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Manifesto Democratico 94: trent’anni dopo, la libertà d’espressione va ancora difesa

Dichiarazioni raccolte nel 30o anniversario del Manifesto democratico 1994

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Trent’anni fa, la rivista bimestrale ‘Belfagor’, allora diretta da Carlo Ferdinando Russo, pubblicava il Manifesto Democratico 1994, primi firmatari Raffaele Fiengo, Cesare Segre e Corrado Stajano.

Il documento ebbe l’adesione di centinaia di intellettuali, docenti, professionisti, giornalisti, che esprimevano preoccupazioni e ponevano interrogativi di fronte all’evoluzione della democrazia e della società italiane, in coincidenza con la discesa in politica di Silvio Berlusconi.

Nei trent’anni trascorsi, il panorama informativo mondiale e italiano è profondamente cambiato, con la generalizzazione di internet e l’avvento dei social networks. La televisione, che catalizzava allora i timori dei firmatari, quanto alla possibilità di un monopolio e di uno spregiudicato utilizzo della pubblicità, ha lasciato spazio alla società in rete prima, e a quella delle piattaforme ora.

Anche lo scenario politico è radicalmente mutato: in Italia, si sono susseguiti per un lungo periodo un bipolarismo ‘de facto’, poi la rivoluzione della meccanica tripolare e, infine, il ritorno alla più tradizionale contrapposizione destra-sinistra.

240425 Manifesto Democratico - Uber
Una vignetta di Gianfranco Uber sul XXV Aprile: sul bidone della spazzatura fasci-nazista, c’è scritto ‘non riciclabile’. E la leggenda di Uber dice: “Sarebbe buona norma rispettare le indicazioni”

Ma alcune delle preoccupazioni e degli interrogativi di quel ‘94 restano – o tornano – attuali, fra cui quelli dell’articolo 4 del Manifesto Democratica che tocca i temi della libertà di manifestazione e d’espressione e della libertà d’informazione. Episodi recenti, come interventi di polizia piuttosto violenti a sedare manifestazioni studentesche, in particolare a Pisa e a Firenze; forme d’intolleranza del dissenso; tentativi di controllo e di omogeneizzazione dell’informazione sono tutti segnali d’allarme che vanno colti e segnalati e cui bisogna opporre una convinta ferma civile resistenza.

L’articolo 4 del Manifesto Democratico recita: “La libertà della parola parlata e della parola scritta è alla base di tutte le altre libertà. Fondamento concreto della democrazia è l’esercizio effettivo della libera espressione del pensiero e dei diritti d’informazione. Costituisce un attentato quotidiano contro di essa il monopolio dei mezzi potentissimi con cui può essere limitata, falsata, influenzata o conculcata”.

“Le antenne con le quali milioni di uomini sono usciti dall’isolamento costituiscono per ciascun cittadino un bene prezioso e delicato, di cui nessuno può avere il dominio assoluto. Lo stesso vale per la pubblicità. strumento pericoloso di potere e di propaganda politica se ne è consentito il monopolio a chicchessia. Nel momento stesso in cui il cittadino è ammesso ai nuovi consumi rischia di essere fatto prigioniero di propaganda politica totale ed esclusiva”.

Sotto lo stimolo di Raffaele Fiengo, e con il coordinamento dei loro docenti Christian Ruggiero e Giampiero Gramaglia, studentesse e studenti del CoRiS – Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale – e del corso di Agenzie e Nuovi Media del corso di laurea in Editoria e Scrittura della Facoltà di Lettere della Sapienza hanno chiesto ad alcuni dei firmatari di allora e ad alcuni altri intellettuali attivi nell’ambito della comunicazione politica se e in che misura quel documento resti valido e se e in che misura la libertà d’espressione e di informazione siano evolute nel nostro Paese.

Nel video allegato e qui a seguire, una sintesi dei pareri espressi da Paolo Ambrosi, Alberto Burgio, Giancarlo Consonni, Paolo Di Stefano, Giulio Ferroni, Teresa Isenburg, Mario Isnenghi, Silvana La Spina, Gianfranco Pasquino, Carla Riccardi, Vittorio Roidi e Francesco Saverio Vetere.

Autori di questo lavoro sono stati le studentesse e gli studenti Francesca Arcese, Martina Capozzi, Nicolò Cozzolino, Mattia D’Aloja, Alessia De Rinaldis, Andrea D’Uva Cifelli, Gemma Fellas, Nathalie Fiorillo, Cosimo Gasparro, Irene Giammatteo, Raffaele Leso, Giorgia Marini, Francesca Mastrovito, Manuel Palumbo, Alessandro Pasini, Diletta Rainone, Marta Raponi, Chiara Romano, Rachele Russo, Shania Sargentoni, Giada Sereni, Anastasia Ulino, Luca Valentini, Antonietta Vassallo e Francesco Zega.

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Paolo Ambrosi, psichiatra

Manifesto Democratico 94 - Paolo Ambrosi
Paolo Ambrosi

Ho aderito al Manifesto Democratico 1994 insieme ad un gruppo di colleghi psichiatri (sette) che costituiva l’équipe della Clinica psichiatrica dell’Università di Pavia, il cui direttore era Dario De Martis, professore ordinario: egli venne invitato ad aderire al Manifesto dal professor Cesare Segre, ordinario di Filologia Romanza della stessa Università, e sottopose a tutti i suoi collaboratori la richiesta. La accettammo tutti esprimendo un consenso unanime su ogni punto del manifesto…

Tutti i punti del Manifesto ci sembravano importanti per contrastare il rischio di passi indietro nell’attuazione della legge 180/78, la Legge Basaglia, e, tra questi, il  punto 4 ci sembrava il più pertinente per i nostri compiti istituzionali, se consideriamo che la legge 180 si reggeva prevalentemente su motivazioni di natura sociale e politica;  ritenevamo perciò indispensabile che fossero discusse e trattate dai media in modo libero e  democratico, senza essere monopolizzate e controllate da gruppi di potere di qualsiasi natura.

