplomatici, “è essenziale comunicare al mondo che nel nostro sistema nessuno, neppure il presidente, è al di sopra della legge o immune dalle pubbliche critiche”.