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Trump presidente da 20/01: dazi, deportazioni, mire su Panama e Groenlandia

Scritto lo 07/01/2025 per Toscana Oggi uscito lo 09/01/2025 in data 12/01/2025

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Trump presidente da 20/01 – Eravamo preparati a dazi e a deportazioni e al ‘libera tutti’ per centinaia di facinorosi trasformati, per decreto, da criminali in patrioti. Adesso, sappiamo che dobbiamo metterci l’elmetto e cominciare a individuare i rifugi più vicini a noi, perché Donald Trump, nel suo secondo mandato, che comincerà il 20 gennaio, resta intenzionato a riportare la pace nel Medio Oriente e in Ucraina, senza guardare troppo per il sottile se sia giusta o meno, ma minaccia guerre ‘ad alzo zero’ altrove, tanto per cominciare per annettersi il Canale di Panama e la Groenlandia, che costituiscono – dice – “interessi vitali” degli Stati Uniti.

Gli atti e soprattutto le parole del presidente eletto il 5 novembre e ‘certificato’ il 6 gennaio dal voto del Congresso riunito in sessione plenaria alimentano le peggiori inquietudini nel Mondo intero. E non c’è da fidarsi dell’adagio secondo cui alle promesse del candidato non seguono le azioni dell’eletto: rispetto al 2017, Trump sta mettendo cura nello spazzare via dal suo cammino quanti possono ostacolare i suoi progetti.

Trump presidente da 20/01: gli ordini esecutivi delle prime ore alla Casa Bianca

Nelle prime ore alla Casa Bianca, con ordini esecutivi, Trump, che ha spesso detto di voler essere “dittatore per un giorno”, potrà dare un impulso alla deportazione degli immigrati senza documenti, che sono illegalmente nell’Unione, e potrà imporre dazi, raddoppiando quelli alla Cina e gravando del 25% l’import dal Messico e dal Canada, gli unici Pasi con cui gli Usa hanno frontiere terrestri.

Ci sarà poi la cancellazione dei processi in cui lui è imputato – potrebbe richiedere qualche tempo – e la concessione della grazia agli insorti del 6 gennaio 2021: sono 1580 le persone già incriminate per reati federali, centinaia le condannate, molte delle quali in carcere. Non è chiaro se il perdono andrà solo a coloro che compirono reati minori, come superare le barriere della polizia ed entrare nel Congresso, o se sarà anche esteso a quanti compirono reati violenti, come attaccare le forze dell’ordine.

Un altro obiettivo a breve termine è l’uscita degli Usa dagli accordi sul clima di Parigi: andirivieni ormai stucchevole, dentro con Obama, fuori con Trump 1, di nuovo dentro con Biden, di nuovo fuori con Trump 2; e, soprattutto, lesivo delle possibilità per il Pianeta di centrare obiettivi ritenuti minimi e indispensabili per frenare il riscaldamento globale, nel segno di un negazionismo ispirato non dalla scienza ma da mere e miopi considerazioni economiche a breve termine.

Trump presidente da 20/01: le differenze tra il 6 gennaio 2021 e il 6 gennaio 2025

A darci un’idea di quel che ci aspetta è la differenza tra il trasferimento dei poteri pacifico in corso quest’anno e quello drammatico del 2021: lunedì scorso, la ‘certificazione’ dei voti espressi, Stato per Stato, dai Grandi Elettori è avvenuta senza alcuna contestazione, mentre quattro anni prima un’orda di esagitati sobillati da Trump aveva preso d’assalto il Campidoglio e invaso il Congresso, mettendo a soqquadro l’aula e gli uffici, intralciando i lavori, facendo morti e feriti e compromettendo la democrazia statunitense.

La ritualità del 2025 è “un crudo contrasto con la violenza di quattro anni or sono”, che – notano quasi all’unisono i media Usa – rende più difficile comprendere la scelta fatta dal popolo americano il 5 novembre.

In un commento sul giornale, il presidente Joe Biden sottolinea che cosa gli americani dovrebbero ricordare: “Non possiamo permettere che la verità vada perduta”. Invece, Trump, che della verità non ha alcun rispetto, si appresta a riscriverla, in una operazione alla ‘1984’ di George Orwell.

Trump presidente da 20/01: la normalità trumpiana e la normalità democratica

C’è una normalità della democrazia; e c’è una normalità trumpiana, che sovverte le regole, ma che – è un dato – la maggioranza dei cittadini statunitensi non solo accetta, ma esalta, rieleggendolo presidente. La normalità di chi pensa, come scrive l’Ap, che la sua dimora di Mar-a-lago in Florida sia “il centro dell’universo”: un magnete per quanti, leader o imprenditori, vogliono esercitare o acquisire influenza; il posto dove essere e, soprattutto, dove farsi vedere se si è o si vuole entrare nell’ ‘inner circle’ del 47° presidente degli Stati Uniti.

Ultimo esempio, la visita trafelata, tra sabato e domenica 4 e 5 gennaio, della premier italiana Giorgia Meloni. Ma, prima di lei, da Mar-a-lago, dove, in un cottage, s’è installato Elon Musk, sono già passati Netanyahu e il presidente argentino Javier Milei e il premier ungherese Viktor Orban.

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Il premier canadese Justin Trudeau reagisce alle parole di Donald Trump sull’annessione del suo Paese agli Stati Uniti (Fonte: Euronews)

Chi non s’adegua o si mette di mezzo, salta, anche preventivamente: accade al premier canadese Justin Trudeau, icona ‘liberal’, degradato sui social da Trump a “governatore del 51° Stato dell’Unione”, fattosi da parte perché anche nel suo Paese c’è chi ascolta le sirene trumpiane. E così molti leader, tanti europei, si preparano a essere compiacenti con il magnate più che a resistergli.

E poi ci sono le guerre, cui Trump vuole porre fine, quelle in Medio Oriente, dove però minaccia “l’inferno” a Hamas se tutti gli ostaggi non saranno restituiti, e in Ucraina, dove c’è l’ipotesi d’un cessate-il-fuoco lungo la linea del fronte attuale, in attesa che i negoziati definiscano i futuri assetti dei confini russo-ucraini e anche i percorsi dell’Ucraina verso l’Ue (ma quasi certamente non verso la Nato).

250109 - Trump - Ucraina - soldati nord-coreani
Soldati nord-coreani impegnati in Russia (Fonte: Euronews)

Ma se i fronti aperti forse si chiudono, altri rischiano di aprirsi: nella prima conferenza stampa dell’anno, il presidente non ancora insediato ha avvertito Panama e la Groenlandia che non esclude l’uso della forza militare nei loro confronti, se non otterrà la sovranità sul Canale e se non potrà acquistare l’isola di ghiaccio grande un quinto dell’Unione, ha annunciato di volere cambiare nome al Golfo del Messico chiamandolo Golfo dell’America e ha messo in guardia gli alleati della Nato che potrebbe chiedere un aumento delle spese per la difesa fino al 5% del Pil.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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