Eravamo anche convinti, in particolare, che gli aspetti più intrinsecamente scientifici della legge 180 non fossero stati considerati in modo adeguato e che, anzi, venissero discussi e presentati al pubblico con modalità distorte da motivazioni ideologiche che impedivano una corretta informazione dei cittadini…

Ritengo che dopo 30 anni il Manifesto resti valido e lo firmerei ancora, ma riterrei necessari alcuni aggiustamenti che tengano conto del cambiamento della libertà d’espressione dovuto all’espansione di nuovi mezzi di comunicazione che allora erano ancora embrionali.

A partire dalla pandemia Covid si sono moltiplicate le turbolenze geopolitiche e militari a livello mondiale, che hanno avuto ripercussioni potenti e devastanti sull’opinione pubblica le quali, a loro volta, hanno prodotto in Italia la diffusione di movimenti qualunquistici, populistici e reazionari che sono giunti a controllare sia il parlamento sia il governo. Questo assetto politico, che gode di un forte consenso popolare, non è favorevole alla piena attuazione dei principi di base della legge 180 su tutto il territorio nazionale…

La situazione è recentemente degenerata, come è confermato dalla lettera che 450 psichiatri, tutti operativi nei servizi pubblici, hanno recentemente inviato al presidente della Repubblica per denunciare il degrado irreversibile dell’assistenza psichiatrica pubblica, che stride in modo clamoroso con le celebrazioni per il centenario della nascita di Basaglia…

Attualmente io sono in pensione e non lavoro più nei servizi psichiatrici pubblici, ma continuo l’attività clinica come libero professionista e quella didattica. In questi anni mi sono dedicato in particolare al trattamento dei pazienti con disturbi di personalità, in particolare quello borderline, che arriva molto spesso all’attenzione mediatica per episodi di cronaca clamorosi ed è oggetto di interesse nel mondo dello spettacolo cinematografico e musicale…

Nel corso di questa esperienza clinica mi sono specializzato in una modalità di psicoterapia denominata MBT (Mentalization Based Treatment) che è stata sviluppata dallo psicoanalista Peter Fonagy e dai suoi collaboratori presso l’Anna Freud Centre di Londra … Attualmente sono vicepresidente di una associazione di studio e di ricerca che si chiama GIMBT (Gruppo Italiano MBT), affiliato all’Anna Freud Centre di Londra.

Gli sviluppi più recenti di questo modello di psicoterapia hanno evidenziato che l’ostacolo principale all’efficacia terapeutica consiste  non tanto in un sintomo di evidente rilevanza psicopatologica, ma in un atteggiamento mentale, definito ‘Sfiducia Epistemicai: uno stato cronico in cui i pensieri e i sentimenti degli altri – implicati  nelle loro motivazioni e nelle loro intenzioni – non sono sentiti come affidabili, generalizzabili e rilevanti per se stessi, che esordisce in età infantile e si organizza come un aspetto fisso della ‘personalità’ di un individuo.

Ne consegue che le esperienze e le affermazioni degli altri – incluso i terapeuti che si prendono cura di loro – sono categoricamente considerate come non affidabili né rilevanti e non possono essere perciò assimilate e utilizzate per modificare e correggere gli aspetti disfunzionali della propria personalità.

Di per sé, un atteggiamento di “Vigilanza Epistemica” – in cui le affermazioni e le esperienze degli altri sono valutate con una certa cautela – è uno strumento prezioso per proteggersi dalla disinformazione derivante da malizia o incompetenza da parte di altri.

Tuttavia, se viene mantenuta e sviluppata a livelli persistenti e indiscriminati di “Iper-vigilanza Epistemica”, conduce alla “Sfiducia Epistemica”, che è l’opposto della “Fiducia Epistemica”, cioè la disponibilità di un individuo a considerare le nuove conoscenze di un’altra persona come degne di fiducia, generalizzabili e rilevanti per sé. La “Fiducia Epistemica” è una garanzia che l’individuo possa cambiare in sicurezza la propria posizione; innesca l’apertura di quella che possiamo pensare come una “superstrada epistemica”, un meccanismo evolutivamente protetto che segnala la disponibilità ad acquisire conoscenza….

Queste dinamiche hanno una evidente analogia con la politica populista estremista: «Sono maltrattato. Il mondo è ingiusto con me. Sono stato escluso» sono convinzioni rinforzate dai movimenti populisti: «Sì, sei stato escluso. Sei stato maltrattato. Dovresti ribellarti e sono sorpreso che tu abbia sopportato tutto questo per così tanto tempo».

Queste dinamiche sono molto radicate e solide nei nuovi mezzi di comunicazione sociale attraverso la crescente diffusione di Internet e della Rete Globale; hanno prodotto effetti devastanti sull’opinione pubblica, diffondendo un atteggiamento scettico nei confronti di tutte le fonti di informazioni un tempo ritenute autorevoli, che si estende anche alla scienza, incluso quella medica, come si è visto in occasione della recente pandemia da Covid-19.

Dichiarazioni raccolte da Cosimo Gasparro e Raffaele Leso

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Alberto Burgio, docente universitario

240425 Manifesto Democratico - Alberto Burgio
Alberto Burgio

Secondo il professor Alberto Burgio, il Manifesto Democratico 1994 è ancora attuale, in quanto si basa su concetti essenziali della nostra Costituzione e segnala pericoli ancora presenti nella realtà odierna. E’ importante insistere sui valori che sentiamo minacciati, ma è necessario stare attenti al concetto di monopolio su cui il punto quattro insisteva.

Nel ‘94, con la discesa in campo di Berlusconi, un simile concetto non si era formalmente concretizzato, perché a nessuno venne formalmente impedito di esprimere le proprie opinioni: di fatto, tuttavia, si era creata una situazione in cui sebbene tutti parlassero, solo pochi venivano realmente ascoltati. Ci troviamo oggi, secondo Burgio, in una posizione analoga, e anzi aggravata dal “suicidio politico” della sinistra e da una sostanziale indifferenza nei confronti delle questioni sociali e morali più delicate, come l’evasione fiscale e la corruzione.

Oggi la libertà di espressione corre gli stessi rischi di trent’anni fa, sebbene gli strumenti siano diversi: la diffusione dei social permette a tutti di esprimersi indistintamente in un “chiacchiericcio di infima qualità”, ma “nel momento in cui tutti parlano è come se non parlasse nessuno” e prevalgono i pochi che dispongono realmente delle posizioni dominanti.

