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Il governo Meloni verso il giro di boa

di Marco Severini docente di Storia dell’Italia Contemporanea all’Università di Macerata

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Tra vecchio e nuovo

Agli inizi del 2025 la premier Giorgia Meloni è volata negli Stati Uniti per cenare a sorpresa con il prossimo inquilino della Casa Bianca: il blitz, definito dal suo entourage “spettacolare”, ha scosso la politica italiana e agitato i due vicepremier che si sono diversamente ricomposti: Salvini, che avrebbe probabilmente essere sul volo oltreoceano, lo ha fatto tramite social, mentre Tajani, forse neanche informato, tramite una telefonata chiarificatrice; restano in fibrillazione le opposizioni a causa del timore che la premier abbia firmato una sorta di “cambiale in bianco a Trump”, del fulmineo abbandono di Elisabetta Belloni, dal 21 maggio 2021 a capo del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la sicurezza) e dell’accordo tra il governo italiano e SpaceX di Elon Musk per il sistema di telecomunicazioni Starlink [1].

Una buona notizia arriva dall’Iran dove è stata liberata la giornalista Cecilia Sala, trattenuta dal 19 dicembre con accuse vaghe e pretestuose nel terribile carcere di Evin (noto per trattenere gli oppositori politici in condizioni disumane) probabilmente per ritorsione nei confronti dell’arresto di Mohammad Abedini Najafabadi, il trentottenne ingegnere iraniano esperto di droni, detenuto nel carcere di Opera, la cui estradizione è stata richiesta dal governo statunitense[2].

Nella prima intervista pubblicata nel 2025 e rilasciata dalla premier a una nota giornalista italiana spiccano due elementi: la fermezza con cui accoglie i numerosi interlocutori che entrano nel suo studio a Palazzo Chigi, “una sorta di processione”, fatta da persone che vengono congedate con lo stesso ammonimento (“Non siamo obbligati a rimanere”), e la determinazione con cui difende “la serietà e la credibilità” che il suo governo offre a livello nazionale e internazionale. Si potrebbe dire niente di nuovo fin qui poiché la maggior parte dei premier si è comportata in maniera analoga con la stampa, parlando di serietà e compattezza dei governi da loro guidati, sottolineando di non avere né pentimenti né rimpianti, di aver assunto come bussola l’interesse nazionale, di essere stata chiamata alla principale carica politica in una fase complessa.

Vanno aggiunti la difesa della fiamma tricolore – riferimento evidente alla storia dell’estrema destra post-fascista – dal  simbolo di Fratelli d’Italia (partito da lei co-fondato dieci anni fa), simbolo la cui permanenza considera “non una questione all’ordine del giorno”; l’elogio di Elon Musk – il 53enne imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense, l’uomo più ricco del pianeta – definito dalla premier “un genio del nostro tempo, dipinto come un mostro”, “una grande personalità del nostro tempo, un innovatore straordinario e che ha sempre lo sguardo rivolto al futuro”, un “uomo geniale” con cui lei ha un “ottimo rapporto”, benché il reciproco punto di vista sia su alcune cose “più simile” e su altre “più distanti”; l’apprezzamento per la decisione di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, di assegnare, nella composizione del nuovo organismo “la vicepresidenza esecutiva” a Raffaele Fitto, decisione con cui è stato riconosciuto all’Italia “il ruolo che merita e lo ha fatto anche sapendo resistere alle forti pressioni della sinistra”[3].

Tuttavia il partito di Meloni ha votato contro, lo scorso luglio, alla rielezione della  von der Leyen che, comunque, è stata confermata, alla guida della Commissione esecutiva dell’UE per un secondo mandato di cinque anni, con 401 voti (più della maggioranza richiesta, 361 voti): Fratelli d’Italia, dopo lunghe trattative e non poche incertezze, ha espresso voto contrario, annunciato, irritualmente, soltanto dopo la votazione; il gruppo parlamentare dei Verdi ha votato a favore di Von der Leyen dopo aver ricevuto garanzie sulle politiche climatiche e sociali, comprese quelle per fornire alloggi a prezzi accessibili, e l’impegno a non fare accordi con l’estrema destra; Von der Leyen ha definito la sua rielezione una vittoria per i suoi sostenitori, legislatori «pro-europei, pro-Ucraina, pro-stato di diritto»[4]. Poi però, a fine novembre, i 76 parlamentari italiani nell’Unione Europea si sono divisi nella ratifica della nuova Commissione europea, approvata con 370 voti favorevoli e 282 contrari: Fratelli d’Italia, Forza Italia e Partito Democratico hanno votato a favore, mentre Lega, Movimento 5 Stelle, Europa Verde e Sinistra Italiana si sono espressi contro[5].

Il fact-checking condotto sull’intervista fatta dalla Sarzanini mostra errori e incongruenze su sette dichiarazioni essenziali rilasciate dalla premier. Così, Meloni ha detto che lo spread è nettamente inferiore rispetto alla data del suo insediamento, dato vero dal momento che il 3 gennaio 2025 lo spread valeva 117 punti base, mentre il 22 ottobre 2022 era di 233 punti base: tuttavia, la discesa dello spread è stata determinata più dall’aumento del rendimento dei titoli di Stato tedeschi che dal miglioramento del rendimento dei BTP italiani, comunque attuatosi. La dichiarazione, poi, secondo cui “La Borsa italiana ha toccato il record” è confusa, perché non si capisce cosa effettivamente intenda, ed esagerata poiché, prendendo l’andamento del principale indice di borsa italiano (FTSE MIB), sotto il governo Meloni ha raggiunto quasi i 35 mila punti, non corrispondente però al valore più alto di sempre, dal momento che nei primi anni Duemila erano stati superati i 50.000 punti. Altra incongruenza sulla frase della premier secondo cui “le agenzie di rating hanno migliorato il loro giudizio”: dall’ottobre 2022 nessuna delle tre principali agenzie di rating al mondo (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch ratings) ha mutato il proprio rating dei titoli di Stato italiano, ma due hanno cambiato l’outlook, cioè la previsione sull’andamento del rating nel medio-lungo termine (che può essere negativo, stabile e positivo): Fitch ha rivisto da “stabile” a “positivo” l’outlook italiano, mentre Moody’s l’ha elevato da “negativo” a “stabile”. L’affermazione storicamente più roboante è quella secondo la quale “abbiamo il tasso di occupazione più alto dalla Spedizione dei Mille”, dichiarazione certamente suffragata dai numeri, trattando però la storia non correttamente: nel 1862, dato più vicino all’iniziativa garibaldina del 1860, vivevano in Italia 26 milioni di persone, mentre oggi gli italiani sono poco meno di 60 milioni: quindi è praticamente scontato che in valori assoluti oggi ci siano più occupati (24 milioni, superando per la prima volta il 62 per cento) rispetto alla seconda metà dell’Ottocento; c’è una difficoltà nei riscontri, poiché le serie storiche dell’Istat con i dati mensili sugli occupati, confrontabili tra loro, arrivano fino a gennaio 2004 e non sono disponibili dati sul tasso di occupazione nell’Ottocento, anche se negli anni Ottanta di quest’ultimo il tasso di attività era del 70,6 per cento, comprendente però anche i bambini con più di 10 anni. Non è veritiera neanche l’affermazione della premier secondo cui sarebbe stato il suo governo a determinare un’inversione di rotta nell’andamento occupazionale, dal momento che l’aumento dell’occupazione è iniziato prima dell’ottobre 2022, secondo un trend in corso da anni nei Paesi dell’Unione Europea. Sul fatto che il tasso di disoccupazione sia “più basso da quando è stato lanciato il primo iPhone”, Meloni ha ragione perché all’epoca (2007) il tasso era del 6 per cento, stesso dato registrato lo scorso ottobre, anche se il calo di tale indicatore è iniziato prima dell’insediamento del suo governo. Infine, è esatta la frase, esibita con orgoglio, circa il tasso di occupazione femminile, “il più alto di sempre” con più “10 milioni di donne lavoratrici”, 53,6 per cento all’ottobre scorso, risultati mai raggiunti, anche se dal settembre 2023 in avanti il numero di occupate in Italia ha costantemente superato i 10 milioni e benché il numero di occupate risulti in crescita da prima che si insediasse il governo Meloni così come lo era prima della pandemia[6].

