Due recenti rapporti di ricerca (Censis e SWG) aiutano a capire il rapporto circolare che c’è tra politica e cittadini in materia migratoria.
Il leader leghista conquista la prima pagina dei giornali
Matteo Salvini è riuscito ancora una volta a conquistare – qualche merito lo ha certamente l’avv. Giulia Bongiorno – la prima pagina dei quotidiani (anzi in alcuni casi, come il Corriere della Sera, le prime otto pagine del giornale). Da questo punto di vista l’obiettivo era assicurato. Sia nel caso di assoluzione da parte del giudice di Palermo, sia nel caso di condanna.
Ora Salvini dice “Viva l’Italia e viva la Lega” portando a casa subito l’agibilità politica. In caso di condanna avrebbe riunito i leader del gruppo Patriot europeo e proposta una secessione morale, con i ritratti di Silvio Pellico e Cesare Battisti alle spalle. E regalando una grana in più al governo Meloni perché Salvini non è una pedina come la Santanchè, ma una quota non rinunciabile della maggioranza di governo.
Dico subito che quando i giudici assolvono non provo mai un rammarico giustizialista. Salvo inconfutabili prove morali e materiali. Senza arrivare a valutare i dettagli tecnici (che si capiranno con le motivazioni) avrei ritenuto utile alla grande causa sociale e – aggiungo – di interesse nazionale che sta dietro a questo processo, una piccola, anche piccolissima condanna. Cioè, la non accoglienza del sequestro di persona, d’accordo, che fin dall’inizio mi era parso un argomento forzato. Ma mi aspettavo l’utilizzo di uno dei suoi tanti spropositi giocando comunque con la vita di esseri umani e soprattutto di uno di quei tanti formalismi di cui la Dea bendata è capace, per sanzionare un dettaglio di quella vicenda. Un dettagliuccio, per non fargli gridare vittoria a tutto campo. Dal momento che dietro a quella vicenda e alla cultura dei respingimenti senza nessun criterio di adeguamento delle politiche non c’è né l’interesse nazionale italiano, né quello europeo.
Sagge oggi le parole di Romano Prodi che sabato 21 dicembre in mattinata ha invitato a non cancellare nessuno sforzo per fare presto una giusta e utile politica di gestione pragmatica delle migrazioni senza alimentare altre inutili paure e altra sterile propaganda.
Ma soprattutto sia ben chiaro a tutti gli italiani che invocare il diritto costituzionale di difendere i sacri confini della patria (articolo 52, in cui per la verità sacro non è il confine ma il diritto di difenderlo) può essere conclamato di fronte a missili nucleari collocati sulla traiettoria del territorio nazionale, non a fronte di cento poveracci con gli infradito ai piedi che cercano un porto sicuro per portare a casa la pelle.
Siccome nel diritto penale si danno 90 giorni per disporre delle motivazioni, speriamo che lo sfruttamento propagandistico sia limitato e vedremo – quando tuttavia la notizia non farà più notizia – la ratio di questa sentenza. Che non va escluso che si riferisca non ad un reato ministeriale ma, come dire, all’atto politico per il quale un ministro sostiene un argomento. Ora questa sentenza di primo grado ci permette di stare sul tema “migrazioni come?” Tema che tarda a diventare realtà del dibattito pubblico italiano ed europeo, continuando in ogni modo la rissa fuori dal tempo su “migrazioni sì o migrazioni no”.
La confusione fra gli italiani sul tema migratorio
Si approfitta dunque di questa “finestra di cronaca” per una riflessione sociale e politica quanto mai delicata e importante. E lo facciamo anche a valle di recenti dati di ricerca sociale e demoscopica che ci aiutano a capire dove e come si forma il nodo appunto sociale della confusione sul tema migratorio. Che da un lato è un nodo influenzato dall’opportunismo della politica ma dall’altro lato, come elemento di opinione popolare è una motivazione e una giustificazione per l’esistenza di una risposta politica anche se cieca e antistorica.
Cosa viene prima e cosa viene dopo? Come l’uovo di Colombo è difficile dirlo. È ovvio che domanda e offerta si alimentano vicendevolmente.
Il rompicato migratorio e il progetto stralunato di piattaforma migratoria
È chiaro che una dinamica così complessa come quella del rapporto tra nuovi cicli migratori planetari e contesti occidentali (è l’Occidente, infatti, il grande terminale di questi cicli) significa un campo di analisi, di confronto e di negoziato, in cui la demografia detta alcune regole strutturali. Ma in cui poi agiscono molti soggetti di mediazione: le imprese, la stampa (in senso lato), la politica, le istituzioni, le culture identitarie con tutti i loro stereotipi e i loro conflitti. In cui alla fine tutto si scarica – razionalmente e irrazionalmente – sull’opinione pubblica che rimanda al sistema messaggi ovviamente contraddittori.