Oggi in Italia risulta sempre più difficile definire il concetto di cultura democratica. Burgio sostiene che il problema del monopolio dell’informazione non risieda nella dicotomia pubblico-privato, ma nell’aver tradotto nella “chiacchiera immediata” e fine a se stessa la sfera pubblica, nella quale, al contrario, dovrebbe vigere il principio di competenza ed essere poste in rilievo intelligenze, cognizioni e volontà consapevoli.

Riferendosi al dissenso espresso tramite comunicato da tutti i telegiornali della Rai contro le nuove regole sulla par condicio televisiva, Burgio ha sottolineato come la Rai sia uno dei canali attraverso cui si realizzi l’intenzione di accentrare e controllare comunicazione ed informazione. “Sarebbe augurabile – afferma – che i giornalisti denunciassero queste minacce, rifiutando di conformarsi alle logiche della propaganda governativa”.

Quella di oggi è una situazione solo in apparenza più libera, in realtà invece caratterizzata dall’assenza del confronto civile e di un reale pluralismo. Per il professore dell’Università di Bologna “è difficile recuperare nel breve periodo il terreno perduto, perché l’accesso immediato allo scambio di opinioni concesso dai social diffonde l’illusione di vivere in uno spazio pubblico ridotto ormai a un simulacro”.

Dichiarazioni raccolte da Nicolò Cozzolino, Gemma Fellas, Alessandro Pasini, Luca Valentini

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Renata Colorni, traduttrice

240425 Manifesto Democratico 94 - Renata Colorni“Ho riletto con attenzione – scrive Renata Colorni – il Manifesto Democratico 1994 che Raffaele Fiengo, Cesare Segre e Corrado Stajano avevano scritto e fatto circolare nei primi mesi di quell’anno e che la rivista Belfagor pubblicò nel successivo mese di novembre con un chiarissimo ed elegante  scritto introduttivo dello stesso Segre intitolato ‘Motivazioni e programmi’.

Sono certa di avere allora sottoscritto con convinzione il manifesto, e di sicuro non pensavo che a distanza di ben trent’anni sarebbero risultati ancora validi, e casomai ancora più stringenti e allarmanti, i motivi e le apprensioni che indussero a scrivere quei dieci punti intesi a ribadire e difendere i valori costituzionali innegabilmente fondati sulla lotta clandestina contro il fascismo e sulla Resistenza, nonché a preservare per l’avvenire  le prerogative di uno Stato che potesse a buon diritto definirsi libero e democratico.

Eppure, proviamo a pensare alla situazione politica, culturale e sociale nella quale oggi viviamo e ad alcuni recenti avvenimenti che sono tuttora al centro del dibattito pubblico. La separazione del potere politico da quello giudiziario e da quello economico (si veda il punto 5 del Manifesto) è messa continuamente a repentaglio dagli attacchi politici all’indipendenza dei magistrati e dall’assoluta indifferenza della classe politica attuale per il valore e l’utilità sociale dei provvedimenti economici che vengono varati – i tagli  alla sanità e alla scuola pubblica, per esempio.

La difesa dei diritti di ogni cittadino (si veda il punto 7 del Manifesto) è senza alcun dubbio platealmente negata dalla presenza intimidatoria all’interno dei consultori delle organizzazioni antiabortiste, e questo provvedimento fa sì che sia reso ancora più difficile e doloroso di quanto già non sia il percorso di libertà che la legge 194 ha promesso di garantire a tutte le donne del nostro Paese.

Basta pensare, dicevo, a questa situazione per renderci conto che oggi, a distanza di trent’anni dal manifesto, è in generale ancora ben lontano dall’essere rispettato l’articolo 3 della nostra Costituzione che parla dell’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini e della loro pari dignità sociale (punto 2).

Inoltre, e vorrei sottolineare con forza questa particolare circostanza, siamo  confrontati, proprio in questi giorni, con un ardito progetto di revisione costituzionale che consiste in una vera e propria riscrittura, o meglio contraffazione, di alcuni aspetti assai rilevanti della  carta costituzionale.

Ritengo che di tutte le idee che vengono oggi avanzate dalla classe politica che ci governa, l’idea del cosiddetto “ premierato”, con tutto ciò che essa comporta, la brutale prevaricazione della maggioranza sulla minoranza (citata nel punto 6 del Manifesto) grazie alla elezione diretta e auspicabilmente plebiscitaria del capo del governo, nonché il drastico ridimensionamento delle prerogative e dei poteri del presidente della Repubblica, sia di tutte la più incisiva e pericolosa, quella che se dovesse passare rappresenterebbe un vero attentato alla nostra già fragile e imperfetta democrazia e garantirebbe all’attuale governo del Paese la auspicata, sebbene ipocritamente negata, ‘torsione autoritaria’.

Per questo motivo, avendo bene in mente il recente e davvero paradossale ‘caso Scurati’ ma non solo, e poiché ritengo che sicuramente  tutti noi siamo chiamati a difendere e tutelare i principi della Costituzione del 1948 da iniziative intese a distorcerne il senso più profondo, ma sapendo d’altra parte che spetta essenzialmente alla libera e critica stampa il delicato e difficile compito di illustrarci le insidie e i pericoli che ci stanno dinnanzi, dichiaro con assoluta persuasione  di volere ancora una volta sottoscrivere il Manifesto Democratico 1994, del quale voglio qui riprodurre le prime righe dell’importantissimo punto 4:

‘La libertà della parola parlata e della parola scritta è alla base di tutte le altre libertà. Fondamento concreto della democrazia è dunque l’esercizio effettivo della libera espressione del pensiero e dei diritti di informazione'”.

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Giancarlo Consonni, docente universitario

240425 Manifesto Democratico - Giancarlo Consonni
Giancarlo Consonni

Docente ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano nel 1994, oggi professore emerito, Giancarlo Consonni riflette, trent’anni dopo, sul Manifesto Democratico.

