Nel voto delle regionali i sindaci salvano urne e partiti (con le astensioni però in picchiata).
Tra ottobre e novembre 2024 è tornata in auge – non per la prima volta – l’idea che la politica italiana, teoricamente fatta dai partiti politici indicati dalla Costituzione come strumento di attuazione delle regole che sostengono la democrazia, viene salvata dai sindaci che, da destra e da sinistra, non vedono l’ora di poter dichiarare
“da ora in poi sarò il presidente di tutti i miei concittadini”
con il sostegno decisivo di liste civiche quasi sempre costituite per intercettare astensioni rispetto al voto dato ai partiti. Cosa è successo è piuttosto noto.
In Liguria il 28 ottobre 2024 – dopo un testa a testa nelle elezioni regionali – l’ha spuntata il sindaco di Genova Marco Bucci che ha salvato il centro-destra reduce dalla crisi giudiziaria del presidente uscente Giovanni Toti, superando la sua civica sia la Lega che Forza Italia e togliendo al partito che traina il governo, Fratelli d’Italia, 12 punti rispetto alle ultime più recenti consultazioni. Prezzo pagato: l’astensione alle stelle, arrivata al 54 per cento.
In Emilia-Romagna il 18 novembre nessun testa a testa e largo margine di vantaggio – che salva invece il centro-sinistra – con esiti di crescita per il PD ma nel quadro di diffuse recenti sconfitte per la cosiddetta coalizione di centrosinistra (salvo la Sardegna), grazie qui al giovane sindaco di Ravenna Michele De Pascale, cesenate di nascita iscritto al PD, che porta a casa il 57 per cento dei voti espressi e il contributo delle liste civiche ma conferma la tendenza astensionista di territori una volta ultra-partecipativi, anche qui con il 54 per cento di astenuti.
Infine, in Umbria, terzo caso per un leader cittadino, sempre il 18 novembre è la sindaca di Assisi Stefania Proietti, indipendente nel centro-sinistra ed espressione del civismo progressista, che strappa al centro-destra la regione in precedenza guidata dalla rivale alle elezioni Donatella Tesei, con un astensionismo che non supera la maggioranza degli iscritti ma la sfiora, al 47,7 per cento.
Si va configurando una notizia che nell’agenda mediatica appare così:
- Il centrosinistra respira
- Il civismo entra in partita
- I sindaci risolvono il tema della disaffezione degli elettori.
Poi si cita, ma evitando di discutere troppo le cause, la soglia dell’astensione che spacca in due il Paese. Il tema dell’astensione resta dunque l’irrisolto principale, maggiore vulnus ormai per la democrazia stessa[1]
Tutti ringraziano i sindaci che, lo dico magari approssimativamente, per la terza volta intervengono nel quadro politico dell’Italia repubblicana con un segnale simbolico per tentare di arrestare il declino.
I sindaci della Liberazione
La prima volta, appunto simbolicamente, fu certamente appena prima dello stesso avvio della Repubblica, quando la Liberazione vedeva sparire i podestà fascisti o i rappresentanti militari, per far posto a quella generazione che appunto va sotto il nome di “sindaci della Liberazione”. Antonio Greppi a Milano (socialista), Giovanni Roveda a Torino (comunista), Giuseppe Dozza a Bologna (comunista), Gaetano Pieraccini a Firenze (socialista poi socialdemocratico), Giovanni Ponti a Venezia (popolare), Gennaro Fermariello a Napoli (azionista) e si deve anche includere un principe cattolico conservatore come Filippo Doria Pamphili a Roma. E tanti altri. Il primo segnale del cambiamento aveva come base la prossimità.
L’elezione diretta dei sindaci dal 1993
La seconda volta – sforbiciando un po’ la storia, ma ricordando l’innesco di tre anni prima di una importante legge, la 142 del 1990 che innovava formazione e attuazione degli atti e degli strumenti della programmazione socioeconomica e della pianificazione territoriale dei Comuni e delle Province rilevanti ai fini dell’attuazione dei programmi regionali – sarebbe stata la famosa legge 81 del 1993 a portare in campo l’elezione diretta dei sindaci italiani, una rivoluzione sia per il prestigio dei sindaci, sia per dare ai cittadini il diritto di votare non solo un partito ma anche un programma di governo della città e una figura rappresentativa e non oscura.
La terza stagione dei sindaci nel pieno di una crisi dei partiti politici
La terza volta potrebbe essere quella che comprende ora gli ultimi appuntamenti elettorali e altri eventi, nel pieno di una crisi dei partiti politici (malgrado il propagandismo, soprattutto dei partiti al governo) e, come ho detto, nella continuazione in picchiata della linea astensionista.
Ma c’è qualcosa di più da annoverare attorno a questa presunta “terza volta”.
La crisi dei partiti nasce anche da un fatto epocale. Il tramonto nell’occidente dell’egemonia ideologica nel guidare la politica. Con l’incremento di altri valori più pragmatici, connessi alla soluzione di problemi. Che avrebbero dovuto essere distribuiti a tutti i livelli di rappresentanza: il livello nazionale per fare le leggi, il livello regionale per creare la normativa di adattamento, il livello locale per fare le cose che i cittadini vedono di più, cioè, gestire i servizi.