Dati corretti e fuorvianti

A questo punto pare opportuno tornare indietro di qualche mese, al secondo anniversario dell’insediamento della prima italiana a Palazzo Chigi. Con l’anticipo di qualche ora sulla ricorrenza, sul sito del vigente governo, presieduto da Giorgia Meloni che ha giurato insieme ai suoi ministri di fronte al Capo dello Stato il 22 ottobre 2022, è stato caricato lo scorso 21 ottobre un documento minuzioso che esalta, con tendenza alla glorificazione – o alla zuccherificazione, come avrebbe arguito lo scrittore latino Petronio – i risultati conseguiti. Peccato però che non siano tutti farina del sacco di chi ci governa da oltre due anni: dunque, su lavoro, situazione economica, immigrazione clandestina, riforma del fisco, finanziamenti alla sanità e obiettivi raggiunti nel Pnrr il governo Meloni ha riportato per certi versi dati esatti, mentre per altri ha fatto propri risultati dipendenti dal trend congiunturale.

Inoltre, come ampiamente riscontrabile sulla stampa filogovernativa, la comunicazione governativa rivela un elevato grado di propaganda politica.

Cominciando dal lavoro, è incontestabile che il governo Meloni abbia portato a casa il record degli occupati (24 milioni) e quello del tasso di occupazione (62,3 per cento), ma questi dati devono non poco sia alla ripresa dell’economia italiana post-pandemica sia al fatto che vanno inseriti in un contesto più ampio: in ogni caso, il mercato del lavoro italiano ha registrato sia la diminuzione del numero totale dei disoccupati (-97 mila unità, pari al -5,6 per cento) sia la crescita del numero totale degli inattivi, cioè di coloro che non cercano lavoro (+68 mila unità, un aumento dello 0,6 per cento), evidenziandosi pertanto una discrepanza tra occupati e condizioni reali del mercato italiano, discrepanza ancora più chiara se si analizza la condizione femminile; perché se è vero che il governo destrorso ha conseguito un risultato inedito – il tasso di occupazione femminile giunto al 53,5 per cento (10 milioni di donne occupate) –, è altrettanto certo che esso risulta inferiore a quello della  media europea, (70,8 per cento) e di Stati dell’Europa meridionale come la Spagna (66,5 per cento) e la Grecia (60, 1 per cento). La stessa affermazione del report ministeriale secondo cui il Mezzogiorno sarebbe stato trasformato nella “locomotiva d’Italia” è stata avvalorata dai dati Istat, anche se gli squilibri territoriali rimangono accentuati, con 20 punti percentuali a dividere il Nord dal Sud, e un tasso di occupazione nel secondo trimestre del 2024, pari nel Mezzogiorno al 49,3 per cento, mentre al Centro e Nord Italia risultava, rispettivamente, del 67,2 e del 69,8 per cento; l’aumento del tasso di occupazione, salito al 62,2% (+0,2 punti in tre mesi, +329.000 occupati in un anno), è stato osservato tanto nel Centro quanto nel Sud, tra le donne e tra gli over 34, rimanendo invece stabile per gli uomini e diminuendo sia nel Nord sia tra i giovani di 15-34 anni[7].

Il governo in carica si è poi vantato del fatto che il prodotto interno lordo italiano del 2023 sarebbe “più alto della media europea”, cosa quasi vera se si utilizza il Pil aggregato, con le sole Francia e Germania a precederci, mentre se si adotta come riferimento il Pil reale il dato italiano emerge come più basso (28.880 euro pro capite) rispetto alla media dell’Unione europea (29.280 euro pro capite). Ancora, dopo il saldo negativo del 2022 (-34 miliardi di euro), il 2023 ha fatto registrare un saldo commerciale positivo (+34,5 miliardi di euro), anche se il nostro Paese non è quarto al mondo, dal momento che i dati-2023 della World Trade Organization lo collocano al sesto posto. È vero che l’inflazione dell’Italia è inferiore a quella dei paesi dell’Eurozona (tasso tendenziale pari allo 0,7 per cento, contro la media nell’Unione Europea dell’1,7 per cento), grazie soprattutto a iniziative di controllo dei prezzi su cui l’attuale governo ha investito molto, come il cosiddetto trimestre anti-inflazione.

Quanto al dato sull’immigrazione clandestina, transitata dal “- 61 per cento di sbarchi tra il 1° gennaio 2024 e il 21 ottobre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, e -30 per cento rispetto allo stesso periodo 2022”, esso è corretto, ma va anch’esso contestualizzato poiché la questione non concerne solo l’Italia, bensì l’Europa intera  cosicché a fronte di un calo dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale e sulla rotta balcanica si è registrato un aumento degli sbarchi nel Mediterraneo orientale (Grecia, +57 per cento tra il 1° gennaio e il 31 luglio rispetto allo stesso periodo del 2023) e occidentale (Spagna + 153 per cento). Pertanto, la concertazione tra Meloni e Ursula von der Leyen per trattare le politiche migratorie e di come trovare intese con gli Stati africani da cui provengono gli scafi, hanno mutato la geografia del problema, ma non lo hanno risolto.

Lo stesso dato per cui il nostro Paese sarebbe primo nel vecchio continente in relazione ai fondi Pnrr, con 113,5 miliardi di euro ricevuti, per obiettivi raggiunti e stato di avanzamento risulta ingannevole poiché il primato italiano è tale in termini assoluti e non in termini percentuali, cioè questo maggior numero complessivo di traguardi e obiettivi dipende dal fatto che l’Italia ha negoziato una quota più elevata di essi rispetto ad altri Stati; senza considerare che gli obiettivi raggiunti concernono bandi, approvazioni e stanziamenti cosicché un portato definitivo si potrà ottenere solo nel biennio 2025-2026, quando si avrà una comprensione effettiva della capacità di realizzazione del Piano.

Il report parla di record anche riguardo al finanziamento del servizio sanitario (128,9 miliardi nel 2023, in termini nominali, previsto in crescita anche per il 2024 e il 2025), prevedendo, nel Documento programmatico di bilancio, una spesa sanitaria complessiva al 6,3 per cento del Pil sia nel 2024 che nel 2025, un livello che è in linea coi dati pre-pandemici, se non più basso, quindi tutt’altro che un record.

Anche sul fisco il governo Meloni ha vantato risultati errati: il livello di entrate tributarie nel periodo tra gennaio e agosto 2024, che sarebbe aumentato di 36,6 miliardi di euro (corrispondente a un +10,6 per cento) non è in linea  con quanto riportato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, nell’agosto 2024, ha certificato entrate tributarie aumentate di 25,5 miliardi di euro, pari a un + 6,9 per cento: una variazione del 10,6 per cento è presente nel report del Mef di febbraio 2024, relativo al periodo gennaio-febbraio, e quindi non coincidente con il periodo temporale riportato nel comunicato governativo[8].

Anche sul redditometro il governo è inciampato: lo strumento di accertamento sintetico del reddito (risalente al 1973), che consente al fisco italiano una determinazione indiretta del reddito complessivo del contribuente, basata sulla capacità di spesa del medesimo, sembrerebbe, leggendo il report, abolito da un decreto ministeriale: il redditometro era stato sospeso nel 2018 e il Mef, con atto del 23 maggio 2024, ha differito l’entrata in vigore di un nuovo decreto (emanato il 7 maggio 2024), con il quale il governo avrebbe introdotto nuove leggi per poter applicare nuovamente il redditometro.

Questo il commento degli analisti: “Nel complesso, quindi, ciò che si può affermare è che molti dei dati riportati dal comunicato in occasione dei due anni di governo non sono sbagliati di per sé, ma sono spesso non contestualizzati e dunque fuorvianti”[9].

Ma fuorviante è sinonimo di ingannevole, di ciò che allontana dal vero e non si capisce perché il governo in carica abbia riportato tali cifre se non per arrotondare, migliorandoli, i dati effettivamente conseguiti.

