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“Questa Nazione” dopo due anni di Governo Meloni

Appunti per un incontro presso il Circolo e Centro Studi “Emilio Caldara” a Via De Amicis di Milano

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Premessa

Per cominciare una citazione da un discorso di Giorgia Meloni che potete rivedere su YouTube al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=zk9hbs_86Lo&t=6s

 “Questa Nazione”[1]

Diventato l’intercalare stesso di Giorgia Meloni, una parola ricorrente, qualcuno dice anche una ossessione. Lo sforzo è anche quello di leggere l’idea del “Noi riscriviamo la Storia” (che pure si sente spesso ripetere). Una verità? Una velleità?  un atto di propaganda? Cerchiamo di capire.

Il vocabolario è a disposizione di tutti.

Istituzioni, partiti, imprese, associazioni, cittadini. La scelta è libera. L’uso, la forma, la tonalità e i contenuti implicati determinano – nei processi percettivi – una parte rilevante del significato. Nell’uso corrente – e soprattutto politico – di certe parole questi significati a volte risultano chiari, altre volte confusi.

Per esempio, ci sono cinque parole, quattro costituzionalmente importanti, tra loro diverse che tuttavia si intersecano un po’, che possono essere usate tutte con una distinta pertinenza, che non sopportano assolutismi e chiedono di convivere nel descrivere più o meno un “oggetto comune”.

  • Repubblica è intesa dalla Costituzione come l’articolazione dei livelli di competenza che abbraccia l’intreccio complessivo delle istituzioni (e rinvia alla scelta democratica in alternativa alla convivenza tra monarchia e fascismo).
  • Stato tende ad individuare l’articolazione di governo (centro e autonomie) e in particolare i soggetti istituzionali dotati di potere esecutivo, deliberativo e giudiziario.
  • Nazione è la dinamica per cui quadro istituzionale e sistema socio-produttivo si intersecano con riferimento principale all’evoluzione del processo decisionale e al tema dei confini.
  • Paese è l’espressione di questo stesso intreccio ma con importante connotazione ai processi sociali, storici e territoriali di evoluzione dei rapporti e al pluralismo della rappresentazione (anche linguistica) delle narrative.
  • Patria esprime i sentimenti valoriali attorno a cui le istituzioni e la comunità riconoscono il percorso storico di formazione e di legittimazione.

 L’ossessione di Giorgia Meloni

Meloni adesso vuol far prevalere una di queste cinque parole sulle altre. L’ossessione preferenziale della parola Nazione è stata per la premier Giorgia Meloni un paradigma della traversata del Mar Rosso, in realtà per rappresentare la visione “nazionalista” contro la globalizzazione.

Ma è stata anche usata contro il distacco fatto dalla destra post-fascista dalla posizione post-repubblichina tenuta per mezzo secolo dopo la guerra (al tempo del “fascismo male assoluto” dichiarato da Fini per stare in condizioni pseudo-paritarie nella alleanza con Berlusconi). Distacco che ha costituito la fondazione del partito “Fratelli d’Italia”.

Poi questa ossessione è diventata la bandiera del “sovranismo” italiano ed europeo contro l’equilibrio “europeista” e “integrazionista” del governo dell’Unione Europea da molti anni. Bandiera che ha puntato ad arginare la de-nazionalizzazione anche tra i paesi dell’est e nella fascia euro-latina a sud (costruendo su questo la trama di pur difficili alleanze).

Infine, è stato lo specifico trapano concettuale e linguistico per combattere il concetto gramsciano di Paese, in uso per identificare in termini socio-antropologici quell’insieme che le parole Stato o Repubblica esprimono in forma burocratica. La parola Paese è molto cresciuta culturalmente e giornalisticamente arrivando a diventare linguaggio comune. Ma è ritenuta dall’estrema destra un cedimento alla linea – come vien detto – culturalmente egemonica della sinistra.

A queste quattro ragioni, al tempo stesso ideologiche e politiche, si è unita una quinta “leva”. Non tanto l’accaparramento, da parte della destra, ma il controllo solitario per abbandono del campo da parte dell’avversario della parola “Patria”. Parola che la sinistra, già titolare dell’asse concettuale Risorgimento-Resistenza, si è incoscientemente fatta scappare. Abbandonandola nel glossario, nella ricerca di nessi storici, nel culto delle figure più rappresentative e alla fine nel linguaggio comune.