Questa logica – che ha avuto il suo maggiore annuncio con l’attuazione delle Regioni negli anni Settanta – poi è stata largamente pasticciata. Le Regioni anziché fare la difficile integrazione hanno portato via pezzi di capacità legislativa allo Stato e pezzi importanti dei servizi ai Comuni, accentrando risorse da amministrare.
Con una classe politica che, abbandonate le ideologie (non tutti lo hanno fatto), non doveva perdere di vista però le teorie per governare (a poco a poco trasformate nel “governare a vista”, poi manipolate da populismo e demagogia). Questi tre livelli hanno perso i loro confini e diminuito la qualità dei rappresentanti. I livelli comunali, guardati a vista dai cittadini e di fronte a questioni concrete e visibili (prendiamo per esempio l’ultima ondata pandemica), hanno fatto più degli altri di necessità virtù. E per questo hanno mantenuto un po’ più di reputazione e un po’ più di consenso.
La stampella dei sindaci nella fase di maggior declino del livello regionale
Ecco il perché di questa chiamata a far da stampella, proprio nella fase di maggiore declino del livello regionale. Livello ben retribuito, con parecchi poteri, ma con grande mediocrità di esiti e con una finta democrazia a causa soprattutto di una marginalizzazione della cultura di controllo da parte dei parlamenti regionali mai riusciti a diventare neanche quello, cioè parlamenti. Rimasti consigli comunali di maggiori proporzioni ma anche di crescente sterilità. Certo quando si invoca la riforma della politica si parla ormai di un compito immane: leggi elettorali, ridisegno delle funzioni, contrasto alle crisi, rigenerazione dello sviluppo e dell’ascensore sociale. Eccetera.
Non è che i sindaci abbiano la bacchetta magica. Ma hanno quel po’ di reputazione in più conquistata sul campo che ne fanno una leva di proposta per i momenti difficili. E questo spiega il perché di un loro protagonismo politico in territori settentrionali dove un po’ di classe dirigente la politica lo ha avuta anche in tempi recenti.

L’elezione del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi alla Presidenza dell’ANCI
La notizia che va messa a cornice di queste osservazioni – con cui concludo […] che arriva dopo le notizie elettorali ma anche appena dopo l’evento dell’assemblea nazionale dei sindaci italiani – riguarda l’elezione a presidente dell’ANCI non solo di un sindaco di una grande città italiana, diciamo la terza per dimensione ma con lunga storia di città capitale, cioè Napoli, ma anche di un figura venuta alla ribalta con una certa indipendenza dai partiti politici e molto apprezzamento per la sua opera di rettore di un grande ateneo, di presidente del difficile autogoverno del sistema dei rettori degli atenei italiani e poi del Ministero stesso dell’Università e della scientifica e tecnologica.
Ingegnere (di specialità materiali non immateriali) che nessuno ha mai visto litigare, che nessun conflitto sotto i suoi occhi si è chiuso con lacerazioni, che – da sindaco – nessun irrisolto storico è rimasto nel cassetto delle cose “che è meglio dimenticare” tentando invece la via rigenerativa. Un caso per tutti la piaga dell’immensa area di Bagnoli centralissima a Napoli divenuta archeologia industriale che Gaetano Manfredi ha messo in area di riprogettazione, trovando le risorse del PNRR per affrontare la riqualificazione e assumendosi la responsabilità commissariale per iniziare la risalita.
Un mediatore sperimentato per rigenerare il sistema
Non sta a me valutare qualità e ragioni degli 8500 sindaci d’Italia che lo hanno scelto – dopo varie valutazioni comparative – ma nei commenti all’evento ci sono alcune chiavi di senso.
Una nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che affida una delle missioni:
“I comuni sono l’emblema delle diversità ma rappresentano la libertà e l’unità su cui si basa il nostro Paese. I costituenti vollero costruire l’Italia sul perno di un pluralismo sociale ed è anche per questa ragione che dovremmo adoperarci affinché la partecipazione al voto torni a salire in tutto il Paese”.
L’altra nelle parole dello stesso Gaetano Manfredi, semplici, allusive, programmatiche:
“Emerge il tema della centralità dei Comuni nella prospettiva di una crescita che abbia a che fare con la riduzione dei divari e prendendosi cura delle persone”.
Credo che l’accenno alla stimolazione che parte dai conflitti (quelli che riguardano le collettività e quelli che riguarda le individualità) sia il tema specifico di un mediatore sperimentato, non semplicemente per comporre ma per rigenerare. E penso che questa sia al tempo stesso – usando una sua espressione – una “questione di sistema” che ha a che fare anche con la questione Nord- Sud.
23 novembre 2023
[1] Il quarto fascicolo su carta della rivista Mondo Nuovo in uscita il 15 dicembre 2024, contiene una mia analisi del perché esso sia un vulnus per la democrazia e perché Partiti e Parlamento non fanno nemmeno la mossa, che aveva tentato il governo Draghi, per affrontare le diverse cause.
Uscito come Podcast per Il Mondo nuovo, 23 novembre 2024. Cf. https://stefanorolando.it/?p=9976.