Partiamo dall’art. 4 del Manifesto, sulla libertà d’espressione: un testo ancora valido?
Assolutamente sì, come tutto il Manifesto. E’ una pietra miliare dopo la Costituzione: ha una visione di lungo periodo, e mantiene la sua attualità. Va in questa direzione anche il punto 10, sulla “necessità di difendere l’avvenire”: guardare al respiro storico della Resistenza e della Costituzione, consapevoli che ogni azione comporta conseguenze non solo su di noi, ma anche sul futuro.

Cosa la spinse a firmare?
E’ un documento prezioso, perché segnala i pericoli incombenti sull’Italia nel passaggio delicato del ‘94 rispetto allo spirito costituzionale. Tutto ciò nonostante non abbia avuto un grande esito popolare, a dispetto delle tante adesioni. Ci fu anche il tentativo – dal notaio Marchetti a Milano – di istituire un’associazione, ma elevare il Manifesto a vero e proprio movimento avrebbe richiesto energie oltre le possibilità: organizzare adesioni e risposte era diventato faticosissimo.

E allora, com’è cambiata la libertà d’espressione dopo trent’anni?
La mia opinione è negativa: il quadro è molto peggiorato, c’è una netta crisi, i cui sintomi risalgono proprio al ‘94. I giornali sono sempre meno letti, nel passaggio da carta stampata a virtuale. C’è poco filtraggio dei contenuti e laddove ciò accade è per effetto dei mezzi di comunicazione di massa, su tutti la televisione. Manca il rispetto di diritti come il dissenso e la critica, che dovrebbero rappresentare il sale della democrazia: la critica non sminuisce chi governa, bensì fa crescere nel ruolo di servizio al Paese.

Il ruolo delle nuove tecnologie: come si incastrano in questo peggioramento
Innanzitutto con l’annullamento della memoria: l’eterno presente, il vivere l’istante, come se non ci fossero né passato né futuro. Questa ossessione mediatica nasconde il “dove stiamo andando”, ci rende consumatori e non protagonisti. C’è un eccesso di consumo del tempo: semina in cui vengono solo dissipate energie. Altro elemento critico è un linguaggio sempre più improprio, complice il quale la conoscenza del reale è ulteriormente mascherata: un’incapacità di descrivere e interpretare il mondo.

Capitolo attualità: un parere sul dibattito sulla par condicio verso le europee?
Io vedo un problema a monte: tutta la bagarre politica si basa sull’idea di cittadino come esponente di una mandria da manovrare, anziché protagonista da far crescere. Egli viene trattato come un tifoso sportivo, e invece andrebbe (ri)educato: se nel calcio tifi per fede, a prescindere da gioco e risultati, il Paese è qualcosa di molto più profondo, e l’assenza di tale crescita civile mi preoccupa.

Il resto è fatto di scaramucce momentanee come questa: riprova dello scarso respiro della politica, che vive in conflitti quotidiani collocati perlopiù sui social, e non nel vissuto delle persone. C’è uno scollamento dello scontro politico dalle questioni di fondo: come dicevo, un mascheramento della realtà’.

Chiudiamo con un altro tema caldo sul fronte giornalistico: la (discussa) proposta della reclusione fino a 4 anni per il reato di diffamazione. La sua visione?
C’è poco da dire. E a questi avvenimenti si aggiunge l’altrettanto triste vicenda di Luciano Canfora. Bisogna lasciar fiorire le critiche, senza le quali il potere diventerà sempre più meschino, di corto respiro, e a pagare sarà il Paese.

Bisogna fare attenzione a questo gioco tra tifoserie che non ragionano: riflettere sul futuro e sugli interessi del Paese è il primo punto. Invece, tutto ciò viene eclissato da un corpo a corpo basato sul vuoto: si risponde colpo su colpo senza lasciare alcun effetto, se non quello di contribuire all’incapacità del Paese di autogovernarsi e auto-rappresentarsi. E questo è terribile: dopotutto, alimentare lo scontro è una forma che imita la guerra, seppur fatta con le parole’.

Dichiarazioni raccolte da Giorgia Marini e Manuel Palumbo

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Paolo Di Stefano

240425 Manifesto Democratico - Paolo Di Stefano
Paolo Di Stefano

Cesare Segre è stato un intellettuale di spicco nel panorama italiano, non solo per i suoi notevoli contributi nel campo della filologia e della semiotica letteraria, ma anche per il suo impegno civile e politico, riflesso nei suoi interventi e nel Manifesto Democratico.

In occasione del trentennale del Manifesto, Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera, scrittore nonché firmatario dello stesso Manifesto, fornisce in veste anche di allievo un ricordo della figura di Cesare Segre, che fu tra i promotori del documento.

“Segre era un professore che appariva molto timido, era un professore che leggeva gli appunti, che era di estrema precisione nel dire le cose. Alla lettura dei suoi testi e delle sue lezioni, scoprivi un tesoro straordinario e di grandissima intelligenza e di grandissima novità.”

Da filologo romanzo e critico di livello internazionale, Segre ha influenzato profondamente la letteratura e gli studi umanistici. “Figura chiave nell’ambito della semiotica letteraria, è stato lui a inventare questo concetto di semiotica filologica che metteva insieme i due aspetti più interessanti della sua attività: da una parte la filologia quasi come habitus morale e dall’altra parte la semiotica.”

La sua collaborazione con il Corriere della Sera a partire dagli Anni ’80 segnò una nuova fase nella sua carriera, introducendo interventi di critica letteraria che presto si trasformarono in un’attenta riflessione sulla situazione politica italiana. Di fronte all’avvento del governo Berlusconi nel 1994 e alle preoccupazioni sulle connessioni tra politica e giustizia, Segre si unì a intellettuali come Raffaele Fiengo e Corrado Stajano per redigere il manifesto democratico.

Il manifesto segnò una svolta per Segre, che aveva vissuto da giovane le persecuzioni antisemite durante il regime fascista. Da quel momento, i suoi interventi sul Corriere della Sera non furono solo critici letterari, ma assunsero un carattere civile e politico più ampio.

Questo impegno culminò nel suo ‘Diario Civile’, una raccolta di interventi che spaziano dagli Anni ’80 fino agli ultimi anni di vita di Segre, evidenziando il suo pensiero etico e civile.

