Donald Trump non è ancora il presidente degli Stati Uniti, ma già parla come se lo fosse. E spesso ottiene l’effetto desiderato: molti leader europei della Nato sono così desiderosi di compiacerlo, o timorosi di irritarlo, che si dicono fin d’ora pronti ad aumentare le spese per la difesa oltre il 2%, senza avere ancora raggiunto quella soglia; e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky accantona l’obiettivo di riprendersi i territori occupati dai russi invasori.
Trump progetta di incontrare il presidente russo Vladimir Putin poco dopo l’inizio del suo mandato. Parlando a Phoenix, in Arizona, il magnate ribadisce l’intento di porre termine “in fretta” alla guerra in Ucraina: “Una delle prime cose che voglio fare è vedere Putin e anche lui è d’accordo”.
Quanto alle crisi in Medio Oriente, Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu si parlano sovente. Ed è possibile che, per compiacerlo, Netanyahu accetti, solo dopo il suo insediamento, un’intesa per una tregua che, per ora, s’affretta a sabotare ogni volta che pare imminente. Intanto, acquisisce sul terreno tutti i vantaggi militari possibili dopo i colpi inferti ad Hamas, nella Striscia di Gaza, e agli Hezbollah a Nord, profittando anche della debolezza dei vicini, Siria e Libano.
Ma mentre pare ansioso di portare una pace quale che sia, non certo “giusta”, là dove c’è la guerra, Trump non esita a minacciare di aprire fronti di conflitto altrove: specie commerciali, con la Cina, ma anche con i vicini Messico e Canada e con l’Unione europea. E sembra talora riportare indietro gli orologi della storia: il Canale di Panama diventa un nuovo fronte della competizione Usa – Cina per la supremazia globale.
Panama, un nuovo fronte della competizione Usa – Cina per la supremazia globale
Con una raffica di post sul suo social media Truth, e poi di nuovo nel discorso di Phoenix, Trump dichiara che gli Usa “devono riprendersi il controllo del Canale di Panama” perché “la sua sicurezza è fondamentale per il commercio statunitense e per il rapido dispiegamento della nostra Marina”. Secondo il presidente eletto, il governo di Panama “dovrà accettare le richieste statunitensi”.
La reazione di Panama, scontata e magari velleitaria, non s’è fatta attendere: “Ogni metro quadrato del Canale appartiene a Panama e continuerà a essere così”, dice il presidente di Panama José Raúl Mulino. “La sovranità e l’indipendenza del nostro Paese non sono negoziabili. Ogni panamense, qui e ovunque nel Mondo, le porta nel cuore e sono … una conquista irreversibile”, recita un messaggio alla nazione diffuso sui social e sui media.
Trump accusa Panama di applicare tariffe “esorbitanti” e “ridicole” per l’uso del Canale, soprattutto “vista la straordinaria generosità” degli Usa verso Panama” e nell’ottica della crescente influenza cinese nell’area. “Quando il presidente Jimmy Carter lo ha stupidamente ceduto, per un dollaro, durante il suo mandato, spettava solo a Panama gestire il Canale, non alla Cina, o ad altri”.
Gli Usa rimangono il principale utilizzatore del Canale, davanti alla Cina il cui ruolo nella regione è però cresciuto a partire dal 2017, quando Panama, in cambio di concessioni economiche e commerciali, smise di riconoscere Taiwan e avviò relazioni diplomatiche con Pechino.
L’arteria che collega gli oceani Atlantico e Pacifico, strategica per il commercio globale, è stata realizzata dagli Stati Uniti all’inizio del Novecento, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt. Diversi successivi trattati ne hanno regolamentato la gestione: l’ultimo, concluso durante l’Amministrazione Carter, indicava al 31 dicembre 1999 il termine dell’affitto del Canale da parte degli Usa e il suo passaggio sotto la sovranità panamense.
Trump 2: un’Amministrazione a sua immagine e somiglianza
Per realizzare i suoi programmi, il presidente eletto ha messo insieme un governo di fedelissimi. O, come titola sagacemente la Cnn, ‘il governo dell’anti-governo’, cioè di tutti quelli che, coerentemente con il loro capo, pensano che meno governo c’è meglio è, così ciascuno fa come gli pare, soprattutto i ricchi che non hanno problemi a sbarcare il lunario. E che gli altri si arrangino.
Dimenticatevi competenza ed esperienza. I fans del magnate eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti con i voti di delusi e arrabbiati sono animati da un’ostilità viscerale verso le élites e verso gli esperti: pensano che ‘uno vale uno’ anche se c’è di mezzo la scienza, o la salute; e che comprarsi una pistola li garantisca più che i spendere soldi per ridurre le disuguaglianze ed educare alla convivenza.
La squadra del Trump 2 è stata praticamente allestita in tempi record, nel giro di un mese dal voto del 5 novembre, in anticipo di oltre un mese sul cambio della guardia alla Casa Bianca che avverrà il 20 gennaio. I Grandi Elettori si sono riuniti la scorsa settimana nelle capitali dei 50 Stati: un voto sostanzialmente rituale, che ha ufficialmente sancito la vittoria di Trump, con 306 voti contro 232 per Kamala Harris. Il Congresso ne ratificherà i verdetti ai primi di gennaio.
