Guerre, punto – Andatelo a spiegare ai familiari di chi muore, in questi giorni, in Ucraina o nella Striscia di Gaza, ucciso nei combattimenti o sotto le bombe, militare o miliziano, donna o bambino. Ma le schede nelle urne pesano di più delle pallottole al fronte: la diplomazia internazionale è quasi in stand-by nell’attesa delle presidenziali in Iran, domani, e delle politiche in Francia domenica (con ballottaggi la domenica successiva 7 luglio) e in Gran Bretagna giovedì 4 luglio.
I voti in Francia e in Gran Bretagna possono intaccare la coesione dell’Occidente nel sostenere l’Ucraina. Per Politico, le elezioni francesi rischiano di “silurare l’ordine internazionale” e condizionare l’Ue e la Nato. L’impatto del verdetto britannico dovrebbe essere minore: un cambio di maggioranza, dai conservatori ai laburisti, ma sostanziale stabilità sulla scena internazionale.
In Iran. sei sono i candidati ammessi alla competizione elettorale, per rimpiazzare il presidente Ebrahim Raisi deceduto in un incidente d’elicottero il 19 maggio. Il risultato influirà sull’atteggiamento di Teheran nel conflitto tra Israele e Hamas-. Informazioni confidenziali diffuse dalla stampa occidentale negli ultimi giorni indicano che l’Iran ha ampliato la propria maggiore installazione nucleare, triplicando la produzione potenziale di uranio arricchito e avvicinando l’ora in cui potrebbe dotarsi di un arsenale nucleare, se decidesse di farlo.
Un ulteriore elemento di pericolo e di incertezza nella Regione. Dove il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres esprime forte preoccupazione che “il Libano diventi un’altra Gaza”: “La regione e il Mondo non possono permetterselo. Il rischio che il conflitto in Medio Oriente si allarghi è reale e va evitato”, dice parlando ai giornalisti al Palazzo di Vetro di New York, mentre da Israele e dalla Striscia di Gaza continuano ad arrivare intrecci d’informazioni angoscianti e allarmanti, ma anche contraddittorie, politiche, militari, umanitarie.
La messa in guardia agli Hezbollah che una guerra a tutto campo è possibile viene da Israele, dopo che la milizia filo-iraniana ha pubblicato un video di 9’, probabilmente preso con droni, che mostra installazioni militari e civili israeliane in diverse città. Il video, che suona implicita minaccia, segue quasi nove mesi di reciproche scaramucce sul confine israelo-libanese, con lanci di razzi verso Israele e raid sulle postazioni degli hezbollah, costante contrappunto in tono minore della guerra nella Striscia.
Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sempre invitato Hezbollah a non innescare un’escalation. E Hezbollah ha sempre risposto che cesserà le punture di spillo, spesso letali, contro Israele quando cesserà il conflitto a Gaza. Finora, i miliziani non hanno mai dato l’impressione di volere arrivare allo scontro aperto, che gli israeliani non escludono nei loro calcoli strategici – basti ricordare l’attacco contro una rappresentanza diplomatica iraniana a Beirut e le tensioni conseguenti -.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ne ha parlato a Washington, con i segretari di Stato Antony Blinken e alla Difesa Lloyd Austin. Le divergenze fra Usa e Israele non s’appianano, anzi. Austin parla delle “conseguenze disastrose” di un nuovo conflitto tra Israele e Hezbollah in Libano e sottolinea l’urgenza di “una soluzione diplomatica”. Gallant afferma: “Lavoriamo intensamente per raggiungere un accordo, ma dobbiamo anche essere pronti ad ogni scenario possibile”.
Guerre: Ucraina, contatti Usa–Russia, Ue negozia con Kiev, verso Vertice Nato
Sul fronte ucraino, la routine di combattimenti e bombardamenti ha vissuto una brusca impennata, lo scorso fine settimana, con un attacco ucraino sulla Crimea, che ha provocato una strage di civili su una spiaggia di Sebastopoli, e quelli russi su Kharkiv; e con le azioni terroristiche di matrice ancora incerta nel Daghestan dirette contro due chiese ortodosse, una sinagoga e un posto di polizia – vittime a decine, almeno 15 agenti e numerosi civili, oltre ai terroristi neutralizzati -.
L’attacco ucraino in Crimea – cinque missili, quattro intercettati, uno ‘deviato’ con ricadute letali – viene attribuito da Mosca a sistemi a lunga gittata forniti da Washington a Kiev e alimenta tensioni russo-americane, in una fase in cui la diplomazia occidentale pesta nel mortaio di formule trite e sterili, mentre al fronte nulla accade, a parte il consueto stillicidio di morti (anche civili) ammazzati nei combattimenti in prima linea e sotto i bombardamenti nelle retrovie.