Egli ha sottolineato l’importanza di coniugare la forma letteraria con il contenuto etico, specialmente nella letteratura della Shoah e in autori come Primo Levi. “Segre elabora un nuovo modo di vedere il testo letterario: aggiunge un’attenzione al valore etico del testo, al valore politico, al valore civile del testo letterario; dunque, per lui un’opera letteraria ha valore anche per il messaggio che trasmette”.

Segre era anche un critico attento della scuola e delle riforme educative. Si opponeva fermamente all’idea di una scuola orientata verso l’aziendalismo e la formazione al lavoro; invece, sottolineava il ruolo della scuola nell’educare alla cittadinanza critica e consapevole.

Rispetto alla libertà di espressione e di stampa, Segre avrebbe certamente espresso preoccupazione per il clima attuale, dove l’informazione è spesso soggetta a pressioni politiche e dove il dialogo tra giornalisti e politici sembra impoverirsi.

Essendo lei, Di Stefano, uno scrittore, un giornalista, nel corso della sua carriera ha assistito o ha vissuto in prima persona un episodio in cui ha sentito che la sua libertà di espressione venisse violata o messa in pericolo?
Lavorando a La Repubblica, sapevo più o meno quali erano i binari dentro i quali io mi potevo esprimere e condividevo pienamente quel tipo di linea; quindi, non mi sono mai trovato a dovere combattere per difendere una mia opinione.

Del resto, diciamo che io mi sono sempre occupato di cultura, di letteratura, sono stato responsabile poi per il Corriere della Sera delle pagine culturali, quindi, sì, ci sono state naturalmente delle interferenze e delle sovrapposizioni di tipo politico o civile, ma ovviamente, queste si sentono meno che non lavorando dentro redazioni di tipo strettamente politico.

Tornando a Segre: egli merita di essere ricordato non solo per la sua eccellenza accademica, ma anche come voce impegnata nel dibattito sociale e politico. Il suo ‘Diario Civile’ offre una panoramica della sua sensibilità etica e civile. Cesare Segre ci lascia un monito importante sulla necessità di difendere la libertà di pensiero e di espressione in un contesto sempre più complesso e politicamente influenzato.

Dichiarazioni raccolte da Francesca Mastrovito

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Giulio Ferroni, docente universitario

240425 Manifesto Democratico - Giulio Ferroni
Giulio Ferroni

Dopo trent’anni dall’uscita del Manifesto democratico, Giulio Ferroni, uno dei firmatari, all’epoca professore di letteratura italiana, oggi professore emerito de La Sapienza, saggista, critico e storico letterario, torna a riflettere sul punto 4 di quel documento, dove si afferma che il ‛fondamento concreto della democrazia è l’esercizio effettivo della libera espressione del pensiero e dei diritti dell’informazione’.

Ferroni ai tempi firmò per la preoccupazione di ciò che stava accadendo nel dibattito sul piano politico. ‛In quel momento si sentiva una più forte risposta dell’opposizione e una partecipazione di intellettuali di grande rilievo’ afferma con commozione, pensando ad Andrea Zanzotto, l’ultimo della lista dei firmatari, ormai scomparso.

Ad oggi, per Ferroni, il punto 4 resta ancora valido, perché ‛la situazione dei mezzi di comunicazione è ancora più intricata’ rispetto al 1994, periodo in cui ‛si imponeva il potere mediatico di Berlusconi, con il conflitto di interessi costituito dalle sue televisioni e pubblicità. Ora sembra imporsi una più esplicita intenzione ideologica, una diretta imposizione di modelli di destra anche estrema e di populismo reazionario’.

Ad essere cambiata, secondo il professore emerito, non è la libertà di espressione, ma l’orizzonte della comunicazione: ‛E’ cresciuta l’indifferenza, mancano prospettive e risposte adeguate da parte dell’opposizione. La libertà d’espressione è ostacolata da una parte dalle pretese e dall’aggressività della maggioranza politica e dall’altra dai processi in atto nel mercato culturale’. Con le sue parole, Ferroni rileva con apprensione che, seppur ‛abbiamo ancora la libertà di parola, non riusciamo a usarla adeguatamente. E ciò è molto pericoloso’.

Estremamente critico il suo pensiero sulle nuove tecnologie. Secondo lui, i nuovi mezzi di videocomunicazione ‛danno l’illusione di una disponibilità assoluta dell’informazione, ma agiscono con un’invasività che la svuota di senso, cancella ogni gerarchia tra vero e falso, tra ciò che vale e ciò che non vale: hanno creato una democrazia del nulla e dell’apparenza. Sparisce il senso critico, si cancella la ragione delle cose’.

E’ per queste motivazioni e preoccupazioni che, alla domanda se firmerebbe oggi di nuovo il Manifesto democratico, Ferroni risponde con schiettezza: ‛Naturalmente. Senza nessun dubbio’.

Dichiarazioni raccolte da Anastasia Ulino

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Teresa Isenburg, docente universitaria

240425 Manifesto Democratico - Teresa Isenburg
Teresa Isenburg

La professoressa Teresa Isenburg, 68 anni, all’epoca della firma del documento del Manifesto Democratico del 1994 era professoressa di geografia politica ed economica presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. Oggi fa parte dei comitati scientifici di alcune riviste (Società e storia, Archivio storico ticinese).

Alla luce dell’attuale situazione, il documento, elaborato trent’anni or sono, può ancora essere rilevante?
Non so se è attuale, ma va contestualizzato nella realtà di oggi in base a quello che è successo da allora: come il consolidarsi di sistemi, funzionalità e forme di organizzazione politica in cui i margini della partecipazione si sono molto ridotti e fortemente spostati a destra, diventando escludenti e non inclusivi, in Europa e nel mondo.

A colpire, è sicuramente lo straordinario livello in cui si esprime questo manifesto, è molto chiaro, ma non perché banalizza, anzi. Questo aspetto non è attuale, oggi: c’è approssimazione e grossolanità; è qualcosa da riacquisire.

Pensando alla situazione attuale della nostra società e della nostra Repubblica, oggi firmerebbe ancora il documento?
Ovvio che lo firmerei ancora, facendo tesoro dell’ultima parte a cui si riferisce Cesare Segre, ovvero lo sforzo di fare di questo Manifesto un punto di raccolta vasto di molte persone e firme, come un qualcosa di organizzativo che non si squami molto velocemente.