Sondaggi alla mano

Stando agli ultimi sondaggi sulla politica italiana, le tre principali forze mostrano sensibili cambiamenti che hanno consolidato la loro rispettiva posizione: una formazione leader, Fratelli d’Italia, stimata al 27,6 per cento, in crescita di 1,6 punti percentuali rispetto ai risultati delle consultazioni politiche del 2022; una principale forza di opposizione, il Partito Democratico, attestato al 22,5 per cento, 3,4 punti sopra il risultato delle politiche, uno dei punti più bassi raggiunti nella sua vicenda storica (iniziata nel 2007); e una realtà in crisi evidente di consensi, il Movimento Cinque Stelle, che vale il 13,3 per cento e comunque dà il meglio di sé nelle elezioni politiche, risultando penalizzato in quelle europee e locali.

L’elettorato ha confermato, senza apprezzabili variazioni nel corso degli ultimi mesi, queste linee di tendenza, insieme alla gara tuttora aperta tra Lega (8,6 per cento, -0,2 rispetto a due anni fa) e Forza Italia (8,1 per cento, lo stesso valore delle politiche del 2022) per assicurarsi il secondo piazzamento nella coalizione governativa. Tra le forze minori si segnala il 6 per cento di Alleanza Verdi Sinistra che valeva il 3,6 per cento alle ultime politiche e risente ancora dell’exploit alle consultazioni europee del giugno 2024 (6,7 per cento): poco più di un altro 6 per cento è appannaggio di tre formazioni, + Europa, in calo rispetto alle politiche del 2022 (2,3 per cento, -0,5), e i transfughi del cosiddetto “Terzo Polo”, Italia Viva e Azione, entrambe stimate al 2 per cento e non presenti separatamente alle ultime consultazioni politiche.

Un certo interesse desta il gradimento nei confronti del governo, stimato a un indice di 41 (“si tratta della percentuale di chi dà giudizi positivi su chi esprime un’opinione, esclusi quindi i non sa”), con una diminuzione di 3 punti rispetto a un anno fa e di 13 rispetto all’insediamento, con una contrazione meno sensibile rispetto ai recenti governi rimasti in carica più di due anni, il Berlusconi IV (2008-2011) aveva perso 16 punti, il governo Renzi (2014-2016) 23; analogo il gradimento nei confronti della prima premier donna della storia italiana, valutata a un indice di 42,  con una perdita di 2 punti percentuali nell’anno e di 16 punti rispetto al momento dell’insediamento (Berlusconi perse 10 punti rispetto all’insediamento e Renzi 22).

D’altra parte, il 71 per cento degli italiani, in aumento di tre punti rispetto alla precedente rilevazione, pensa che le cose in Italia stiano andando nella direzione sbagliata e solo il 29 per cento nella direzione giusta: le principali preoccupazioni nel nostro Paese continuano ad essere l’assistenza sanitaria (37 per cento, con un aumento di 4 punti percentuali), la disoccupazione (34 per cento, in aumento di 6 punti), crimine e violenza (27 per cento, in diminuzione di 3 punti), povertà e disuguaglianze sociali (27 per cento) e cambiamento climatico (26 per cento).

Infine, il 71 per cento degli italiani non rivela una percezione positiva dell’attuale situazione economica italiana[10].

Stile e punti qualificanti

In sostanza, l’operato del governo Meloni può essere schematizzato in alcuni punti qualificanti che evidenziano non poche ombre. A partire dall’accordo con l’Albania per fronteggiare l’immigrazione che, chiuso nel 2023, consentirebbe di trasportare nell’area di Gjader, dove il governo ha realizzato due hotspot costati 800 mila euro, tra le 35 mila e le 40 mila persone messe in salvo nel Mediterraneo dalle navi italiane.

Nel rispondere alle bordate di critiche rivolte verso questo incontestabile fiasco, Meloni ha fatto la voce grossa, circostanza che insieme alla gestualità esibita in occasioni pubbliche denota un particolare stile comunicativo della premier italiana. L’efficacia sul piano della comunicazione, che conosce bene[11] e in cui le parole prevalgono sulle cose[12], con autentici marchi di fabbrica come l’accento romano, il cui ricorso è finalizzare a far vivere il suo stile come autentico [13], e il nome di battesimo, dovrebbe essere supportata da maggiori sobrietà e understatement, dal momento che veste non una carica qualsiasi, ma la principale del mondo politico italiano. Il continuo strizzare l’occhio da parte della presidente (e non “del presidente”, come ha scelto fin dall’inizio di essere chiamata a livello ufficiale[14]: altra caduta di identità e rappresentazione femminile) allo stile pop e alla manierata autenticità, i quotidiani soliloqui social, le reazioni nervose a chi l’attacca o la pensa diversamente da lei[15], le smorfie, le faccette e le mosse che svelano l’autenticismo (la volontà di apparire autentici anche senza necessariamente esserlo, principio della retorica) sono ormai diventati un bagaglio personale.

L’accordo con l’Albania è stato criticato dalle opposizioni creando malumori e spaccature all’interno della maggioranza[16], dalla Chiesa[17], dalla magistratura albanese, che lo ha sospeso alla fine del 2023[18], in pratica “un fiasco” a cui ha espresso la propria fiera opposizione la maggioranza (55 per cento) degli italiani[19]. Quanto al piano Mattei, centrale nel progetto governativo in quanto punta a promuovere il protagonismo dell’Italia nel Mediterraneo, contrastando la migrazione illegale, il governo ha ribadito la costruzione di un “nuovo partenariato tra Italia e stati del continente africano” in ambiti comprendenti la cooperazione, lo sviluppo, lo sfruttamento delle risorse naturali, idriche ed energetiche[20]. Il tema dei migranti ha portato a relazioni difficili con Parigi, con Macron che ha cercato di smorzare i toni negli ultimi mesi del ’24 e la von der Leyen che, dopo la visita a Lampedusa lo scorso settembre, ha annunciato un piano europeo di azione in dieci punti per non lasciare da sola l’Italia ad affrontare le diverse questioni legate a sbarchi, rimpatri, lotta ai trafficanti e richieste d’asilo.

Meloni ha compiuto diversi viaggi a Tunisi per siglare un accordo bilaterale Unione Europea-Tunisia con il presidente tunisino Saied che riprende il copione di accordi passati, aiuti finanziari in cambio della promessa di maggiore impegno nel controllo dei migranti su quel territorio, unitamente a una partnership più ampia che va dalla cultura all’energia[21].

Più in generale, a livello internazionale, il governo Meloni ha confermato la collocazione atlantista ed europeista della penisola, in continuità con la tradizionale politica estera italiana.

Tuttavia, il governo Meloni, che continua a mantenere solide relazioni con governi autoritari e autocratici, come l’Ungheria di Orban, ha destato allarme, nell’estate del 2024, nella stessa Commissione europea: con un autentico schiaffo rivolto al governo di Roma, la “Rule of law report 2024” della Commissione ha maturato la convinzione che il nostro Paese stia assumendo un profilo più affine a una democratura che a una democrazia maggioritaria, tanto da richiamarlo sulla libertà di espressione, fonte di preoccupazione[22]. I passaggi-chiave di questo richiamo sono la Rai, poiché “sebbene esistano norme che mirano a garantire che i media del servizio pubblico forniscano un’informazione indipendente e pluralistica, persistono problemi legati all’efficacia del sistema di governance e di finanziamento”; l’accesso alle informazioni giudiziarie da parte dei giornalisti, la cui limitazione comprometterebbe la libertà di informare adeguatamente i cittadini; le minacce fisiche e legali, le campagne diffamatorie e le censure che i giornalisti subiscono e che compromettono la loro sicurezza. In buona sostanza, tale richiamo costituisce l’ennesimo monito dell’Europa unita affinché l’Italia sviluppi riforme urgenti per garantire la libertà di espressione e salvaguardare giornalisti e società civile[23].

