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La destra spia la destra, ma lo Stato non deve appaltare la propria sicurezza a privati

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Ottocentomila cittadini indagati e setacciati nei loro conti bancari e corrispondenza digitale, fra cui le più alte cariche dello Stato, dal Quirinale alla presidenza del Senato, a leader politici nazionali e regionali. Un fenomeno di una vastità di fronte alla quale la Presidente del Consiglio ha parlato di eversione.

In realtà siamo ad un passaggio non dissimile, per profondità e effetti destabilizzanti, a quello che fu nel 1992 Mani pulite.

Ci troviamo ancora all’inizio di questa indagine, ma già i contorni non lasciano dubbi proprio sulla capacità dirompente.

Mani pulite aveva corroso ogni capitale di fiducia nei partiti, questo fenomeno di sorveglianza di massa della classe dirigente del paese potrebbe sgretolare ogni parvenza di riservatezza e rivelare che molte decisioni in passato possono essere maturate sotto la pressione di ricatti.

 Se la destra spia la destra

Il gioco delle ombre è davvero spiazzante. Come ha scritto qualcuno siamo di fronte ad uno scenario in cui la destra spia la destra. Infatti, la matrice ideologica e politica di chi ha attuato questa rete spionistica e chi ne è rimasto vittima è pressoché la stessa.

I due gruppi provengono dalla pancia degli apparati statali e di quel dispositivo di imprese che lavora proprio sui crinali della sicurezza nazionale che è da tempo orientato da culture e interessi più conservatori.

Da questo punto di vista è impressionante soprattutto quanto sta avvenendo al Viminale, cioè nel tempio del controllo e contrasto contro ogni malversazione che dovesse registrarsi a livello nazionale. Ebbene stiamo scoprendo che il Ministero degli interni ha affidato sia l’architettura dei suoi data base che la manutenzione dell’intero sistema informatico, il cosiddetto SDI che incombe su tutta l’inchiesta, proprio alla Banda Bassotti.

In sostanza un manipolo di esperti informatici, insieme a ex poliziotti ben addentro al sistema ministeriale si sarebbe appropriato delle chiave del caveau più riservato della sicurezza nazionale.

Lo stesso è accaduto per molte procure che, in maniera diciamo molto disinvolta, hanno proceduto con appalti per allestire data server in cui depositare gli atti giudiziari più segreti e delicati delle loro inchieste.

Equalize e i suoi burattinai

Questi appalti sono stati vinti inevitabilmente da società che gravitavano nell’orbita della stessa Banda Bassotti, ossia quella galassia informatica nota come Equalize, dietro cui muovevano i fili personaggi quali Enrico Pazzali, stimatissimo e temutissimo presidente della Fondazione Ente Fiera di Milano, e il suo socio l’ex poliziotto modello Carmine Gallo. Con loro, figure del sottobosco della consulenza informatica che hanno ramificato una fitta trama di centri operativi fuori dai confini nazionali, dall’Inghilterra alla Lituania.

Questa è la punta dell’Iceberg ma ancora si fatica a capire quali siano stati gli interessi reali a smovere tali imponenti e ingombranti collegamenti.

Una destra che spia la destra suggerirebbe una guerra per bande all’interno del governo. Ma la sistematicità e la capillarità dei controlli che, come abbiamo detto, arrivano a coinvolgere 800 mila profili, indica una certa sproporzione fra fini e mezzi. La mitica P2, ai suoi tempi in cui poteva operare al riparo da occhi indiscreti, non era arrivata a lambire con i suoi adepti dei servizi segreti più di un migliaio di soggetti sensibili.

Ovviamente oggi siamo al tempo dell’intelligenza artificiale e di una potenza di calcolo e di memorie che travalica ogni limite quantitativo. Ma ci vuole pur sempre un fine e soprattutto un mandante.

Il digitale è vulnerabile, non va appaltato

Quanto è emerso comunque ci porta ad una considerazione più di fondo, su cui ragionare in termini non cronachistici. La vulnerabilità di ogni apparato digitale, sia pubblico che privato, ormai appare del tutto evidente.

Al netto della corruzione e della manomissione mirata con fini ricattatori, siamo comunque in una transizione in cui ogni nostra azione è il frutto di una combinazione cibernetica in cui il corpo umano, a partire dalle sue facoltà intellettive, è sempre più integrato e supportato da protesi digitali. Memorie, calcolo, intelligenze, sono flussi indotti da sistemi digitali che aumentano le nostre capacità sia quantitativamente che qualitativamente.

Questa saldatura fra il naturale della nostra vita e l’artificiale delle tecnologie digitali è lo spazio di vulnerabilità in cui si concentrano le azioni di attacco dei nostri avversari.

Ciò vale, in maniera ancora più consistente, per imprese o istituzioni, che devono basarsi su una capacità di elaborazione e archiviazione multipla.

Abbiamo infatti visto come ministeri o persino le procure debbano avvalersi di competenze esterne per gestire queste protesi così complesse.

Quanto sta accadendo ci sta dimostrando che questo modello tradizionale, basato su esperti e consulenti, oggi non è più sostenibile.

Oggi sia le istituzioni che le imprese che ogni singolo cittadino, devono ridurre drasticamente l’esposizione sul mercato digitale, diventando il consulente di se stessi.

L’interesse pubblico e la sicurezza non devono diventare merce

Ogni volta che condividiamo l’accesso ai nostri data base con il tecnico dei sistemi di allarme, o con lo specialista informatico per il computer, l’esperto di cybersecurity, stiamo aprendo un varco che inevitabilmente diventerà merce.

La democrazia digitale non può ancora basarsi sulla futile motivazione del costo beneficio: così come per i sistemi militari anche per quelli civili le attività sensibili devono essere gestite autonomamente. Si tratta di ripensare la vecchia catena fordista della distribuzione dei ruoli e riaccorpare nelle figure apicali di enti pubblici o imprese private quelle competenze che diventeranno sempre più strategiche per la nostra vita.

Pensiamo ad esempio ancora alla vicenda del cloud nazionale che prima il governo Draghi, ed oggi ancora con più entusiasmo quello di Meloni, sta appaltando a Google, Microsoft e Oracle, con la banale giustificazione che loro lo sanno fare. Proprio perché lo sanno fare non possono farlo per lo Stato.

Anche Silvio Berlusconi sapeva fare la TV, oppure anche i costruttori sapevano programmare l’urbanizzazione, ma la civiltà democratica ha reso l’interesse pubblico un vincolo rispetto alla competenza. Ora dobbiamo tradurre tutto questo in bit digitali.

29 ottobre 2024

Scritto per Striscia Rossa, 28 ottobre 2024. Cfr. https://www.strisciarossa.it/spionaggio-digitale-la-destra-spia-la-destra-ma-lo-stato-non-deve-appaltare-la-propria-sicurezza-a-privati/.

Michela Mezza
Michela Mezza
Insegna Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli.

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