Alla luce dell’articolo 4, ritiene che la libertà d’espressione oggi corra gli stessi pericoli di allora?
La situazione si è molto aggravata, abbiamo sotto gli occhi dei casi di aggressione e di violazione della libertà di espressione. Vorrei citare tre casi di rilevanza nazionale e internazionale: quello di Julian Assange, in cui ci si interroga sul luogo della giurisdizione; quello del proprietario di ‘X’, Elon Musk, che ha attaccato le istituzioni brasiliane e uno dei giudici della Corte suprema, appellandosi al diritto della libertà di stampa: il terzo è quello di Luciano Canfora, dove la presidente del Consiglio ha denunciato un cittadino per aver espresso un’opinione.

Qual è il grado di libertà di espressione oggi vigente?
Formalmente grande, ma nella pratica c’è una situazione molto asimmetrica, perché i mezzi tecnologici e chi li detiene hanno una potenza di comunicazione che le realtà minori non hanno. Questo è il nodo del sistema maggioritario. Il fatto che si metta qualche freno alle piattaforme fa pensare che la libertà di stampa non è la libertà di dire tutto quello che si vuole, nella quantità che si vuole.

Cosa auspica per il futuro del nostro Paese e per le nostre generazioni?
Il futuro del nostro Paese dipende dalle vostre generazioni e quasi interamente dalla capacità di elaborare progetti che abbiano respiro, interesse e contenuto elevato, venendo inseriti in strutture organizzative durature. Fino a quando si va avanti con modalità maggioritarie, non ci sarà una forma democratica che presupponga un confronto tra diversità con un punto di mediazione. C’è un lungo lavoro da fare, e come dice un geografo brasiliano: ‘è il sogno che obbliga l’uomo a pensare’. Bisogna quindi sognare molto per poi pensare, agire, organizzarsi e non mollare strada facendo. Tocca a voi.

Dichiarazioni raccolte da Rachele Russo e Francesco Zega.

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Mario Isnenghi, storico e docente universitario

240425 Manifesto Democratico - Mario Isnenghi
Mario Isnenghi

A distanza di tre decenni dalla stesura del Manifesto Democratico, le riflessioni sulla libertà di espressione e il suo evolversi nel tempo restano di grande rilievo.

Tra i firmatari c’è Mario Isnenghi, storico e professore, nonché condirettore di ‘Belfagor dal 2008, che condivide una prospettiva duplice interiore di “ammirazione inquieta” per ciò che concerne i cambiamenti nelle modalità e nei mezzi di comunicazione. “La libertà di comunicare e di fruire di una comunicazione altrui è cresciuta o non è cresciuta? Si è certamente e profondamente trasformata”.

Parlando dell’attualità del Manifesto Democratico e della sua base per la libertà di espressione, Mario Isnenghi esprime un mix di ammirazione e inquietudine davanti alla potenza dei moderni mezzi di comunicazione. Afferma che “questi mezzi sono diventati strapotenti e in questo momento in cui si sente parlare spesso di intelligenza artificiale, direi che l’inquietudine finisca per prevalere sull’ammirazione”.

In risposta alla domanda se oggi firmerebbe ancora un appello per la libertà di parola scritta e parlata, Isnenghi sottolinea l’importanza continua di difendere queste libertà di base.

Riguardo ai cambiamenti nella libertà di espressione, egli riconosce i benefici della comunicazione digitale ma ne sottolinea anche i rischi: se da una parte abbiamo acquisito nuovi modi di comunicare e partecipare alla società, dall’altra i social media minacciano forme tradizionali di informazione come i giornali. Questa trasformazione ha reso la comunicazione più immediata ma ha anche portato a una perdita di profondità e ad un rischio di monopolio informativo.

“Andando in giro a fare conferenze, dibattiti, eccetera, noto dopo il covid il diradarsi delle presenze reali. Ci si consola dicendo ‘sì ma ci sono le presenze virtuali’. Può darsi, certo è che non è lo stesso per chi parla. Avercele intorno queste persone è una cosa, vedere tante sedie vuote è assolutamente un’altra cosa… Perché? Perché del parlare in pubblico fa parte un certo grado di teatralità. Il teatro ha bisogno del pubblico. Ho nostalgia di certe belle sale piene e ne vedo assai spesso viceversa assai vuote.”

Per quanto riguarda il punto 9 del Manifesto, lei crede che oggi – dopo 30 anni – la carenza nei confronti dell’impegno educativo sia stata colmata? Secondo lei ad oggi le nuove generazioni hanno acquisito i principi di tolleranza e aiuto reciproco?

Sul fronte dell’impegno educativo e dei principi di tolleranza e aiuto reciproco, Isnenghi riflette sulla situazione delle nuove generazioni. “Credo che il divario generazionale rispetto alla capacità di usare i nuovi meccanismi di comunicazione sia cresciuto. La generazione che nasce con questi mezzi li adopera con una disinvoltura che ovviamente non è la mia e neanche delle generazioni di mezzo”.

Non è sicuro se l’impegno educativo abbia colmato questa disparità. Anche i principi di tolleranza e aiuto reciproco sembrano essere in discussione, con una società sempre più focalizzata sull’individualismo.

In riferimento al punto 10, Isnenghi commenta il ruolo dei manifesti e delle dichiarazioni di principio nel difendere l’avvenire. Riconosce che i manifesti hanno un impatto limitato e che la vera sfida risiede nell’azione politica concreta e nella partecipazione attiva. La centralità dell’individuo nell’era presente, sebbene importante, ha contribuito a una mentalità ‘presentista’ che mette a rischio la prospettiva futura.

“Per quello che il Manifesto può fare, sono contento che non si sia voltato soltanto indietro, ma anzi, si sia voltato prevalentemente in avanti pensando più che al passato, al futuro: mi pare – come atteggiamento mentale – sentirsi responsabile rispetto ai figli e nipoti sia una bella cosa”.