Il governo Meloni si è schierato convintamente a sostegno, anche militare, dell’Ucraina nel conflitto con la Russia; sul conflitto israelo-palestinese, ha condannato il brutale attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, esprimendo verso Israele sia solidarietà sia la richiesta di moderazione nella gestione delle operazioni a Gaza, appellandosi reiteratamente alla ripresa di un dialogo sulla base della formula dei “due popoli e due Stati”; nelle relazioni con la Cina, il governo ha rinunciato al Memorandum of Understanding sulla partecipazione dell’Italia alla Belt and Road Initiative, in pratica abbandonando la cosiddetta Via della Seta, mossa prevedibile, preceduta e seguita da iniziative volte a garantire le relazioni fra Cina e Italia in un contesto collaborativo. A livello europeo, abbandonati i toni da crociata antieuropeista, Meloni si è impegnata a sostenere nell’Ue, e con l’Ue, una linea realistica e pragmatica[24].

Sullo sbandierato piano Mattei sono comparse criticità sulla principale quota del Fondo (previsto a 5,5 miliardi di euro, di cui 2,5 miliardi dalla Cooperazione allo sviluppo e 3 miliardi dal Fondo per il clima), la contrazione dei suoi “pilastri” (le infrastrutture sono sparite e sono rimasti istruzione e formazione, sanità, agricoltura, acqua ed energia) ed è cambiato l’elenco delle priorità che inizialmente erano migranti, energia e cooperazione, mentre alla fine la cooperazione allo sviluppo è divenuto il primo pilastro; d’altra parte si è registrata la ferma presa di posizione del presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki, che ha rivendicato come a nessuno sia venuta l’idea di coinvolgere una rappresentanza africana nella sua prima fase di elaborazione del piano[25].

Per quanto riguarda la giustizia, una volta abolito l’abuso di ufficio con l’approvazione definitiva della legge Nordio, firmata da Mattarella agli inizi dello scorso agosto[26]. La riforma sulla separazione delle carriere è in discussione nelle commissioni della Camera, come quella sulla Corte dei Conti, al pari delle misure per regolamentare le intercettazioni.

Sul piano delle riforme-cardine, l’autonomia differenziata è stata stoppata, nel novembre scorso, dalla Consulta su sette quesiti, colpendo al cuore l’impianto del provvedimento[27] e aprendo la strada al referendum[28]; quanto al premierato che, puntando all’elezione diretta del presidente del Consiglio, è stato definito da Meloni “la madre di tutte le riforme”[29], esso presenta un iter più lungo e, se il testo modificato da Montecitorio non venisse cambiato, basterebbero dai quattro ai sei mesi per completare le «letture» previste per una legge di rango costituzionale. Legge che però rischia seriamente di arenarsi, insieme all’annuncio della premier (“il 2025 sarà l’anno delle riforme”): la riforma potrebbe essere approvata nella primavera del 2026, in tempo per essere affidata al giudizio popolare con il referendum; nella maggioranza governativa si avverte un certo scetticismo, in virtù di ragioni politiche – nel centrodestra al momento non c’è accordo sulla legge elettorale che deve accompagnare la riforma, a partire dal «premio» da assegnare alla coalizione vincente –, ragioni che vengono celate dietro problemi di calendario[30].

Per quanto riguarda un altro cavallo di battaglia dell’esecutivo meloniano, il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro, in vigore dal primo maggio 2023, la manovra 2025 lo rende strutturale, modificandone il meccanismo di calcolo: viene ampliata la cosiddetta “no tax area”, fino a 8.500 euro previsto per titolari di redditi di lavoro dipendente e di alcuni assimilati, già introdotto per il 2024; stabilisce qualche vantaggio per i redditi bassi, nessun taglio della seconda aliquota Irpef mentre, con il riordino delle spese detraibili, peggiorano i redditi sopra i 75.000 euro[31].

Va inoltre ricordato come la terza manovra economica del governo Meloni sia diventata legge nel terzultimo giorno del 2024 con il ricorso al voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento, giusto in tempo per evitare l’esercizio provvisorio, ma senza alcun esame in commissione, suscitando le proteste delle opposizioni: secondo la leader Pd Elly Schlein la nuova legge di bilancio “certifica tutta l’incoerenza di Meloni” e “umilia la sua stessa maggioranza”, rivelandosi “senza respiro” e scaricando “tutti i sacrifici sulle spalle di chi fa più fatica”; le ha fatto eco il leader pentastellato Giuseppe Conte che ha sottolineato come siano state bocciate “tutte le nostre proposte contro il carovita, un bel pugno a chi non ce la fa”; la Cgil, che aveva scioperato lo scorso 29 novembre, l’ha definita “iniqua e controproducente per l’intera economia”, mentre Luigi Sbarra, leader Cisl, vi ha ravvisato “numerosi elementi positivi recepiti nell’interlocuzione con noi”[32].

Oltre alle politiche pro nataliste (importi a favore dell’assegno unico, benefici per le famiglie con almeno tre figli, e un mese in più di congedo parentale pagato all’80 invece che al 60 per cento) e alle iniziative sulla sicurezza (sul decreto rave, che ha portato fino a 6 anni la pena per chi organizza o promuove occupazioni per party illegali, è stata posta la questione di fiducia a fine 2022[33]), il fronte delle privatizzazioni risulta quello più intermittente della politica economica del governo Meloni[34]: quest’ultimo ha programmato, per tre anni a partire dal 2024, di effettuare cessioni di quote di partecipazione in imprese private pari, complessivamente, all’1 per cento del Pil; ma un piano concreto ancora non è stato presentato e il governo non intende cedere il controllo di imprese in settori percepiti come strategici cosicché gli spazi per raggiungere gli obiettivi del governo risultano estremamente limitati[35].

Va poi ricordato come sia stato particolarmente corposo, nei primi due anni di governo meloniano, il ricorso alla decretazione d’urgenza, con 66 fiducie incassate[36].

Deficit di classe dirigente

Se Meloni si è mossa abbastanza bene al di fuori dei confini nazionali, la sua classe politica è stata scelta soltanto attraverso nomine a lei riconducibili — tranne quelle che vanno considerate un lascito di Draghi — tutte o quasi di derivazione missina e post missina. Ma tale compagine di governo ha rivelato criticità, gaffes, imbarazzi e disavventure di vario tipo: una compagine composta da persone che “per mancanza di sensibilità o per distrazione da smartphone, non sono neanche capaci di cogliere un’opportunità davvero unica”, persone che, “con le dovute eccezioni, interpretano il loro ruolo come qualcosa di dovuto, un seggio ministeriale da cui si alzeranno solo per andarsi a sedere su un altro di maggior prestigio”; l’invito rivolto alla premier ad allargare la sua maggioranza è dunque rimasto disatteso e coloro che erano stati ipotizzati (Luciano Violante, Sabino Cassese) si sono presto defilati:

Non può essere considerata una congiura di «Fanpage» se ogni due per tre ci si imbatte in personaggi più o meno giovani che, qualora siano parlamentari, cercano la rissa e, appena si ritrovano in privato, se ne escono con simboli, slogan o canti fascisti e nazisti. Che hanno come destinatario, come nel caso più recente, persino parlamentari ebrei di Fratelli d’Italia. Un giorno viene fuori Paolo Truzzu, poi Paolo Signorelli, adesso Flaminia Pace, domani chissà. Tutti espulsi o accantonati, per carità. Ma solo dopo che le loro immagini si sono viste in tv. Mai prima. Tocca a lei far pulizia di questo mondo. Nella maniera più decisa, evidente, pubblica. E immediata. Dovrebbe cacciarli via prima che siano conosciute le immagini di questo loro modo di vivere la «dimensione privata[37].

Lo storico Roberto Chiarini, commentando il risultato del recente voto in Liguria, con la conferma del centrodestra al potere anche se la contesa elettorale era iniziata nelle peggiori condizioni possibili (cioè con il presidente uscente Toti finito prima ai domiciliari per il reato di finanziamento illecito dei partiti, poi costretto a dimettersi con l’onta di aver accettato il patteggiamento della pena), ha scritto che la vittoria del sindaco uscente di Genova Marco Bucci dovrebbe indurre la premier Meloni a una seria riflessione su due aspetti. In primis, il centrosinistra era inizialmente in vantaggio e ci ha messo, tanto per cambiare, del suo per farsi raggiungere e superare, ma la vittoria viene attribuita soprattutto al profilo di amministratore con un curriculum di “manager prestato alla politica”, dato che però risulta “l’ennesima dimostrazione” dello “stato deficitario della classe dirigente di Fratelli d’Italia”, una sorta di “handicap” che riesce a nascondere nelle elezioni politiche poiché l’elettore non sceglie la persona, ma i simboli; d’altra parte, la carenza di una classe dirigente all’altezza si evidenzia drammaticamente quando il partito sceglie gli amministratori locali, poiché in questo caso “le qualità del candidato diventano decisive”. In secondo luogo, il successo del centrodestra, portato a casa anche se solo con qualche migliaio di voti in più, si deve alla sua maggior capacità di attrarre il voto moderato, come attestano “gli alti numeri raccolti dalle liste civiche e da Forza Italia che hanno in parte prosciugato FdI” e lo stesso andamento dei flussi elettorali[38].