Intermezzo

Un amico di vecchia data, Paolo Rumiz, giornalista e scrittore indipendente, era di recente a Francoforte, alla Buchmesse con l’Italia ospite d’onore e ha parlato di questo argomento[2]. Cito due riflessioni:

“Ogni giorno mi chiedo quale arsenale di parole abbiamo fornito alla democrazia perché essa potesse esercitare una decente autodifesa. Poi constato che – salvo eccezioni – gli esempi di reale resistenza sono pochi (…). La democrazia è diventata il regno dello sbadiglio”.

E ancora:

“Da scrittore ho avvertito un impressionante trasloco a destra di parole chiave. In Germania, dire Volk (popolo), Traditiòn (tradizione), Heimat (patria), Identität (identità), puzza di nazismo. E così quelle parole sono state consegnate al nemico, che ora se ne serve in esclusiva col risultato di far apparire la democrazia “nemica del popolo”.

Riferimenti ideologici e politici

Ora, il maggioritario bi-polare ha la sua logica e la sua violenza.  Schiacciato il grosso del quadro politico (Italia ed Europa) sul governo delle transizioni globali – necessità assoluta, ma trasformata dalla manipolazione propagandistica in “deriva globalista della sinistra” – anche la destra alla fine si è schiacciata sul nazionalismo, infischiandosene delle catastrofi provocate dal nazionalismo nell’Europa del Novecento.

La legittimazione della storia politica del nazionalismo italiano (pertanto anche fascista) si è fatta anche rivendicando l’a-fascismo delle generazioni nate dopo il fascismo. Al governo, Meloni ha risolto la questione ancorando la desinenza del nazionalismo (“nazione”) con un attaccamento morboso a questa parola capace di contenere quattro virtù simboliche considerate strategiche:

  • la deferenza formale per i corpi militari e paramilitari (connotato di ogni tradizione di destra, divenuto doverosità per le responsabilità di governo);
  • il ruolo del vocabolario alternativo nel lungo e difficile processo di diritto all’alternanza con l’egemonia culturale della sinistra;
  • il tentativo di dare coerenza allo schieramento europeo antieuropeista, mascherandolo come diritto del Paese contributore e non del governo schierato con la maggioranza in seno al Parlamento europeo;
  • la coerenza con l’approccio assertivo, polemicamente teso, non omologato ai predecessori nell’incarico governativo, con cui è gestito il cerimoniale e la retorica della comunicazione istituzionale.

L’aver composto questo spartito su una trama prima di tutto propagandistica (di derivazione mussoliniana, quel propagandismo che ha avuto nella storia repubblicana lo smontaggio ispirato dalla cultura politica cattolica e democristiana a cui si sono aggiunti poi i linguaggi alleati, riformisti e liberali), fa oggi parte dell’idea di nazione:

  1. un concetto ossessionato ma anche fluido,in fondo poco utile al confezionamento dei dossier di governo;
  2. un concetto considerato necessario per il confezionamento dei format di comunicazione pubblica, anzi la parola “nazione” è diventata il paradigma retorico stesso della comunicazione istituzionale del governo e della premier (così che entra nel paniere degli argomenti di due anni appunto di governo).
Deprivazioni e comparazioni

In questa cornice non si consolida molto il vocabolario che sarebbe utile per il nuovo governo del Sistema-Paese (cioè, rapporto tra istituzioni, società e imprese; declinazione orizzontale dei poteri; trattamento della formazione del PIL; negoziato con le disuguaglianze interne).

Perché in questa fase di ossessione nazionalistica, continuano a mancano parole molto importanti nel mondo e in particolare in Europa nel vocabolario di governo, sia nel quadro sociale che nel quadro istituzionale. Penso a territorio, comunità, equilibrio glocal, corpi intermedi; oppure ad autonomie, divisione dei poteri, controllo, indipendenza.

Tutte le sfumature di questi linguaggi stanno dentro l’espressione “questa Nazione” da cui traspaiono spesso pulsioni polemiche. Così continua la deprivazione della necessità di linguaggi complessi (nella spiegazione e nel negoziato) che investe molte relazioni importanti, nazionali e internazionali, tra istituzioni, imprese, alta formazione. Se si ascoltano altri capi di governo occidentali, si sente un altro vocabolario.

Un’ultima annotazione su un’ambiguità ricorrente nell’uso di questa espressione.