Un progetto stralunato come quello della piattaforma militarizzata in Albania per accogliere migranti espulsi diventa così possibile. Pensarla, finanziarla, attuarla, vederne il naufragio tecnico-giuridico. Con metà degli italiani che criticano e metà degli italiani che la percepiscono come legittimo tentativo di dirottare altrove la storia.
Non si può ricorrere al dualismo primitivo di ottimisti e pessimisti di fronte al rompicapo migratorio.
I dati strutturali sulle condizioni socioeconomiche rilevati dal 58esimo Rapporto del Censis
Di mezzo ci sono i dati strutturali delle condizioni socioeconomiche dei nostri popoli: casa, lavoro, occupazione, reddito, consumi, salute, scuola, eccetera. Prendiamo in considerazione il primo documento di ricerca che è da qualche giorno a disposizione per cogliere le condizioni di evoluzione – anno per anno – della nostra società. Mi riferisco al 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese realizzato dal Censis che anche nel 2003 avevamo commentato su queste colonne.
Mi limito qui a cogliere un tassello di quell’ampio affresco interpretativo che è il Rapporto Censis. Il tassello è quello che viene chiamato “La guerra delle identità”. Confesso che mi aspettavo di peggio. Perché – lo vedremo tra poco – un po’ peggio è la demoscopia ravvicinata recentissima che chiama con altre parole, diciamo più immediate e minacciose, la questione migratoria.
La guerra delle identità
Dopo aver affrontato i vari “grandi dualismi” (globalizzazione e localismo, europeismo e sovranismo) il Censis dà i numeri sulla percezione dell’altro, nel senso del diverso. E anticipando i dati con due spunti che contengono le polarità delle contraddizioni sulla questione:
- da un lato l’Italia si ritrova ad essere il primo paese in Europa per acquisizione di cittadinanza, + 112 per cento negli ultimi dieci anni;
- dall’altro lato l’Italia da prova di essere tra i paesi più ignoranti d’Europa confondendo dati storici e di attualità, e dimostrando il suo accentuato analfabetismo funzionale.
Un Paese, insomma, che per metà non capisce esattamente né quel che c’è stato nel passato, né quel che succede nel presente.
Argomento che pesa come un macigno non su qualunque dato demoscopico, ma sulla grave influenzabilità e manipolabilità dell’opinione pubblica.
Veniamo alla tabella che ci interessa:
La rivalità delle identità e la lotta per il riconoscimento implicano l’adozione della logica «amico-nemico»:
- il 38,3 per cento degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti,
- il 29,3 per cento prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale,
- il 21,8 per cento vede il nemico in chi professa una religione diversa,
- il 21,5 per cento in chi appartiene a una etnia diversa,
- il 14,5 per cento in chi ha un diverso colore della pelle,
- l’11,9 per cento in chi ha un orientamento sessuale diverso.
Quanto emerge sull’immigrazione delle rilevazioni della SWG
In questa cornice generale, si ricava il dato di una società italiana che di fronte all’altro da sé appare articolata in un rapporto di un terzo/due terzi. È diciamo, una cornice statistica meno scoraggiante di quel che si sarebbe potuto pensare. Su cui, comunque, si può lavorare con una progettualità sociale meno disperata.
Ma le risposte alla recentissima rilevazione di SWG sull’immigrazione mettono in evidenza una condizione che lo stesso report “Radar” del 15 dicembre 2024 esprime come “tema che polarizza fortemente i cittadini italiani”. Cioè, quando certe domande sono formulate con rude semplicità, l’opinione pubblica tende verso lo storico dualismo dei comportamenti degli italiani: guelfi e ghibellini, fascisti e antifascisti, nord e sud, eccetera eccetera. Pur con alcune interessanti evoluzioni.
- Gli immigrati rubano il nostro lavoro? Dice sì il 31 per cento degli italiani (ma, attenzione, era il 41 per cento nel 2018 ed era il 57 per cento nel 1998).
- Gli immigrati portano solo criminalità? Dice sì il 37 per cento (era il 40 per cento nel 2018, ed era il 51 per cento nel 1998).
- Servono più o meno immigrati? Più immigrati dice il 23 per cento, meno immigrati dice il 51 per cento, va bene così dice il 26 per cento.
