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Suleimani ucciso: Golfo; Usa, una storia di errori

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Ore 04.20 del 13 febbraio 1991, prima dell’alba a Baghdad: una bomba intelligente, ma non troppo, sganciata durante un bombardamento statunitense sulla capitale irachena, centra il rifugio antiaereo n. 25 nel quartiere di Al-Amirya e penetra fin dove circa 1000 persone, quasi tutte donne, bambini, vecchi, attendono che la tempesta di fuoco dal cielo cessi. L’esplosione uccide almeno 408 persone, molte ridotte in cenere. Il Pentagono ammetterà l’errore. L’operazione Desert Storm, cioè la Guerra del Golfo che all’inizio di marzo avrebbe condotto alla liberazione del Kuwait dall’invasione irachena, era in corso da circa un mese.

Notte tra il 19 e il 20 marzo 2003: l’invasione dell’Iraq inizia con un violento bombardamento missilistico su Baghdad. Il presidente George W. Bush lo decide in anticipo su quanto previsto perché l’intelligence è sicura di potere colpire ed eliminare Saddam Hussein, sui cui movimenti quella notte avrebbe informazioni precise. L’attacco causa un numero incalcolato di vittime civili, ma non danneggia in modo vitale gli apparati civili e militari iracheni e lascia indenne il rais.

La presenza militare degli Stati Uniti in Medio Oriente e in particolare nel Golfo è una storia lunga, contrassegnata da errori e tragedie: nel 1983, Beirut, allora capitale di uno Stato fallito, fu teatro di due sanguinosissimi attentati anti-americani, uno contro l’ambasciata – 63 morti, 17 i cittadini Usa – e uno contro una caserma dei marines – ne morirono 241 -.

Le tensioni tra Iran e Stati Uniti datano dal 1979, cioè dalla rivoluzione khomeinista e dalla presa d’ostaggi all’ambasciata degli Usa a Teheran, ma s’erano attenuate nel 2015: l’intesa sul nucleare tra l’Iran e Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania aveva come corollario la levata delle sanzioni. L’ascesa al potere di Donald Trump, dopo una campagna elettorale intrisa di ostilità verso l’Iran, ha però spostato indietro l’orologio della storia: denunciato l’accordo sul nucleare, ripristinate le sanzioni, punture di spillo e provocazioni si sono succedute negli ultimi mesi; e l’Iran finiva per violare, sia pure in modo dimostrativo e fino ad oggi innocuo, i patti sul nucleare.

Ecco, in sintesi, i principali passaggi dell’escalation tra Iran e Usa, ognuno dei quali è praticamente stato accompagnato da inasprimenti delle sanzioni di Washington contro Teheran e da un aumento dello spiegamento militare americano nell’area.

Il 12 maggio, quattro navi, tra cui tre petroliere, sono danneggiate da misteriosi attacchi nel Golfo. Gli Stati Uniti accusano l’Iran. Il 20 giugno, la Guardia rivoluzionaria iraniana rende noto l’abbattimento di un drone americano che aveva violato lo spazio aereo iraniano vicino allo Stretto di Hormuz. Trump annuncia una rappresaglia, ma vi rinuncia all’ultimo minuto.

Il 14 settembre, attacchi con droni e/o missilistici, rivendicati dai ribelli huthi dello Yemen sostenuti dall’Iran provocano violenti incendi a due importanti impianti petroliferi sauditi. Washington accusa Teheran, che nega ogni coinvolgimento.

A metà novembre, suscita l’ira di Teheran il sostegno di Washington alle proteste di piazza esplose nell’Iran dopo un aumento dei prezzi del carburante. Quasi in parallelo, violente proteste scuotono l’Iraq: i manifestanti contestano il governo e l’ingerenza iraniana.

Il 29 dicembre, gli Stati Uniti lanciano attacchi aerei contro basi di un gruppo filo-iraniano in Iraq, uccidendo almeno 25 miliziani. I raid sono la risposta ad attacchi contro interessi Usa in Iraq, in uno dei quali, il 27 dicembre, era stato ucciso un ‘contractor’ americano. Il 31 dicembre, l’ambasciata degli Usa a Baghdad è assediata per l’intera giornata. Trump avverte Teheran che potrebbe “pagare un prezzo molto alto”: è il prodromo all’uccisione del generale Suleimani.

L’articolo Suleimani ucciso: Golfo; Usa, una storia di errori sembra essere il primo su Giampiero Gramaglia – Gp News.

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