Di governi con una classe dirigente non all’altezza nella storia dell’Italia repubblicana se ne sono visti diversi. Ma questo in carica ha collezionato una serie di cadute e brutte figure difficilmente invidiabile: non pochi sottosegretari e ministri hanno riempito le cronache italiane negli ultimi ventisette mesi. E, al di là dell’aumento dell’occupazione ripetutamente brandito con toni trionfalistici e di alcuni traguardi conseguiti solo in parte, il governo in carica non ha portato a casa alcun risultato reale sui macro-problemi che riguardano il nostro Paese.

La Meloni, anche grazie alle crisi politiche che stanno divorando Francia e Germania, è stata definita dal quotidiano statunitense “Politico” “la persona più potente d’Europa”[39], ma a questa “potenza” corrisponde l’estrema fragilità del nostro Paese[40].

Ma se anche fosse “intestato” alla premier italiana il numero di telefono di chi da Washington o da altrove intenda colloquiare con l’Europa, Meloni ha finora perseguito, con prudenza, due uniche opzioni in continuità con il governo Draghi, il sostegno senza condizioni all’Ucraina, ponendosi “al centro dell’Europa” e respingendo “i piani neo imperiali” di Putin, e il taglio delle tasse sul lavoro, “ampliando e rendendo permanente” la riduzione del cuneo fiscale. Pertanto, secondo alcuni analisti, Meloni si troverebbe in uno scivoloso “limbo” tra attendere e agire: attendere che si consumino le difficoltà francese e tedesca, la crisi industriale italiana e le decisioni di Trump su dazi e guerre oppure intraprendere un’iniziativa che renda a livello europeo il nostro Paese leader, magari costruendo una coalizione di Stati su temi spinosi come la difesa europea e il debito comune nelle spese militati, e, all’interno, attacchi le spese improduttive e gli sconti fiscali, investendo in sanità e cultura[41].

Tra l’altro, qualcuno si è domandato, come avrebbe potuto essere all’altezza il nuovo ceto dirigente? E cioè, come avrebbe potuto essere dotato di “senso democratico e delle istituzioni”, come avrebbe potuto essere formata da “servitori dello Stato competenti, affidabili”[42]?

In una società egoista e iper-capitalista, divorata dal conformismo, dalla pubblicità pervasiva e dai social onnivori e in un’Italia in cui il peso della burocrazia e delle corporazioni – ce ne sono di ogni tipo e a qualsiasi latitudine – appare sempre più pervicace e ossessivo, ci si poteva attendere un cambio di marcia solo sognando o facendosi catturare da belle intenzioni. Soprattutto con il 50 per cento circa dell’elettorato che diserta le urne: la metà di chi non vota è stato suddiviso a sua volta tra un 30 per cento cronico, cioè che non tornerà mai più in cabina elettorale, e un 20 per cento possibilista, che cioè potrebbe tornarvi a fronte di una particolare congiuntura. Alle elezioni europee dello scorso giugno, che hanno confermato Fratelli d’Italia primo partito, ha votato, nella penisola, soltanto il 49,69 per cento degli aventi diritto, meno di un italiano su due[43].

Reale, apparente o volontario, l’astensionismo è un fenomeno complesso, con diverse cause, come la disaffezione nei confronti della politica e dei partiti e la difficoltà di partecipare al voto, e in crescita costante in Italia: ma è anche un tema che ha alimentato un ampio dibattito, anche si sia cominciato a trattarlo solo dopo le elezioni politiche del 1979 che hanno segnato un’inversione di tendenza nella storia elettorale nazionale[44].

La recente proposta di riforma costituzionale depositata da Azione, prevedente l’introduzione di un nuovo articolo nella Costituzione (133-bis) concernente l’organizzazione di tutte le tornate elettorali previste ogni anno in un’unica data (un election day annuale nazionale), anche per frenare l’astensionismo, richiede coordinamento e programmazione in anticipo e appare un sentiero difficilmente praticabile[45].

Venti di guerra e di violenza

Oltre a tirare un’aria di destra e di autoritarismo nel vecchio continente e in diversi Paesi importanti del globo, continuano ad aumentare le guerre e i conflitti nel mondo, il cui numero è giunto a 56, il più alto dalla fine della seconda guerra mondiale, come riporta il Global peace index, pubblicato nel giugno 2024 dall’Institute for Economics & Peace: l’Islanda resta il Paese più pacifico del mondo, posizione mantenuta dal 2008, in compagnia di Irlanda, Austria, Nuova Zelanda e Singapore; l’Italia occupa il 33° posto, davanti a Paesi come l’Inghilterra, Svezia e Grecia; lo Yemen, dilaniato da un decennio di guerra civile, che era 25° l’anno scorso, è il Paese meno pacifico al mondo, seguito da Sudan, Sud Sudan, Afghanistan e Ucraina; il divario tra i Paesi più e meno pacifici del mondo risulta oggi più ampio di quanto non sia mai stato negli ultimi 16 anni; l’Europa è la regione più pacifica del mondo e ospita otto dei dieci paesi più pacifici, mentre Medio Oriente e del Nord Africa sono le aree meno pacifiche del mondo; inoltre, aspetto tutt’altro che secondario aumenta il rischio di conflitti più grandi[46].

La stessa società italiana risulta sempre più violenta: nel 2021 il tema di violenza e criminalità nel nostro Paese era al 17 per cento, nel 2024 è salito di ben sei punti; al primo posto si trova il vandalismo (55 per cento), seguito da furti di auto (48) e in appartamento (43), consumo di stupefacenti (43), spaccio di droghe (38), ma soprattutto dalla violenza sulle donne (30) e dalle gang (28); inoltre, il 27 per cento degli italiani ha denunciato, tra 2023 e 2024, la crescita dei tassi di violenza nel proprio quartiere; incrementi analoghi si sono registrati in Svezia (32), Francia e Germania (27), Spagna (25), Gran Bretagna e Usa (24). La violenza, come ha sottolineato il sociologo francese Loïc Wacquant, non può essere dissociata dalla povertà e dell’esclusione sociale[47].

Per quanto riguarda i femminicidi – reato per cui ribadiamo non esistere una fattispecie nella giurisprudenza nazionale –, il numero è passato dai 108 del 2023 ai 110 registrati nel 2024[48].

Come già sottolineato su queste colonne, dai 17 milioni di euro stanziati dal governo Draghi per il 2022 siamo passati a 5 milioni stanziati dal governo Meloni per il 2023, con una decurtazione del 70 per cento; inoltre i diritti di donne e persone Lgbt+ sono regrediti; non è stata varata una legge di contrasto alla violenza e alla discriminazione basata sul sesso, sul genere e l’orientamento sessuale; scarseggiano i dati relativi ai discorsi e ai crimini d’odio contro la comunità Lgbtqi e sulla tutela dei diritti delle coppie omogenitoriali; la legge 194 è risultata inapplicata in alcuni territori, per via dell’elevata percentuale del personale obiettore di coscienza. D’altra parte, quanto fatto dal governo è davvero troppo poco poiché, oltre al suddetto taglio, si è limitato ad impegnarsi nell’ottica di protezione e prevenzione, con il ripristino della Commissione antifemminicidio, senza peraltro occuparsi della formazione[49]. Va ricordato che, secondo la convenzione di Istanbul (2014), gli Stati dovrebbero intervenire per promuovere cambiamenti socioculturali destinati a contrastare “qualsiasi ogni forma di violenza e fornire una risposta globale alla violenza contro le donne”, dato che la violenza nasce dalla disuguaglianza strutturale tra uomo e donna, che è radicata nei tradizionali ruoli di genere[50].