Di fronte ad altre domande precise, poi, quel terzo di ostilità anti-migratoria che ci appariva con i dati Censis tende anche a superare il 50 per cento. Per esempio: l’immigrazione allevierebbe, non impatterebbe (nel senso di non porterebbe miglioramenti) o aggraverebbe?
- Per i mestieri più usuranti: nell’ordine 29 per cento, 17 per cento,24 per cento
- Aiuterebbe contro il calo della natalità: 50 per cento, 27 per cento, 23 per cento – Spaccatura netta, ma sul tema c’è il punto più alto di ammissione.
- Per assistenza a persone non autosufficienti: 48 per cento, 26 per cento, 26 per cento – La maggioranza comincia a cedere, di poco, ma cede.
- Per sostenere le pensioni: 41 per cento,25 per cento,34 per cento. Qui si cede ancora di più. Ci credono 4 su 10
- Allevierebbe i rischi di contagi e malattie: 9 per cento, 42 per cento, 49 per cento – Ecco basta dire certe parole e il rapporto scende 1 a 10.
- Sicurezza e criminalità: 8 per cento,24 per cento,68 per cento – Discesa libera il 92 per cento pensa che finisce a crimine totale.
- Violenza di genere: 6 per cento, 34 per cento, 60 per cento – Su questo tasto delicatissimo saltano tutti gli argini: 94 per cento.
Letti questi dati la sociologia politica dovrebbe dirci se è Salvini che ispira gli italiani o se gli italiani sono una pagina del Vangelo per Salvini, per il governo e persino per la politica tutta in Italia.
L’ultima controprova viene dalle ultime due tabelle del Rapporto SWG.
Che facciamo con le ONG che salvano i migranti in mare nel Mediterraneo?
Le sosteniamo 22 per cento
Sosteniamo solo quelle affidabili 16 per cento
La somma delle due risposte positive fa 38 per cento
Le limitiamo perché incentivano gli arrivi 21 per cento
Vietiamo l’attracco 20 per cento
La somma di queste due risposte negative fa 41 per cento
Incerti tra i due fronti 8 per cento
Non sa 13 per cento
Esiste uno spazio di manovra per la politica e per rimettere in movimento una politica di pedagogia sociale capace di incidere su questo quadro in bilico in Italia come in Europa?
Nella logica di un partito politico collocato ormai all’estrema destra ci sono nettamente i margini per corrispondere pienamente al dato demoscopico negativo. Ma nel caso di una maggioranza di governo, dovrebbe essere chiaro che non c’è una maggioranza demoscopica.
È il 66 per cento degli elettori della attuale maggioranza a sostenere le argomentazioni negative. Questo è dunque lo spazio di manovra per chi – tra i partiti di governo – oggi pensasse utile “far politica”. Perché avrebbe comunque il 34 per cento del proprio elettorato in una posizione più evoluta.
Se poi vogliamo confrontarci con il dato di cultura umana che l’ultima domanda esprime troviamo anche qualche ulteriore riflessione da fare nelle considerazioni che riguardano un quadro politico che mette sulla bandiera non solo Patria e Famiglia, ma anche Dio.
La domanda è: favorevoli a ricongiungimenti familiari degli immigrati regolari? Sì: lo dice il 57 per cento degli italiani No (disincentivando): lo dice il 12 per cento. No (nel senso di non fare nulla) : lo dice il 17 per cento. Non sa: il 14 per cento
Quale potrebbe essere la fonte per rimettere in movimento una politica di pedagogia sociale che incida su questo tipo di rapporto tra opinione pubblica e realtà delle transizioni? La rigenerazione dei partiti (meno risse e più proposte meditate)? Il ruolo della scuola e dell’istruzione? L’impegno delle religioni? Un miglioramento qualitativo dell’informazione? La crescita di intese europee per passare dal subire le migrazioni a gestire le migrazioni?
Sono tutti richiami che meriterebbero ben altra analisi. L’Italia è in bilico, come si vede, su questa materia. E la stessa Europa è oggettivamente in questa stessa posizione, anch’essa in bilico con rischio di vedere sfumare altre urgenti partite (come quella sulla sicurezza militare, che confina con il tema). In più l’Europa deve affrontare una più esplicita domanda del sistema di impresa, nonché una logica non molto rimandabile riguardante le condizioni del welfare (cioè come finanziare sanità e previdenza).
Teniamo in sospeso il giudizio. E lo rimandiamo a valle della direzione di marcia che prenderà l’avvio concreto della politica di governo della Commissione europea appena costituita.
21 dicembre 2024
Podcast per il Mondo nuovo, 21 dicembre 2024. Cfr. https://stefanorolando.it/?p=10098.