L’allargamento dei Brics e la morte di Prigozhin coincidono, certamente casualmente, e incidono sui rapporti di potere nel Mondo e in Russia: eventi separati, ma interconnessi, se non altro perché un medesimo personaggio, il presidente russo Vladimir Putin, è al centro di entrambi.
La matassa dei misteri su Prigozhin
Non vogliamo qui sciogliere la matassa delle circostanze della scomparsa del capo della Wagner Evgheni Prigozhin (e neppure abbiamo le fonti per farlo): tutto resta incerto e, probabilmente, i dubbi su quanto accaduto non saranno mai del tutto chiariti e, fra decenni, ci sarà ancora qualcuno che pretenderà di ricostruire “la verità”, come avviene per pezzi di storia misteriosi ad ogni latitudine.
Ma, qui, non ha importanza se Prigozhin sia stato vittima di un incidente o sia stato assassinato, con un missile – il Pentagono lo esclude e ha gli strumenti per farlo – o con una bomba a bordo; e, in fondo, neppure se sia davvero morto o se abbia voluto ‘scomparire’, d’intesa o meno con Putin.
Di fatto, l’uscita di scena dell’uomo che aveva pubblicamente sfidato il Cremlino – almeno, questa era l’ovvia lettura del suo putsch di fine giugno – rafforza il controllo di Putin sulle leve del potere in Russia: lo libera di un ex amico e alleato divenuto ormai un potenziale rivale, anche se più scomodo ai vertici militari che a lui stesso; e gli allarga intorno l’alone già fortissimo di ‘chi tocca Putin muore’.
Anche il presidente Usa Joe Biden contribuisce – scientemente? – a ciò, quando, senza spingere oltre le illazioni, dichiara che in Russia non accade nulla senza che Putin lo sappia e/o lo voglia.
Il Vertice dei Brics a Johannesburg
Questo sul piano nazionale. Sul piano internazionale, la notizia di Prigozhin arriva mentre il Vertice dei Brics di Johannesburg sancisce un oggettivo rafforzamento dell’ambizione comune sino-russa di promuovere un nuovo ordine mondiale alternativo a quello a monopolio occidentale e trazione statunitense del G7, con i corollari di Ue e Nato e altre entità regionali meno consolidate nel Pacifico.
I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e SudAfrica) accolgono Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Iran, Etiopia, Egitto, Argentina: arrivano a rappresentare quasi la metà della popolazione mondiale e quasi i due quinti del Pil mondiale. Con l’Ue, il G7 rappresenta circa un sesto della popolazione e oltre la metà del Pil mondiali.
A Johannesburg, c ‘è la presenza fisica del presidente cinese Xi Jinping. Manca quella di Putin, che non va in SudAfrica per non creare imbarazzi a un Paese che dovrebbe arrestarlo in esecuzione del mandato di cattura per crimini di guerra della Corte penale internazionale, che Pretoria riconosce, contrariamente a Russia, Ucraina, Cina, Usa e altre ‘potenze’ dalle tentazioni aggressive.
Ma Putin riscatta l’umiliazione di doversi presentare ‘a remoto’ apparendo più forte, sullo schermo, dopo l’uscita di scena di Prigozhin.
Che la “la struttura globale della governance internazionale di oggi rispecchi il mondo di ieri” e sia stata “creata largamente all’indomani della Seconda guerra mondiale, quando molti Paesi erano ancora governati da potenze coloniali” lo ammette, parlando ai Brics, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in una sessione del Vertice allargata a decine di altri Paesi e intitolata ‘Africa Outreach and Brics Plus Dialogue’ – presenti 65 tra Stati e organizzazioni internazionali -. Ciò, aggiunge Guterres, è “particolarmente vero nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nelle istituzioni di Bretton Woods”.
Alla vigilia dell’incontro di Johannesburgo, il Financial Times anticipava che la Cina avrebbe premuto perché i Brics crescano e diventino simili per forza, ma alternativi, al G7. L’idea, che Mosca condivide, non convince, però, tutti: alcuni Paesi ritengono che i Brics dovrebbero essere ‘solo’ un club non allineato per gli interessi economici dei Paesi in via di sviluppo; altri, invece, pensano che possa divenire una forza politica in aperta sfida all’Occidente.
Nell’allargamento dei Brics, e nelle elucubrazioni su una moneta unica, c’è, al momento, più fuffa che sostanza: tutti quei Paesi – i cinque originali, i sei nuovi venuti e le decine in lista d’attesa – sono troppo diversi e distanti fra di loro per costituire una comunità. Alcuni sono una democrazia – India, SudAfrica, Brasile, Argentina -; altri sono di fatto autocrazie – Russia, Egitto – o teocrazie – Iran – o monarche quasi assolute (Arabia saudita). Alcuni hanno rispetto per valori come i diritti dell’uomo, altri ne hanno poco o nulla. Alcuni sono fra di loro amici, altri fra di loro rivali. Alcuni tengono il piede in molte scarpe e probabilmente sono visti con diffidenza dagli altri interlocutori.
Insomma, più che al G7 i Brics allargati assomigliano al movimento dei non allineati nella versione Anni Cinquanta e Sessanta, a trazione Sukarno, Nehru, Tito e Nasser: una coalizione di Stati che non volevano schierarsi nella Guerra Fredda né con gli Usa né con l’Urss e che si opponevano a colonialismo, imperialismo e neo-colonialismo.
E’ però certo che il disegno sino-russo di un nuovo ordine mondiale ha ricevuto un impulso positivo dal Vertice di Johannesburg: rispetto all’Organizzazione per la sicurezza di Shanghai, ad esempio, che è una sorta di ‘giardino di casa’ di Pechino e Mosca, i Nuovi Brics costituiscono un’entità più articolata ed economicamente più importante.
L’Occidente deve, a mio avviso, prenderne atto, non favorire con posizioni di chiusura la creazione di blocchi contrapposti e avviare un dialogo che tenga pure conto delle ragioni altrui, che non sempre sono infondate. Se democrazia e diritti umani, parità di genere e libertà di espressione, sono valori per noi imprescindibili, dobbiamo renderli pervasivi senza imporli, essendo coscienti che neppure nei nostri Paesi sono pienamente realizzati.