Preoccupazioni per la cultura e per la storia

Non esistono solo economia, finanza e politica estera in uno Stato democratico. Anzi la sua funzionalità viene spesso valutata da come progredisce, sotto ogni punto di vista, la sua popolazione e dalle capacità di porre in essere riforme valide e costruttive sulle principali questioni (sanità e cultura le più urgenti). Sul piano culturale, la regressione del nostro Paese è continua, incessante, senza sosta. Per il 2025 si annunciano nuovi pesanti tagli, a partire proprio dall’università e dalla ricerca (più di 200 milioni all’anno per un triennio)[51] e dal comparto dedicato alla cultura. L’Italia si colloca agli ultimi posti per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura rispetto al Pil, con uno 0,3 per cento, davanti solo a Irlanda, Grecia e Cipro (0,2 per cento); il dato è inferiore alla mediaUnione Europea (0,5 per cento, equivalente a circa 75 miliardi di euro) e anche in rapporto al bilancio complessivo dello Stato, l’Italia resta fanalino di coda: con una quota dello 0,5 per cento, si posiziona accanto a Cipro e supera appena la Grecia (0,3 per cento). I dati Eurostat esplicitano una tendenza della spesa pubblica italiana per la cultura in diminuzione: la legge di bilancio 2023 aveva stanziato 3,84 miliardi di euro per il Ministero della Cultura, cifra scesa nel 2024 a 3,55 miliardi, mentre si prevede un ulteriore calo nel 2025, con risorse stimate a 3,1 miliardi[52].

D’altra parte, il rapporto annuale “Io Sono Cultura” aveva ricordato, qualche mese fa, come la cultura sia per l’Italia anche un “formidabile attivatore di economia”, anzi “una filiera, in cui operano soggetti privati, pubblici e del terzo settore”, filiera che, nel 2023, è cresciuta sia dal punto di vista del valore aggiunto (104,3 miliardi di euro, in aumento del +5,5 per cento rispetto all’anno precedente e del +12,7 per cento rispetto al 2019) che su quello dell’occupazione (1.550.068 lavoratori con una variazione del +3,2 per cento rispetto al 2022, a fronte di un +1,8 per cento registrato a livello nazionale). Ma c’è ancora tanto lavoro da fare, visto che i Comuni destinano solo il 28% della spesa in conto capitale alle attività culturali. D’altro canto, aumenta il recupero dei livelli pre-pandemici e torna a crescere il Mezzogiorno, anche se la distanza rispetto al resto del Paese continua a risultare marcata. Analizzando le dinamiche della produzione nazionale dei settori culturali e creativi, continua la crescita del settore dei Software e Videogiochi, che si conferma il maggiore generatore di ricchezza della filiera con 16,7 miliardi di euro di valore aggiunto (il 16 per cento dell’intera filiera, +10,5 per cento rispetto al 2022) e con un incremento dei posti di lavoro di oltre 16 mila unità (il 13,1 per cento della filiera, +8,7 per cento rispetto al 2022), confermando come la componente legata al mondo business abbia fortemente puntato sulla digitalizzazione; al secondo posto per ricchezza prodotta e numero di occupati si colloca il comparto Editoria e Stampa, con valori rispettivamente pari a 11,5 miliardi di euro (l’11,1 per cento della filiera, +2,7 per cento rispetto all’anno precedente) e più di 196 mila addetti (il 12,7 per cento, +0,7 per cento)[53]. Complessivamente il sistema culturale italiano attiva quasi 272 miliardi di euro, pari al 16 per cento dell’economia nazionale. Peraltro, rapportando l’Italia alla media mondiale risulta che per ogni euro investito nel settore, si generano 1,8 euro di profitti diretti e indiretti, dunque una cifra inferiore rispetto alla media, che mostra quanto ancora si possa crescere in tale ambito[54].

L’allarmante dilatazione di eventi culturali non è certo sinonimo di accresciuta qualità: che dire infatti del proliferare di kermesse, eventi, premi letterari in ogni mese e a ogni latitudine? La stessa crescita di “capitali” (della cultura, del libro, dell’arte contemporanea, della cultura mediterranea etc.) ha svelato come la promozione dell’aspetto culturale in Italia sia generalmente poco efficace; e l’iniziativa che qualche addetto ai lavori metteva in capo al governo per sferrare “guerra” a una delle ultime roccaforti sinistrorsa e radicale (l’università) per avviare le principali riforme culturali del nostro Paese[55] appare al momento poco più che un’utopia.

I problemi strutturali sono altrove e non sembra interessino più di tanto il governo Meloni: gli ultimi dati Eurostat ci dicono che solo il 35 per cento della popolazione sopra i 16 anni di età legge un libro all’anno, terza percentuale più bassa davanti a Romania e Cipro; l’indagine condotta dall’ufficio statistico dell’Ue non si basa sui numeri delle vendite dei libri, ma sulle interviste condotte a campione di popolazione nei diversi Stati membri e include, tra le abitudini di lettura, i libri, gli eBook e gli audiolibri letti nel tempo libero, mentre non sono considerati i libri letti in contesti scolastici o per motivi di lavoro[56].

Secondo l’ultimo rapporto Istat, il 60,7% degli italiani sopra i 6 anni non ha letto neanche un libro nel corso del 2022. E sulla base dei dati forniti dall’Aie (Associazione Editori Italiani) si pubblicano quasi 300 libri al giorno (60.000 nuovi titoli ogni 365 giorni) seguendo il motto degli editori secondo cui bisogna pubblicare di più per sopravvivere, poiché questo richiede il meccanismo di distribuzione e di vendita. Siamo diventati un popolo di grafomani, mentre neanche tanto tempo fa lo eravamo di lettori[57].

In questo quadro ci sono due aspetti tra loro collegati, di cui quasi nessuno parla, che destano notevole preoccupazione: la mancanza di originalità e creatività e la continua crescita di nuovi scrittori e romanzieri che vedono nel mondo dell’editoria un’occasione per raggiungere successo; c’è poi una tendenza sempre più marcata a pescare nella storia – in particolare quella contemporanea – per individuare uno o più temi da stravolgere romanzandoli, cambiando nomi e occultando o misconoscendo i dovuti riferimenti.

La trilogia di “M” di Antonio Scurati, che ha già suscitato un ampio dibattito anche per i clamorosi errori commessi (tra sviste, incongruenze e anacronismi denunciati dagli storici)[58] e per i toni grevi, enfatici e da cliché[59] – e di cui esce il 10 gennaio 2025 una serie Sky, con protagonista uno degli attori più richiesti dal nostrano mercato cinematografico: Meloni ha annunciato, nella conferenza del 9 gennaio che non lo vedrà – è il caso più noto di romanzo basato sul dittatore del secolo scorso che ha imposto un regime autoritario e totalitario alla storia italiana.

Fatta salva la libertà di ognuno di scrivere su qualsiasi cosa, consiglio a chi voglia conoscere la vicenda di Benito Mussolini e del regime fascista la lettura delle 7 mila pagine, racchiuse in otto volumi e scritte durante un trentennio da Renzo De Felice[60]; e per chi fosse intimorito da tale mole, suggerisco pur sempre uno storico rispetto a un romanziere, cominciando da Emilio Gentile[61] e proseguendo con diversi altri, o in alternativa le pagine sempre utili dedicate al regime fascista da un evergreen su cui si sono formate le precedenti generazioni come la Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro[62].

La storia è una disciplina complessa che si situa, in un frangente di complessa trasformazione come l’attuale, in un punto di congiunzione tra le scienze umanistiche e sociali, dialogando con numerosi altri comparti dello scibile umano; i suoi professionisti si ritrovano a fare i conti con un novero di competitor progressivamente dilatato, mentre la storia va conosciuta e utilizzata in quanto disciplina scientifica, rispettandone caratteristiche, metodo e deontologia ed evitando le strumentalizzazioni e gli utilizzi impropri che risultano sempre più frequenti.