  • C’è una logica che prevede la rappresentazione della politica nella formula stretta Destra-Sinistra, una semplificazione per posizionare una retorica da combattimento che appartiene allo schema del maggioritario e dell’alternanza e ad una disputa, senza contenuti veri, sull’egemonia culturale.
  • E poi c’è una logica in cui il bersaglio riguarda prevalentemente i fattori differenzianti all’interno della coalizione di governo in cui il “nazionalismo” è considerato appartenere “per definizione” soprattutto al partito di maggioranza relativa.
Quale idea di Nazione esce dai due anni di questo Governo?

In realtà dopo due anni di governo gli italiani dovrebbero misurarsi soprattutto sull’idea di una azione rivolta al futuro, proprio quello a lungo termine, che la premier e leader del partito di maggioranza relativa forse cova, ma che resta spesso una parola buttata lì, mai veramente declinata.  Qualche domanda.

  • Si è innescato un ciclo che pone fine o che prolunga la lunga età populista(quella del suo inventore Berlusconi e del suo trasformatore Beppe Grillo)?
  • È cominciato un nuovo ciclo (il Censis stima questi cicli ricollocano domanda e offerta di politica attorno a periodi di 25 anni) che – prendendo spunto dall’assioma “Dio, patria, famiglia” – tenda restaurare caratteri autoritari, con condimento conservatore in materia di diritti?
  • Questa “visione” consolida effettivamente alleanze europee per candidare questo “progetto” di restrizione dello spazio comune saldando il rafforzamento dei nazionalismi

Insomma: c’è materia per una reinvenzione dei postulati del Congresso di Vienna? Il congresso restauratore, che cercò di far retrocedere le conquiste della Rivoluzione francese con spinte rivoluzionarie, spostamento dell’asse politico della borghesia e insorgenze liberali che poi si coalizzeranno contro quella restaurazione nel corso dell’Ottocento romantico e risorgimentale e quindi anche patriottico e nazionalistico.

Fino a qui vien da dire che l’idea di Nazione abbia gli occhi al passato, scansi le urgenze delle transizioni contemporanee, non produca culture tendenziali cercando di leggere e interpretare la fisionomia del futuro.

C’è qualcuno che può sostenere in modo argomentato che si stia aprendo (con la leadership Meloni) il ciclo euro-mediterraneo neoumanistico, capace di gestire la transizione ambientale e la transizione migratoria?  Sembra piuttosto che manchino piani, idee e risorse adeguate attorno a quel che Draghi ha provato a spiegare in materia di competitività.   Anzi, sui punti cruciali il posizionamento appare reazionario.

Resta così prevalente l’ipotesi che all’idea di Nazione corrisponda una dinamica senza visione, con annunci, proclami e assertività che si sciolgono in due riti uguali e contrari:

  • quello degli alleati di governo che stridono fino alla decisione e poi si compattano sul voto;
  • quello con le opposizioni che insorgono, limitando la proposta alla richiesta di dimissioni.

Più o meno è il ciclo sbiadito “dello sbadiglio” di cui parla Rumiz, con il contrappeso formale di una propaganda assertiva e martellante.

Il gradimento di Giorgia Meloni – che resta in testa nella leadership politica italiana – è passato dal 58 per cento e 54 per cento (cioè, premier e governo) dell’ottobre 2022 al 47 per cento e 45 per cento dell’ottobre 2023, al 44 per cento (sia premier sia governo) al termine del secondo anno, cioè il 22 ottobre 2024. Lasciamo perdere le intenzioni di voto che hanno rigidità senza però ridurre l’astensionismo che diventa maggioranza assoluta del Paese.

Forse la retorica delle gloriose forme nazionalistiche fa a pugni con manovre finanziarie insufficienti e con le forme moderne di strumenti culturali adeguati a fronteggiare il futuro. Insomma, la “Nazione” rischia di diventare sinonimo di affanno e isolamento.

27 ottobre 2024

[1] Podcast per Il Mondo nuovo, 27 ottobre 2024. Cfr. https://stefanorolando.it/?p=9870.

[2]“Le parole che abbiamo regalato alla destra”, La Repubblica, 15 ottobre 2024.

Stefano Rolando
Stefano Rolando
Insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM. Condirettore di Democrazia futura e membro del Comitato direttivo di Mondoperaio.

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