I media liberal dedicano molto spazio e tante elucubrazioni alla possibilità che il Senato, cui spetta l’ultima parola su molte nomine, bocci alcune delle scelte più ‘sfidanti’ di Trump, tipo il segretario alla Difesa Pete Hegseth, che sarà pure stato in Afghanistan e in Iraq con il grado di capitano, ma ha un passato prossimo costellato d’episodi di violenza e di ubriachezza che lo rende poco qualificato per qualsiasi incarico di responsabilità pubblica.
Me sono fantasie. I senatori repubblicani hanno già dimostrato, alla fine del primo mandato, dopo il tentativo di rovesciare con la violenza l’esito del voto del 2020, il 6 gennaio 2021, di essere succubi di Trump: lo assolsero allora, quando sembrava – e doveva essere – un uomo politicamente finito; figuriamoci se gli si mettono contro ora, che è nel pieno della popolarità e all’inizio d’un mandato che lui colloca nel segno della rivincita e della punizione per quanti lo ostacolarono in passato o vogliano ostacolarlo adesso.
Quindi, o ci ripensa lui stesso, come ha fatto con il segretario alla Giustizia Matt Gaetz, rimpiazzato quando è apparso indifendibile da Pam Bondi, una sua avvocata; oppure passeranno tutti: passò il cavallo di Caligola nel Senato romano, figuriamoci se non passa Hegseth in quello di Washington.
La squadra sembra quasi composta per sfidare il buon senso, pur di premiare la lealtà; e per mettere alla prova l’affidabilità ‘trumpiana’ di senatori e ‘civil servants’, che in molti casi vedono paracadutati su di loro personaggi non qualificati o addirittura decisamente squalificati per i compiti loro affidati.

E’ il caso del ‘no vax’ Robert F. Kennedy jr alla Sanità; o dell’impresaria di wresling, la lotta libera tutta finta che diverte Trump, Linda McMahon all’Istruzione; o della cospirazionista pro Assad e pro Putin Tulsi Gabbard a dirigere la National Intelligence; o del cospirazionista – il tratto è comune a molti – anti-Fbi Cash Patel a dirigere proprio l’Fbi.
Poi ci sono i conflitti d’interesse – potenziali, ma grandi come una casa -, di cui gli imprenditori che fanno affari con il pubblico Elon Musk e Vivek Ramaswami sono gli esempi più eclatanti: chiamati a rendere più efficiente la pubblica amministrazione, tagliando sussidi, spese ed organici. Chissà se avranno un occhio di riguardo per i fondi che foraggiano le loro imprese.
E’ una squadra poco diversa dal punto di vista del genere ed etnico. Ma queste non sono priorità per Trump: nel Gabinetto vero e proprio, ci sono un nero – all’edilizia – e due ispanici – una al lavoro e uno in posizione di rilievo: Marco Rubio, senatore della Florida, primo ‘latino’ segretario di Stato -. Quattro le donne. Un gay dichiarato.
Nel contorno, la diversità è maggiore, ai limiti del folklore: i due miliardari che devono rendere più efficiente l’Amministrazione sono uno d’origine sudafricana e l’altro indiana, la ‘zarina’ dell’intelligence è samoana. E, poi, lato stramberie, c’è chi ha ammazzato il proprio cane perché non buono per la caccia, come Kristi Noem, che si occuperà degli immigrati; e chi ha decapitato una balena o scuoiato un orso, entrambi – va detto – già morti, come JFK jr.
Magari, come vicini di casa li vedreste con diffidenza. Ma nel circo barnum del Trump 2 sembrano starci a pennello.
Trump 2: nuovi ambasciatori in Italia e in Vaticano
Fra i numerosi ambasciatori ‘pescati’ fra parenti ed amici e, soprattutto, fra i donatori più generosi della sua campagna, Trump ha nominato l’uomo d’affari Tilman J. Fertitta ambasciatore in Italia ed il presidente e co-fondatore di Catholic Vote Brian Burch ambasciatore presso la Santa Sede.
Fertitta, nato a Galveston, in Texas, 57 anni, è il proprietario della squadra di basket degli Houston Rockets: è un imprenditore del settore dell’ospitalità e dell’entertainment ed è un personaggio tv. Nel 2023 Forbes valutava la sua fortuna a 8,4 miliardi di dollari. Fortune lo colloca al 260° posto nella lista delle persone più ricche.
Il nuovo ambasciatore in Italia ha origini siciliane: suo padre Vic aveva un ristorante di pesce e, dopo la scuola, Tilman dava una mano a sgusciare i gamberetti.
La sua carriera si snoda tra hotel, ristoranti, casinò e parchi di divertimento. E’ stato anche una star del reality show Billion Dollar Buyer su Cnbc. Nel 2017, ha acquistato i Rockets per 2,2 miliardi. Sposato due volte, ha avuto quattro figli dalla prima moglie. In passato, aveva donato a democratici e repubblicani in modo bipartisan, dai Clinton ai Bush. Nel 2020, diede 140 mila dollari a Trump e 5.600 a Biden – non grosse cifre -. E’ un grande amico del senatore-astronauta democratico dell’Arizona Mark Kelly.
Di Burch, Trump scrive su Truth: “Brian ama la sua Chiesa e gli Stati Uniti. Ci renderà tutti orgogliosi”. Burch e la moglie, Sara, hanno nove figli e vivono nella periferia di Chicago.
La CatholicVote è un’organizzazione indipendente dalla Chiesa e d’ispirazione conservatrice, voce dei cattolici tradizionalisti, numerosi nel clero e fra i fedeli negli Stati Uniti, che antagonizzano Papa Francesco e le sue riforme.