Allegoria delle formiche

Nella prima conferenza stampa della premier di questo 2025, promossa giovedì 9 gennaio dall’Ordine dei Giornalisti e Associazione della Stampa Parlamentare, è andata in onda la versione opposta della Meloni vista nel comizio di Atreju, una versione ingessata e istituzionale. Giacca chiara e camicia bianca, occhi stanchi e sguardo serio (solo a tratti smorzato da sorrisi contenuti), gestualità a tratti mimica e teatrale in nome del citato autenticismo, qualche errore formale (di concordanza e di numero, con scambio, quasi freudiano, tra Trump e Musk), Giorgia Meloni ha risposto nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera alle 40 domande (più una) di giornalisti (160 gli accreditati, compresa la stampa estera) nella conferenza stampa spostata per il secondo anno di fila a inizio gennaio, durata due ore e mezza; presenti i ministri Nordio e Foti, il sottosegretario Mantovano, qualche parlamentare di FdI e diversi dirigenti Rai. Meloni è parsa sicura e orgogliosa del proprio operato, rivendicando che il suo è finora “il settimo governo per longevità nella storia d’Italia su 68 governi” e rassicurando di procedere “a grandi falcate per scalare ulteriori posizioni”; ha ringraziato l’Ordine dei giornalisti e il presidente Carlo Bartoli, dicendosi loro “collega”, anche se ha subito dichiarato di non doversi difendere “dalla previsione di rappresentare un limite e un problema per la libertà di stampa e dunque per la democrazia” (“un po’ mi stupisce che si metta insieme nello stesso intervento l’idea che questo Governo intenda comprimere i diritti della stampa da una parte e dall’altra, cito testualmente, l’opera attenta e tenace di sostegno all’impresa giornalistica svolta dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria guidato dal Sottosegretario Barachini”); ha sottolineato di aver risposto, nel 2024, a 350 domande dei giornalisti, “più di una al giorno” e, con un certo nervosismo, di aver trovato “virgolettate sui giornali dichiarazioni”  che le vengono attribuite di cose che non solo non ha detto, ma neanche pensato, soggiungendo di aver “rispetto per il lavoro dei giornalisti” e chiedendolo per il proprio. Numerosi i temi affrontati, dal caso Cecilia Sala, affrontato con cautela (per la cui liberazione, frutto di una triangolazione tra Italia, Stati Uniti e Iran e di un lavoro d’insieme, ha provato “un’emozione enorme”) alle indiscrezioni (smentite da Palazzo Chigi) su colloqui avanzati con la Space X di Elon Musk, oggetto di sei domande, con cui non ha parlato di Starlink; la premier ha precisato  che Musk non è “un pericolo per la democrazia” (in caso è Soros ad attuare “una pericolosa ingerenza negli affari degli Stati nazionali”); ha poi detto che Elisabetta Belloni se ne è andata non per il caso Sala e le sue dimissioni le sono state notificate prima di Natale, concordando con l’interessata di divulgarle a vacanze concluse; ha citato tre volte papa Francesco (“che ringrazio”…), come in relazione all’annosa questione delle carceri, la cui “capienza” va adeguata alle necessità, “perché questo fa uno Stato serio”;  sull’Albania Meloni ha precisato che le pare che “le sentenze della Cassazione diano ragione al governo”, confermando che i centri “sono pronti per essere operativi”. Ci sono stati momenti leggeri, come la domanda fatta dal direttore dell’agenzia Vista, Alexander Jakhnagiev, se la premier calpesti le formiche – un’autentica allegoria – che l’ha colta di sorpresa, e nervosi come le risposte riguardanti la sorella Arianna (“mi ha molto incuriosito questo continuo voler raccontare attorno alla figura di Arianna Meloni cose che non erano vere alla prova dei fatti”) e Matteo Renzi. Infine, quanto alla ciccia, cioè ai provvedimenti più importanti in calendario (premierato, riforma della giustizia, autonomia differenziata, “tutte riforme necessarie” e “priorità” come “la riforma del fisco” su cui sono stati approvati “17 tra decreti attuativi e testi unici” e si punta “a chiudere nel 2025 tutti i testi unici in materia tributaria, se riusciamo anche a fare il codice tributario, che ricordo era un obiettivo di Ezio Vanoni”), Meloni ha auspicato di poterli portare a casa entro la fine della legislatura, non sgomberando dubbi sull’effettivo iter di essi: “per me l’importante è portare a casa le riforme e consentire agli italiani, se non si troveranno, come ragionevolmente non si troveranno, di esprimersi con un referendum su queste materie”; l’unica lente di valutazione, per la premier che ha tagliato corto sul futuro (“valuterò se ricandidarmi”), rimane “l’interesse nazionale”[63].

Il quale, però, è rimasto molto sullo sfondo della conferenza della premier: di lavoro, bollette, pensioni (in serata è uscita la comunicazione sui mesi in più che si dovranno fare per maturare la pensione), insomma dei reali problemi degli italiani si è parlato poco e non solo perché le domande dei giornalisti hanno virato altrove. Le formiche si attendevano un’altra comunicazione, ma forse non più di tanto. Nel loro realismo esse sanno valutare l’essenziale: la “madre di tutte le riforme” si è trasformata in una delle tante priorità di questo governo prossimo al giro di boa.

Senigallia, 10 gennaio 2025

 

[1] Monica Guerzoni, Meloni, Trump e Musk: il «blitz spettacolare» della premier e l’insofferenza di Salvini e Tajani, “Corriere della Sera”, 7 gennaio 2025; Elisabetta Belloni lascia il vertice dei servizi segreti: «Via dal 15 gennaio, ho già comunicato le dimissioni», “Corriere della Sera”, 6 gennaio 2025.

[2] Cecilia Sala rilasciata: è in aereo verso l’Italia, “la Repubblica”, 8 gennaio 2025.

[3] Fiorenza Sarzanini, Giorgia Meloni: «Musk un genio dipinto come un mostro. Togliere la fiamma dal simbolo di FdI? Mai stato all’ordine del giorno», “Corriere della Sera”-7, 3 gennaio 2025.

[4] Elena Tebano, Il sì alla Commissione Von der Leyen bis (con il no di Meloni), “Corriere della Sera”, 19 luglio 2024.

[5] Matteo Negri, Come hanno votato i partiti sulla nuova Commissione europea, “Pagella Politica”, 28 novembre 2024.

[6] Carlo Canepa, Il fact-checking dell’intervista di Meloni a Sette, “Pagella Politica”, 7 gennaio 2025.

[7] Lavoro, Istat: +329mila occupati in un anno, “La Stampa”, 12 settembre 2024.

[8] Vincenzo Piccolo, Torna il redditometro: il nuovo decreto ministeriale riattiva lo strumento di accertamento fiscale, “Milano Finanza”, 22 maggio 2024.

[9] Elisa Latora, Alessandro Ricciardi, Eleonora Trentini, Due anni di governo Meloni tra dati e narrativa, in lavoce.info, 25 ottobre 2024.

[10] Ibidem.

[11] Luigi Crespi, La comunicazione politica di Meloni, oltre i pregiudizi e le partigianerie, “HuffPost”, 8 gennaio 2024.

[12] Marco Belpoliti, Giorgia Meloni, il marchio nel nome, “la Repubblica”, 29 aprile 2024.

[13] Paolo Conti, La Roma di Giorgia la leader, “Corriere della Sera”, 27 settembre 2022; Antonio Santamato, A lezione di retorica con Flavia Trupia: ecco come parlare in pubblico, “Fortune Italia”, 26 dicembre 2022.

[14] Meloni va chiamata “il signor presidente del Consiglio”: la comunicazione di Palazzo Chigi ai ministeri, “la Repubblica”, 28 ottobre 2022.

[15] Andrea colombo, Dopo il flop elettorale Meloni manda in onda il suo nervosismo, “Il Manifesto”, 26 giugno 2024.

[16] David Romoli, Il flop dell’operazione Albania, “l’Unità”, 9 novembre 2023.

[17] Iacopo Scaramuzzi, La Cei boccia l’accordo Italia-Albania, “la Repubblica”, 15 febbraio 2024.