Il ministro della Difesa russo Andrei Belousov ha avuto un colloquio telefonico – era il suo primo – con il capo del Pentagono Austin e ha messo in guardia dal rischio di ulteriore escalation a causa delle armi Usa fornite dall’Ucraina. Lo riferisce la Tass, citando un comunicato della Difesa russa: “I due ministri, in una telefonata su iniziativa americana, hanno scambiato opinioni sulla situazione in Ucraina”. Per il portavoce del Pentagono, il generale Pat Ryder, Austin e Belousov hanno deciso di “tenere aperte le linee di comunicazione”. Era dal marzo 2023, cioè da 15 mesi, che Austin non parlava con il suo omologo russo, all’epoca ancora Sergej Shoigu.
Il generale Ryder ha pure ribadito che il presidente Joe Biden e “Austin hanno deciso di non inviare soldati americani in Ucraina” e che “questa decisione è ancora valida”. Ryder commentava notizie di stampa secondo cui l’Amministrazione Biden avrebbe dato un ok alla presenza di contractor Usa in Ucraina.
Anche Kiev si lamenta con Washington: le restrizioni poste all’uso di armi Usa sul territorio russo impediscono – dicono i generali ucraini – di colpire le basi russe da cui partono gli attacchi contro l’Ucraina; e i russi ne approfittano per accelerare i progressi sul terreno, continuando a occupare porzioni di territorio.
Un segnale che i rapporti tra Usa e Russia non migliorano è la notizia che il giornalista del WSJ Evan Gershkovich, arrestato con l’accusa di essere una spia della Cia e detenuto da oltre un anno, verrà processato. Gershkovich, che respinge tutte le accuse, andrà a giudizio a Ekaterinburg, l’esclave russa sul Baltico tra Polonia e Lituania. In passato s’era ipotizzato un possibile scambio, che avrebbe potuto coinvolgere Alexei Navalny, il leader dell’opposizione poi deceduto in carcere in Siberia, o Vadim Krasikov, una spia russa condannata e incarcerata in Germania per omicidio.

Stati Uniti e Paesi europei paiono attendere di analizzare la situazione al Vertice della Nato a luglio a Washington, dopo i voti politici in Francia e in Gran Bretagna. Intanto, sono stati sciolte le ultime riserve (ungheresi e romene) su chi succederà a norvegese Jens Stoltenberg a segretario generale dell’Alleanza atlantica: toccherà all’olandese Mark Rutte, liberale, premier uscente del suo Paese. La nomina, formalizzata dai leader della Nato a Washington, sarà operativa dal 2 ottobre.
Lato Ue, i 27 hanno eluso le riserve ungheresi e hanno concordato, come ipotizzato al G7 in Puglia, di utilizzare per aiuti all’Ucraina 1,4 miliardi di euro ricavati dai beni russi immobilizzati. Inoltre, c’è stata l’apertura a Bruxelles dei negoziati per l’adesione all’Unione di Ucraina e Moldavia: ci vorranno anni perché il processo si concluda.
Infine, la Corte penale internazionale dell’Aia ha emesso mandati d’arresto per crimini di guerra contro l’ex ministro della Difesa russo Shoigu e il capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, ritenuti responsabili della morte di civili. La Corte non ha modo di rendere esecutive le proprie decisioni: tocca agli Stati che la riconoscono – e Russia, Ucraina e Usa non sono fra questi – eseguirle.
Guerre: Medio Oriente, Netenyahu “in conflitto praticamente con tutti”

In Medio Oriente, la diplomazia multilaterale quasi s’astiene, forse conscia di non cavarne un ragno dal buco. Lascia fare in sordina a Usa, Egitto e Qatar, che pure annaspano. Il livello delle relazioni tra Israele e Usa continua a deteriorarsi: il premier israeliano Benjamin Netanyahu denuncia carenze nell’aiuto militare americano e induce l’Amministrazione Biden a repliche elettoralmente scivolose (“Non abbiamo mai fatto mancare l’aiuto alla sicurezza di Israele”). Netanyahu è “in guerra praticamente con tutti”, scrive sul Washington Post Ishaan Tharoor, dentro e fuori il suo Paese.
A complicare la situazione, sul piano politico interno israeliano, arriva la Corte Suprema israeliana: una sentenza unanime stabilisce che gli studenti ultra-ortodossi sono soggetti al servizio militare, come qualsiasi altro cittadino. Pare ovvio, ma in Israele non è così: la destra ultra-ortodossa valuta se lasciare il governo e fare venire meno la maggioranza su cui si regge Netanyahu. L’esenzione dalla leva degli ultra-ortodossi, frutto di accordi, ma non scritta in una legge, è sempre stata motivo di tensioni, aggravatesi con la guerra che, in quasi nove mesi, è costata la vita a circa 300 militari israeliani. La caduta del governo avrebbe come inevitabile conseguenza nuove elezioni.
Il conflitto nella Striscia di Gaza starebbe, intanto, evolvendo verso una fase meno intensa e cruenta di bombardamenti e combattimenti. La transizione a operazioni militari più mirate darebbe respiro ai civili palestinesi, che vivono sulla linea del fuoco e in condizioni “indicibili” e “apocalittiche”, secondo agenzie dell’Onu e organizzazioni umanitarie. Ma meno guerra a Gaza potrebbe volere dire, nell’algebra di Netanyahu “fin che c’è conflitto, io resto al potere”, più guerra a Nord, direzione Libano.
In attesa che gli impegni a ridurre al minimo le vittime civili e a consentire arrivo e distribuzione degli aiuti trovino concreta attuazione, le cronache registrano ancora lutti e orrori: fanno ancora discutere attacchi contro campi profughi e un convoglio della Croce Rossa. Le vittime del conflitto sono stimate a oltre 37.500 dall’8 ottobre a oggi, dopo che, il 7 ottobre, raid terroristici di Hamas e altre sigle in territorio israeliano avevano fatto 1.200 morti.
L’Onu non esclude una sospensione delle operazioni umanitarie, finché la loro sicurezza non sarà stata migliorata. Il pontile allestito dai militari statunitensi al largo della Striscia si rivela un flop: danneggiato un’ennesima volta dal mare grosso, sarà abbandonato.
Resta il nodo degli ostaggi trattenuti a Gaza, non è chiaro da chi e dove: sarebbero ancora 120, ma si ignora quanti di essi siano ancora vivi. Le trattative per una tregua duratura in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi proseguono sotto traccia. Gli Stati Uniti continuano ad avvicendare la loro presenza diplomatica nella Regione, senza però risultati tangibili.