Fermenti e attriti nel mondo dei social networks negli Stati Uniti. E anche alcuni media tradizionali sono nella bufera. C’è chi lamenta la carenza di regolamentazioni e chi le paventa; c’è chi sente minacciata la sicurezza dei suoi dati e chi ritiene in gioco la sicurezza nazionale; c’è chi si sente addosso l’alito della concorrenza; e c’è chi continua a pagare un’informazione intessuta di falsità e consapevoli menzogne.
Nell’intreccio di novità sui media,, spicca la decisione di un giudice federale di limitare la facoltà dell’Amministrazione di dialogare con le aziende che gestiscono i social networks. Terry Doughty, giudice distrettuale della Louisiana, uno dei tanti nominati da Donald Trump quand’era presidente, non vuole che funzionari pubblici prendano contatto con i social networks per chiedere la rimozione “di contenuti costituzionalmente protetti dalla libertà di espressione” postati sulle piattaforme.
L’ordine riguarda pure agenzie cardine della sicurezza statunitense, come l’Fbi, la polizia federale, e il Cdc, il Centro per il controllo delle malattie, in prima linea nella lotta al Covid-19.
Il giudice Doughty ha così consegnato una vittoria ad alcuni Stati a guida repubblicana, che fanno causa all’Amministrazione Biden per essere andata “troppo in là” nello sforzo di combattere la disinformazione sulla pandemia. La sentenza, che lascia aperta la possibilità di ricorsi in appello – la vicenda potrebbe finire alla Corte Suprema -, inficia la possibilità di contrastare false notizie d’ogni genere, ma è stata salutata come “una sconfitta della censura” dagli esponenti repubblicani all’origine del procedimento.
Nel mondo dei media in Usa, fermenti, denunce, recriminazioni
Quello aperto dal giudice Doughty è solo uno dei fronti dei media su cui si combatte, ora, negli Usa, la guerra tra informazione e disinformazione. La Fedreral Trade Commission ha appena aperto un’inchiesta su OpenAI, l’azienda che produce ChatGPT, per verificare se il chatbot non costituisca un pericolo per i consumatori. L’iniziativa è la prima seria minaccia regolatoria per l’Intelligenza Artificiale ed i suoi devices e potrebbe essere l’avvisaglia di ulteriori provvedimenti.
I pruriti mediatici vedono coinvolti anche il Congresso degli Stati Uniti e numerosi Stati, soprattutto a guida repubblicana, che s’interrogano in particolare sulla pericolosità di TikTok di matrice cinese per la sicurezza nazionale. C’è chi giunge a metterlo al bando per questo, mentre pochi paiono preoccuparsi della perniciosità di TikTok per la correttezza dell’informazione: la piattaforma è poco sensibile all’accuratezza dei suoi contenuti, ma ne privilegia la popolarità.
Nel frattempo, le novità introdotte da Elon Musk in Twitter suscitano perplessità e insoddisfazione in molti utilizzatori e inserzionisti, ora tentati vi migrare sulla app rivale appena lanciata da Meta, Threads, capace di raggiungere, in meno di cinque giorni, i 100 milioni di utilizzatori: la ‘creatura’ di Mark Zuckerberg è stata, fra tutti i social, la più veloce nel raggiungere questo traguardo e tiene un ritmo di crescita che può portarla a insidiare il primato di Twitter.
I ‘cinguettii’ calano da mesi, proprio in seguito e a causa dell’avvento di Musk, le cui innovazioni hanno profondamente irritato molti utilizzatori fra i più costanti e affezionati; e, subito dopo il lancio di Threads, c’è stata quasi una migrazione da un social all’altro.
E, intanto, non accenna a spegnersi l’onda lunga di polemiche e recriminazioni che ha investito l’apparato di Fox News, senza però incidere, almeno finora, sull’audience. Tre ex alti dirigenti hanno pubblicamente espresso il loro rammarico per avere collaborato con Rupert Murdoch per fare di Fox News una tv di forza nazionale. In una dichiarazione comune, Preston Padden, Ken Solomon e Bill Reyner definiscono il network “una macchina di disinformazione”. Padden era responsabile dei lobbisti di Fox News a Washington, Solomon era vice-presidente e gestiva la distribuzione e Reyner era il principale consulente esterno.
La loro dissociazione ‘postuma’ – nessuno dei tre lavora più per Fox News – è contemporanea all’ennesima causa per diffamazione intentata contro la rete, accusata di avere diffuso e sostenuto false teorie cospirazioniste sulle elezioni presidenziali 2020, In aprile, il network aveva già concordato di pagare la cifra record di 787,5 milioni di dollari a Dominion Voting Systems come risarcimento perché suoi anchors ‘vedettes’ avevano divulgato false informazioni sulla tecnologia dell’azienda che produce macchinari per il voto.
La decisione sui media del giudice Doughty: contesto e impatto
La sentenza senza precedenti sui media del giudice Doughty fa discutere e suscita polemiche, ma è in linea con le ultime scelte giudiziarie effettuate dalla magistratura statunitense, fortemente condizionata dalle nomine dell’ ‘era Trump’. L’Amministrazione federale, intervenendo sui contenuti pubblicati dai social networks, rischia di violare il primo emendamento della Costituzione americana, quello che sancisce la libertà d’espressione.
La decisione dà un duro colpo all’impegno della Casa Bianca contro disinformazione e contenuti d’odio online ed è destinato a fare discutere democratici e repubblicani nei mesi a venire, man mano che verranno al pettine altre cause analoghe – sono una decina – e, soprattutto, verso la campagna per Usa 2024.
Nel caso ‘Missouri v. Biden’ i procuratori generali, repubblicani, del Missouri e della Louisiana hanno accusato l’Amministrazione di “un’operazione tentacolare di censura federale” per eliminare dai social contenuti “contrari alla sua agenda” come l’obbligo di mascherina durante la pandemia o il vaccino anti-Covid per i bambini. Inoltre, i conservatori contestano la soppressione di post relativi ai guai giudiziari del figlio del presidente, Hunter.
In una sentenza di ben 155 pagine, il giudice Doughty ha stabilito che funzionari della Casa Bianca e delle agenzie federali non possono intervenire sui social networks per “incoraggiare, fare pressione o indurre la rimozione o la cancellazione di contenuti protetti dalla libertà di parola”.
Il procuratore del Missouri, Andrew Bailey ha esultato per questa decisione, “la più importante degli ultimi decenni”. Il giudice ha anche citato scambi di email intercorsi tra l’Amministrazione e le piattaforme. In una dell’aprile del 2021, l’ex direttore della strategia digitale della Casa Bianca, Rob Flaherty, scriveva a Google per esprimere la sensazione che contenuti pubblicati su Youtube inducevano ad “essere scettici” sul vaccino contro il Covid.
Per il momento, la Casa Bianca si è limitata a commentare che la decisione del giudice è all’esame del segretario alla Giustizia Merrick Garland, affermando che “i social networks sono responsabili dei contenuti che pubblicano e del loro impatto sul popolo americano”.
Nelle sue controdeduzioni all’azione giudiziaria di Missouri e Louisiana, l’Amministrazione aveva sostenuto che una misura del genere “avrebbe significativamente intaccato la capacità delle autorità federali di combattere malevole campagne d’influenza straniera, di perseguire il crimine, di tutelare la sicurezza nazionale e di fornire al pubblico informazioni accurate su temi di grande preoccupazione, come la salute e l’integrità del processo elettorale”.