[18] Alberto Magnani, Albania, Alta Corte sospende ratifica accordo con l’Italia sui migranti, “Il Sole 24 Ore”, 13 dicembre 2023.

[19] Lorenzo Tondo, Italy’s Albania asylum deal has become a political disaster for Giorgia Meloni, “The Guardian”, 14 novembre 2024.

[20] I primi due anni di governo Meloni in dieci punti, Ansa.it, 22 settembre 2024.

[21] Leonardo Martinelli, Meloni a Tunisi, cosa c’è dietro il nuovo accordo per rassicurare lo spazientito Saied, “la Repubblica”, 17 aprile 2024; Marco Galluzzo, Meloni in Tunisia contro i trafficanti di esseri umani, “Corriere della Sera”, 18 aprile 2024.

[22] Michele Prospero, “Italia a rischio deriva autoritaria”, l’allarme della Commissione Europea, “Il Manifesto”, 30 luglio 2024.

[23] Andrea Orlandi, I richiami all’Italia sulla libertà di espressione, “CILD”, 26 luglio 2024.

[24] Ferdinando Nelli Feroci, Il governo Meloni alla prova della politica estera, “Affari internazionali”, 29 gennaio 2024; Le relazioni internazionali del Governo Meloni, ibidem, 11 marzo 2024.

[25] Alessandra Muglia, Com’è nato il Piano Mattei, “Corriere della Sera”, 30 gennaio 2024.

[26] Abolizione abuso d’ufficio, Mattarella firma: la riforma Nordio è legge, “Il Sole 24 Ore”, 9 agosto 2024.

[27] Alessandra Arachi e Marco Galluzzo, La Corte costituzionale ha bocciato 7 norme della legge sull’Autonomia differenziata, “Corriere della Sera”, 15 novembre 2024.

[28] Fulvio Fiano, Autonomia differenziata, via libera dalla Cassazione al referendum per abrogarla, ibidem, 12 dicembre 2024.

[29] Monica Guerzoni, Meloni: ecco il premierato madre di tutte le riforme, ibidem, 3 novembre 2023.

[30] Francesco Verderami, I tempi stretti del premierato, “Corriere della Sera”, 3 gennaio 2025.

[31] Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Come saranno gli stipendi nel 2025?, ibidem, 6 gennaio 2025.

[32] Claudia Voltattorni, La terza manovra economica del Governo Meloni è legge, ibidem, 29 dicembre 2024.

[33] Stefano Badolini, Decreto Rave, dalla Camera arriva il via libera alla fiducia, “la Repubblica”, 28 dicembre 2022.

[34] Nicola Saldutti, Privatizzazioni, il cantiere intermittente e la partita del Monte dei Paschi di Siena, “Corriere della Sera”, 10 settembre 2024.

[35] Massimo Bordignon, Leoluca Virgadamo, Le privatizzazioni del governo Meloni, “Osservatorio CPI”, 26 marzo 2024; Privatizzazioni, il sentiero del governo è molto stretto, “la Repubblica”, 13 aprile 2024.

[36] Dal taglio del cuneo alla natalità, due anni di Governo Meloni in dieci punti, “Il Sole 24 Ore”, 22 ottobre 2024.

[37] Paolo Mieli, Il cerchio non è magico, “Corriere della Sera”, 27 giugno 2024.

[38] Roberto Chiarini, Per Meloni un deficit di classe dirigente, “L’Eco di Bergamo”, 3 novembre 2024.

[39] Per Politico, Meloni «è la persona più potente d’Europa», “Il Sole 24 Ore”, 10 dicembre 2024.

[40] Salvatore Brigantini, Meloni è potente in Europa, ma l’Italia resta un paese fragile, “Domani”, 13 dicembre 2024.

[41] Antonio Polito, Il bivio della premier, “Corriere della Sera”, 17 dicembre 2024.

[42] Concita De Gregorio, Meloni e i dirigenti senza classe, in “la Repubblica”, 7 gennaio 2024.

[43] Luca Angelini e Gianluca Mercuri, I risultati definitivi delle elezioni Europee 2024 in Italia, partito per partito, “Corriere della Sera”, 10 giugno 2024.

[44] Giacomo Delledonne, Luca Gori, Giuseppe Martinico, Fabio Pacini (a cura di), Il peso dell’assente. Il fenomeno dell’astensionismo elettorale in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2024.

[45] Davide Leo, Lorenzo Ruffino, Votare solo un giorno all’anno può ridurre l’astensionismo, ma non è semplice, “Pagella Politica”, 20 novembre 2024.

[46] Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, Global peace index 2024: il mondo a un bivio, c’è il rischio di conflitti più grandi, asvis.it, 18 giugno 2024.

[47] Enzo Risso, Una società più violenta: perché più povera e disuguale, “Domani”, 7 luglio 2024.

[48] Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Transcidi, Tutti i dati del 2024, osservatorionazionale.nonunadimeno.net.

[49] L. Pupilli, M. Severini, Premessa, in Ead./Id. (a cura di), Ventuno Parole Lemmario di storia e vita femminile nella contemporaneità, 1797 edizioni, Senigallia 2024, p. 8.

[50] Il governo Meloni ha tagliato il 70% delle risorse per la prevenzione della violenza contro le donne, “Wired”, 22 novembre 2023.

[51] Roberto Ciccarelli, L’università con l’acqua alla gola: fermate i tagli, annega il futuro, “Il Manifesto”, 26 novembre 2024.

[52] Annachiara Mottola di Amato, Che anno è stato il 2024 per la cultura in Italia?, “Insideart”, 28 dicembre 2024.

[53] Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, Io Sono Cultura 2024, rapporto annuale, www.tagliacarne.it, 19 settembre 2024.

[54] Pierluigi Petrillo, La forza più potente del mondo. Oggi la cultura è un bene primario, “Domani”, 17 marzo 2024.

[55] Stefano Monti, Perché la cultura in Italia vale sempre di meno?, www.artribune.com, 7 aprile 2023.

[56] Lorenzo Ruffino, L’Italia è agli ultimi posti per libri letti in Europa, “Pagella Politica”, 21 agosto 2024.

[57] Paolo Di Stefano, Si pubblicano sempre più libri, se ne leggono sempre meno, “Corriere della Sera”, 10 agosto 2023.

[58] Ernesto Galli della Loggia, «M» di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia, ibidem, 13 ottobre 2018.

[59] Gianluigi Simonetti, Scurati, un Mussolini pieno di cliché, “Il Sole 24 Ore”, 4 marzo 2019;

[60] Renzo Del Felice, Mussolini il rivoluzionario/Il fascista I. La conquista del potere II. L’organizzazione dello Stato fascista /Il duce I. Gli anni del consenso II, Lo Stato totalitario/ L’alleato I. L’Italia in guerra 1. Dalla guerra «breve» alla guerra lunga 2. Crisi e agonia del regime II. La guerra civile, VIII voll., Einaudi, Torino 1965-1997.

[61] Che ha riassunto qualche anno fa lunghi decenni di studi e ricerche: Emilio Gentile, Storia del fascismo, Laterza, Roma-Bari 2022.

[62] Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, XI voll., Feltrinelli, Milano 1956-1986.

[63] Conferenza stampa di inizio anno del Presidente Meloni, 9 gennaio 2025, https://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-di-inizio-anno-del-presidente-meloni/27435 (segnalo però di non aver ritrovato alcuni passaggi ascoltati in diretta); Monica Guerzoni, La conferenza stampa di Meloni: «Per Sala emozione grande. Musk pericoloso? Lo è Soros», “Corriere della Sera”- Roma, 9 gennaio 2025.

 

Democrazia Futura
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Infocivica è una libera associazione di persone fondata da Jader Jacobelli, Gerardo Mombelli, Bino Olivi e da un gruppo di giornalisti, universitari, funzionari e operatori della comunicazione che, dal suo primo incontro ad Amalfi nel settembre 2000, si batte per promuovere lo sviluppo equilibrato del rapporto civico tra sistema della comunicazione, istituzioni e cittadinanza e, oggi, per il rinnovamento e la ridefinizione del servizio pubblico radiotelevisivo e della sua missione nella società digitale e delle piattaforme. Infocivica è presieduta da Stefano Rolando e Giacomo Mazzone.

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