A Est, l’invasione dell’Ucraina e la repressione del dissenso culminata nell’eliminazione del leader dell’opposizione. A Sud, l’ascesso cruento del terrorismo di Hamas e gli eccessi brutali della guerra a Gaza. A Ovest, il rischio che gli Stati Uniti rinneghino la solidarietà atlantica, se Donald Trump sarà di nuovo presidente. L’Europa si ritrova fragile e impotente, tra le minacce che l’assediano.
Che sia stata naturale o criminale, la morte di Alexiei Navalny è stata indubitabilmente provocata dal presidente russo Vladimir Putin, che ha voluto per il suo oppositore un trattamento durissimo, oltre i limiti della sopportazione umana. Mentre la vedova del dissidente Yulia Navalnaya assume l’impegno a proseguirne la lotta, l’Occidente s’interroga sulla risposta da dare, al di là delle parole di condanna, pietre di retorica che non scalfiscono il Cremlino.
Il presidente Usa Joe Biden dice che “ci saranno conseguenze” – la Russia, forse, finirà nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo, accanto a Cuba, Siria, Iran, Corea del Nord -; Usa e Ue decidono un giro di vite alle sanzioni anti-russe. Ma Putin non vacilla: guarda senza affanni al voto che gli darà, il 17 marzo, per la sesta volta il mandato presidenziale; e, in Ucraina, mantiene le posizioni, anzi le consolida con la presa di Avdiivka, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky pare febbrile, avvicenda i vertici militari e vede inaridirsi il flusso d’aiuti dall’Occidente, specie dall’America.

Per il Washington Post, con la morte di Navalny Putin “cementa una nuova era della sua dittatura”. Ma, come sempre, non tutto è scontato. Analisti del Council on Foreign Relations, think tank Usa, segnalavano, prima della scomparsa di Navalny, la possibilità di un cambio della guardia a Mosca, accelerato dalle perdite e dalle sofferenze umane ed economiche conseguenti all’invasione dell’Ucraina.
Però, “data l’onnipresenza dello Stato, la debolezza della società civile russa e i precedenti storici, il successore di Putin emergerà all’interno dell’attuale sistema… Dunque, il cambio di leadership sarà un processo dall’alto in basso deciso da lotte di potere al vertice, non un processo dal basso in alto”. Putin non deve temere le elezioni o le proteste di piazza, ma una congiura di pretoriani.
Europa: prendere la sicurezza nelle proprie mani
Ma la sicurezza dell’Europa non può dipendere da un Tigellino moscovita o dalle bizze di Trump, che progetta di “incoraggiare” Putin “a fare quel che vuole” dei Paesi europei morosi con la Nato. Candidandosi a un secondo mandato alla guida della Commissione europea, Ursula von der Leyen, una delle artefici della sostanziale fermezza con cui l’Unione ha risposto all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dice che l’Ue deve mantenere la sua democrazia “salva e sicura”.
Le venature ‘putiniane’ sono rappresentate, in Europa, dalla riluttanza dell’Ungheria ad aiutare l’Ucraina e, in Italia, dalle cautele della Lega nel denunciare le responsabilità della fine di Navalny (salvo poi ricomporre l’unanimità il tempo di una manifestazione in Campidoglio). E confermano che la democrazia europea non è oggi “salva e sicura”.

Le sortite anti-Nato di Trump e la morte in carcere di Navalny devono dare un impulso all’Europa della Difesa, perché evocano lo spettro di un disimpegno degli Stati Uniti verso gli alleati europei e rinnovano la minaccia per la libertà rappresentata da Putin. Ma Politico, nella sua versione europea, lascia poco spazio all’ottimismo: “Trump è già tornato e l’America ha già abbandonato l’Europa”.
L’auspicio di un colpo di reni europeo di fronte agli eventi internazionali trova riscontri nelle parole dei leader europei. A Monaco, dove c’è il Forum della Sicurezza, von der Leyen dice che, se resterà presidente della Commissione – il mandato scade a novembre -, creerà un commissario alla Difesa.
Sarebbe, però, illusorio pensare che basti nominare un commissario alla Difesa per fare un’Unione della Difesa. Per arrivarci, alla politica estera comune come a quella della difesa, bisogna conferire all’Unione poteri adeguati e abolire, su questi temi, il vincolo dell’unanimità; e sarebbe meglio partire non a 27, ma da un nucleo ristretto, coeso e determinato, come s’è fatto con l’euro.