Isnenghi suggerisce una riflessione più ampia sulla trasformazione della libertà di espressione e sull’impatto della comunicazione digitale nella nostra società attuale. Le nuove sfide richiedono un approccio bilanciato e consapevole, che tenga conto sia dei benefici che dei rischi di questa rivoluzione tecnologica sulla nostra vita quotidiana e sul nostro futuro.

Dichiarazioni raccolte da Francesca Mastrovito

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Silvana La Spina, scrittrice

240425 Manifesto Democratico - Silvana La Spina
Silvana La Spina

La libertà di espressione è uno dei pilastri fondamentali della democrazia e a spingere una protagonista del mondo letterario italiano, la scrittrice Silvana La Spina, 79 anni, a firmare il Manifesto Democratico fu il timore di un monopolio dell’informazione e dell’editoria: La Mondadori controllava da sola metà del mercato e l’introduzione di una normativa antitrust avvenne con notevole ritardo rispetto all’America.

L’ascesa al potere e al controllo delle comunicazioni di massa, televisive e giornalistiche, di Silvio Berlusconi ha determinato un vero e proprio assolutismo mediatico e ciò ha inciso significativamente sulla storia del nostro Paese.

Sono trascorsi 30 anni e, sottolinea La Spina, “oggi è anche peggio rispetto ad allora poiché, di fatto, la libertà di espressione non esiste più. Al suo posto si erge, imponente, il pensiero di una certa élite con la quale tutti devono essere d’accordo, e guai a dissentire! Vige una dittatura dell’opinione da parte delle leadership” che, attraverso piattaforme come Facebook e TikTok, raggiungono un pubblico sempre più vasto e diversificato.

I social media, infatti, hanno cambiato radicalmente il modo in cui le informazioni vengono trasmesse e ricevute. Sulle tecnologie dell’informazione oggi, Silvana La Spina si esprime così: Le tecnologie sono degli strumenti, e come tali possono essere sia un rischio che un’opportunità per l’informazione, dipende dall’uso che se ne fa; la scoperta di internet, come quella della stampa nel 1400, ha causato rivolgimenti, guerre e morti.

Dichiarazioni raccolte da Marta Raponi

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Gianfranco Pasquino, docente universitario

240425 Manifesto Democratico - Gianfranco Pasquino
Gianfranco Pasquino

Gianfranco Pasquino, 82 anni, professore emerito di scienza politica presso l’Università di Bologna, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ci offre uno spunto di riflessione sull’articolo 4 del Manifesto Democratico 1994.

Secondo Lei l’articolo 4 del Manifesto resta valido ancora oggi?
Quanto detto nell’articolo rimane assolutamente valido: la libertà di parola, di scritto, di pubblicazione, di fare circolare le proprie idee, qualunque esse siano, con l’unica eccezione dell’incitamento alla violenza, rappresentano un diritto fondamentale delle persone, non solo nelle democrazie di diritto, ma anche nei regimi autoritari, quelli non democratici, militari o totalitari che invece schiacciano sistematicamente queste libertà.

Lei ritiene che la situazione riguardante la libertà di espressione oggi, rispetto al ‘94, sia cambiata? Se sì, in meglio o in peggio?
In Italia la situazione è cambiata sotto diversi profili. Prima di tutto il monopolio si è gradualmente indebolito. A ciò si aggiunga l’attività del governo, incentrata sul controllo dei pezzi della Rai. Infine, alcune reti, come La7, stanno emergendo prepotentemente proprio dal punto di vista dell’informazione.

Consideriamo anche i social networks e gli influencer sempre più in grado di controllare le informazioni. La situazione attuale, quindi, è di pluralismo più ampio o, più semplicemente, di pluralità competitiva. Per certi aspetti sarebbe migliore rispetto al passato, se non fosse che la qualità dei comunicatori si rivela essere piuttosto scadente.

Nel corso della sua carriera si è mai trovato di fronte ad una violazione della libertà di espressione?
Quando ero parlamentare, senatore dell’Assedio dipendente, credo intorno al 1990, scrissi un disegno di legge sull’elezione popolare diretta dei sindaci. Dopo il mio intervento arrivarono i giornalisti di Repubblica e uno fece un bell’articolo scrivendo di tutto senza minimamente menzionarmi, straordinario esempio di informazione. Episodi del genere possono spiacevolmente succedere, ma restano una pratica inaccettabile.

Dichiarazioni raccolte da Andrea D’Uva Cifelli, Nathalie Fiorillo, Irene Giammatteo, Diletta Rainone.

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Carla Riccardi, docente universitaria

240425 Manifesto Democratico - Carla Riccardi
Carla Riccardi

Carla Riccardi, 77 anni, all’epoca in cui firmò il Manifesto Democratico docente di Letteratura italiana per il corso di Lingue e comunicazione, oggi è professoressa ordinaria di letteratura italiana per il corso di laurea in Lettere presso l’Università di Pavia.

30 anni dopo, il punto 4 del Manifesto Democratico da lei firmato resta valido o meno?
Resta assolutamente ancora valido, in particolare il fondamento concreto della democrazia che tutt’oggi passa attraverso l’esercizio effettivo della libera espressione del pensiero e dei diritti di informazione. Tuttavia, devo ammettere che ci siamo abituati e assuefatti alla pubblicità, che non consideriamo più come uno strumento di propaganda e di persuasione ma come qualcosa di quotidiano.

Lo firmerebbe ancora o no?
Sì con grande fermezza, ma il manifesto dovrebbe essere rimpolpato e reso più attuale, affrontando temi oggi molto delicati ma ampiamente occultati come i diritti civili, quelli dei migranti e delle persone meno bisognose.

Una lamentela di allora, riportata anche da Segre, era che il manifesto fosse stato firmato da intellettuali di una certa età. Ma noi firmatari abbiamo vissuto in prima persona le stringenti imposizioni della guerra: personalmente ho attraversato il fascismo con i racconti di mio padre, richiamato in guerra in Calabria a comandare un battaglione per poi risalire tutta la penisola insieme alle forze inglesi dalla parte tirrenica, quella delle battaglie più cruciale. Tutto ciò mi ha portato ad essere la persona che sono adesso, condividendo pienamente, oggi come allora, i vari punti del Manifesto Democratico del 1994.

