Sembrava uno di quegli inciampi da cui Donald Trump sa riprendersi alla grande: una piroetta, magari negando la realtà, è tutto torna a posto. Invece, la ferita ucraina, già divenuto il ‘Kievgate‘, si sta infettando e può diventare una piaga, nonostante un consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky s’assuma parte della responsabilità, attribuendosi l’iniziativa di un incontro – poi mai avvenuto – con Rudolph Giuliani, l’avvocato del presidente statunitense. Voleva spiegargli – dice – la riforma del sistema giudiziario ucraino, non parlargli dell’eventualità di un’inchiesta che coinvolga il figlio dell’ex vice-presidente democratico Joe Biden, attuale battistrada nella corsa alla nomination 2020.
In questo contesto, la prospettiva di un incontro a New York tra Trump e Zelensky, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, getta olio sul fuoco delle polemiche del ‘Kievgate’.
Trump, ovviamente, tiene il punto e non ammette la minima sbavatura nella sua condotta: dice che la sua conversazione con il leader ucraino il 25 luglio scorso fu “perfetta”. Le minacce d’impeachment dei democratici sono “una caccia alle streghe” e non vanno prese sul serio. Forse è vero che quanto si sa finora è poco per costruirci su una procedura di destituzione del presidente, così come la non condanna sul Russiagate, che non è un’assoluzione, è un terreno scivoloso: roba che Trump puoi anche riuscire a metterlo sotto inchiesta alla Camera, dove i democratici sono maggioranza, ma te lo ritrovi poi assolto al Senato, dove i repubblicani sono maggioranza.
Ma, a criticare il presidente per avere cercato d’indurre l’Ucraina ad istruire un’inchiesta sul figlio di Biden, non solo solo i democratici. Anche due candidati repubblicani alle nomination 2020, rivali di Trump alle primarie, gli danno contro. Bill Weld lo di “tradimento”: la telefonata del 25 luglio “è l’ultima prova in ordine di tempo che il magnate non dovrebbe essere alla Casa Bianca”. Joe Walsh pensa che Il ‘Kievgate’ dovrebbe innescare l’’impeachment contro Trump. Peccato, per i democratici, che Weld e Walsh rappresentino se stessi e poco altro.
Domenica, Trump ha ammesso di avere accusato Biden di corruzione nella telefonata con Zelensky, ma ha negato di volerne ostacolare la campagna. Un comportamento che Biden stesso giudica “ripugnante”. Nancy Pelosi, speaker della Camera, afferma che l’Amministrazione Trump “compierebbe una nuova grave violazione della legge” se non inviasse al Congresso la denuncia d’un agente della Cia presente al colloquio e che ne fece rapporto. Il presidente cercò di indurre Zelensky a parlare con Giuliani e mescolò politica estera e compagna elettorale, in modo piuttosto incomprensibile – è opinione diffusa negli Stati Uniti che il magnate debba augurarsi un avversario come Biden, che rappresenta l’establishment -.
Si tratta di accertare se Trump abbia fatto pressione sul neo-presidente ucraino, un attore divenuto famoso nel suo Paese interpretando il ruolo d’un presidente, prima di darsi davvero alla politica, perché danneggiasse la candidatura di Biden, forse azionando la leva dell’aiuto militare statunitense alla ex repubblica sovietica, tuttora impegnata all’Est a combattere i separatisti russi. In estate, Washington aveva temporaneamente bloccato aiuti a Kiev per 250 milioni di dollari.
Per Trump, Biden, quand’era vice di Obama, avrebbe speso la sua influenza per aiutare l’azienda energetica ucraina per la quale lavorava suo figlio Hunter. Secondo la stampa Usa, non c’è però prova che ciò sia accaduto. Nel 2015, Biden perse un altro figlio, Beau, stroncato da un tumore al cervello.