L’investimento dello Stato nel mattone non è una bella storia imprenditoriale di cui poter andare fieri e addirittura da raccontare. Migliaia di immobili, provenienti dalla liquidazione del patrimonio degli istituti previdenziali, sono stati cartolarizzati dai governi Berlusconi-Tremonti. Una volta preso atto che il loro rendimento spesso non copriva neanche le spese di gestione, è cominciata l’alienazione, cioè la vendita agli inquilini (per lo più vecchi e ora vecchissimi dipendenti dello Stato) che da molti decenni spesso li occupavano.
I molti e lunghi ritardi nella privatizzazione, avviata con le leggi emanate dal ministro Cesare Salvi (all’epoca democratico di sinistra) derivarono dall’improvvisa decisione del ministro Giulio Tremonti di considerare di pregio le unità immobiliari offerte a riscatto agli inquilini.
A quel punto non è più bastato il riferimento ai valori di mercato delle singole unità e alle loro condizioni, spesso di abbandono e deperimento. Si stabilì, infatti, che dovesse valere come principio cardinale e generale il pregio di questo esteso e oneroso stock immobiliare.
Di qui un contenzioso durato decenni. Gli inquilini, per far valere le loro ragioni (cioè strappare un prezzo di mercato sensibilmente inferiore a quello imposto dal governo Berlusconi) si rivolsero all’autorità giudiziaria.
Il contenzioso dura tuttora con effetti non di rado esilaranti.
La Corte d’Appello di Bologna ha in due occasioni sentenziato che gli immobili del ‘Inps e dell’Invimit non sono mai stati messi in vendita. Pertanto, le diverse centinaia di inquilini che per anni avevano affollato le sedi dell’Inps per inoltrare le loro domande di riscatto di alloggi di ogni metratura e qualità, erano vittime, per così dire, di allucinazioni, confusione mentale, scambi perversi della realtà con le loro fantasie, e ambizioni da neoproprietari.
I giudici del capoluogo felsineo sono stati impietosi nel respingere ogni argomento e documento che smentiva la loro analisi dei fatti. Hanno proclamato che l’Inps con richieste minuziose sullo stato degli affitti, sulla regolarità dei pagamenti, sull’assenza di ogni morosità eccetera, si era limitata ad accertare la pura e semplice disponibilità, cioè l’interesse generico degli affittuari all’acquisto, in un prossimo futuro, degli immobili occupati. Ma mai aveva inteso formulare proposte di vendita.
Sarebbero, quindi, illegali eventuali compravendite se avvenute durante lo svolgimento dei processi che hanno opposto l’Inps agli inquilini in mezza Italia.
Non stupisce che la magistratura si allinei a una difesa incredibile, paradossale e anche – temiamo – un po’ dozzinale, della politica e della sua burocrazia. A impressionare piuttosto è che questo comportamento avvenga ignorando carte e dati di fatto inoppugnabili, da chiunque consultabili. Anche, a maggior ragione, dai giudici di un tribunale dello Stato.
A Bologna gli inquilini degli immobili di piazza Roosevelt e di Via Quattro Novembre, per fare un esempio, enumerano decine di compravendite di immobili effettuate da un braccio del l’Inps qual’è l’Invimit (quotata in Borsa). Esse sarebbero avvenute mentre erano, e sono tuttora, in corso processi che hanno ormai raggiunto la stessa Corte di Cassazione.
Nel periodo in cui, secondo la Corte d’Appello del capoluogo emiliano ogni compravendita era sospesa e, anzi, vietata, sia gli uffici vendite dell’Invimit sia quelli dell’Inps avrebbero intrapreso negoziati aventi come obiettivo il trasferimento di proprietà dallo Stato a un’ampia platea di privati. Erano, e sono, tutti affittuari dei due enti pubblici.
Ancora oggi, essi hanno fatto presente all’Invimit e all’Inps che sono disposti a recedere dalla Procura alle liti affidate a uno studio legale di Bologna, se i responsabili della politica immobiliare del governo Meloni volessero intavolare un negoziato per trovare un’intesa.
Purtroppo, l’ufficio vendite dell’Invimit è stato decapitato del suo maggiore esponente (il dottor Sebastiano Parisi). E il suo braccio legale, affidato all’avv. Elena Nostro, ha respinto la mediazione di un docente di diritto penale dell’università di Roma. Ha sostenuto in un primo tempo che il ricorso in Cassazione degli inquilini era incompatibile con la domanda di riscatto degli alloggi; e in secondo luogo, mitigando il carattere platealmente antigiuridico della prima affermazione, ha rimandato ogni decisione all’emanazione della futura sentenza della Cassazione.
I tempi previsti sono di due anni. In tutto questo arco temporale Inps e Invimit avrebbero tempo e modo di portare molto in alto il prezzo di vendita di ogni unità immobiliare.
Dunque, una punizione pesantissima e priva di ogni equità viene inferta agli inquilini dalla direzione generale dell’Inps (Gabriele Fava e Valeria Vuttimberga nominati presidente e direttore generale dal Consiglio dei Ministri) e dell’Invimit (dottor Mario Valducci che si avvale dell’amministratore delegato dott. Stefano Scalera, ex dirigente del Demanio).
Perché questi manager non si decidono a indicare il prezzo al quale vogliono vendere gli alloggi ex previdenziali? Si porrebbe così fine a un contenzioso nei tribunali dello Stato durato decenni, e ai tentativi poco decorosi di inutili e assurde speculazioni sulla pelle di pensionati ormai ultraottantenni.
7 novembre 2024