E in che modo e in che misura la libertà di espressione è attualmente cambiata, in meglio o in peggio, rispetto ad allora?
Oggi abbiamo nuovi problemi: la pubblicità, all’epoca televisiva, radiofonica e periodica, ora è martellante anche sulla rete e internet. Pensiamo poi ai diritti della parola parlata e scritta, che sono sempre più ristretti per i giornalisti, come il divieto di pubblicare le intercettazioni e addirittura l’ipotesi del carcere. Ultima la questione dell’online e la diffusione dei social, che ci rende vittime di un’infinità di false notizie e interventi non richiesti di commentatori improvvisati, non qualificati e troppo spesso verbalmente violenti.

Le scelte fatte dal governo Berlusconi erano ben mirate, le famose leggi ad personam, promosse per salvare le proprie televisioni. Oggi, purtroppo abbiamo un governo convintamente orientato a portare quell’antico programma tutto di destra

Dichiarazioni raccolte da Andrea D’Uva Cifelli, Nathalie Fiorillo, Irene Giammatteo, Diletta Rainone 

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Vittorio Roidi, giornalista

240425 Manifesto Democratico - Vittorio Roidi
Vittorio Roidi

Vittorio Roidi, giornalista, 83 anni, era presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana – incarico ricoperto dal 1992 al ’96 -, quando firmò il Manifesto Democratico 1994. Dopo gli esordi come cronista al Messaggero e un’esperienza alla Rai, nel 1080 tornò al Messaggero chiamato da Vittorio Emiliani. Dal 2001 al 2007 è stato segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti.

Trent’anni dopo, il punto 4 del Manifesto Democratico da lei firmato resta valido o meno?
Resta valido, non c’è dubbio che resti valido in situazioni simili e diverse allo stesso tempo. Ad esempio, allora si parlava di monopolio dei mezzi d’informazione; io temo che il monopolio per molti aspetti esista ancora, e non è una cosa buona. Forse ancora più che trent’anni or sono, bisognerebbe cercare di non avere monopoli e di non avere quindi chi controlla tutto. Invece, ci sono delle spinte superiori a quelle di trent’anni or sono da parte di chi manovra le leve.

Rispetto al 1994 non dico che questo si sia aggravato: la situazione è cambiata, la classe politica è diversa; i partiti erano molto più forti allora; oggi sono molto più deboli come strutture e come potere. Però, il desiderio, sia di chi sta al governo sia di chi sta all’opposizione, di controllare i mezzi di informazione purtroppo c’è ancora. Ci si deve battere contro questo tentativo di controllarli.

Lo firmerebbe ancora o no?
Sì certamente, però, mi rendo conto che il sapore di certe frasi trent’anni dopo esiste ancora, ma le situazioni sono effettivamente cambiate ed è giusto tentare di vedere cosa è cambiato.

In che modo e in che misura la libertà di espressione è attualmente cambiata, in meglio o in peggio, rispetto ad allora?
Oggi ci sono molti più strumenti di informazione rispetto ad allora, che possiamo usare per fare informazione e per ricevere informazione. Il web è nato dopo, con la grande spinta di internet che era in atto, ma che è esplosa dopo. Oggi siamo facilitati nel comunicare. Però i pericoli sono gli stessi: il controllo.

Di solito chi va al governo, in qualsiasi forma. in una regione o in un comune, in quanto detiene il potere, cerca di esercitarlo e di fare passare le proprie informazioni ostacolando le altre. Dobbiamo stare molto attenti. Il discorso è ancora valido in questo senso: dobbiamo combattere contro uomini e donne, che ostacolano le notizie.

Se la preoccupazione di non avere più libertà di espressione, si sta riaccendendo oggi, cosa si può dire della qualità dell’informazione?
Oggi abbiamo visto che l’intelligenza artificiale, cioè macchine particolarmente efficienti, potrebbero sostituire i giornalisti, anche se non si è fatto quasi nulla contro questo pericolo nuovo e terribile. Non sanno fare interviste perché non guardano negli occhi l’intervistato. Il giornalista non può essere un robot.

Dichiarazioni raccolte da Chiara Romano, Antonella Vassallo e Francesca Arcese

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Francesco Saverio Vetere, docente universitario ed editore

240425 Manifesto Democratico - Francesco Saverio Vetere
Francesco Saverio Vetere

Un pensiero non del tutto in linea con quello dei firmatari del Manifesto democratico 1994 viene espresso dall’avvocato e giornalista pubblicista Francesco Saverio Vetere, docente presso La Sapienza e presidente e segretario generale della Giunta esecutiva dell’USPI dal 1999. ‛Non firmo documenti e manifesti, però ci sono questioni importanti. Si tratta di un manifesto che ha un carattere segnatamente politico e di parte […] Nella mia professione, tendo ad essere lontano da tali logiche e seguire principi generali facenti parte dell’art. 21 della nostra Costituzione’.

Da operatore del settore, Vetere ben comprende la rilevanza del punto 4 del Manifesto che paragona il monopolio a un attentato: ‛un problema enorme in tutti i settori industriali e nell’informazione, fondamento della società democratica, assume caratteristiche gravi inficiando la valenza’. Vetere evidenzia, però, che la perdita di valenza nell’arco dell’ultimo trentennio è avvenuta sotto molti punti di vista, mentre: ‛il manifesto parla del rapporto tra l’informazione cartacea e televisiva rispondendo a logiche di trent’anni fa’.

Il mondo è cambiato cinque volte’, afferma con fermezza Vetere, facendo notare come l’inefficienza di formazione dei boomer nell’assorbire le grandi novità si rispecchia nell’approccio che i giovani d’oggi hanno verso la mole di informazioni derivanti da internet.  Non cambia, invece, il principio di libertà di espressione e informazione: ‛La caratteristica dell’uomo è di esprimersi in maniera articolatachiarisce Vetere.

Eppure, le leggi che tutelano tale libertà rischiano di comprimerla. Per questo, una buona regolamentazione deve basarsi su principi generali, sviluppando e non distruggendo. Il professore conclude con un importante monito: ‛Bisogna cercare di avere un alto livello di comprensione delle cose e di amore verso gli esseri umani che vogliono esprimersi’.

Dichiarazioni raccolte da Alessia De Rinaldis

 

 

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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