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Hunter Biden: ingorgo in aule di giustizia, ex presidente e figlio presidente

Scritto per AffarInternazionali il 22/06/2023 https://www.affarinternazionali.it/usa-2024-trump-contro-patteggiamento-hunter-biden/

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Nella serie ‘le colpe dei figli ricadano sui padri’, torna alla ribalta, o alla gogna, Hunter Biden, figlio un po’ scapestrato e magari un po’ senza arte né parte del presidente Joe Biden. Hunter è stato incriminato e, almeno per un filone dell’inchiesta che lo riguarda, s’è dichiarato colpevole.

Se Donald Trump è il primo ex presidente incriminato per reati federali, Hunter è il primo figlio d’un presidente in carica a essere incriminato per reati federali. Anche se le inchieste che coinvolgono Trump e Biden jr non sono fra di loro paragonabili per la gravità dei reati contestati.

Se Trump è sotto processo per 37 capi d’imputazione, che spaziano dalla cospirazione all’intralcio alla giustizia, passando per l’impropria gestione di documenti classificati, Hunter ha raggiunto un’intesa preliminare con i procuratori federali per dichiararsi colpevole di due reati minori d’evasione fiscale e di uno per avere acquistato una pistola tacendo di avere fatto uso di droga.

Secondo indiscrezioni di stampa, le condizioni dell’accordo, che un giudice federale deve ratificare, eviterebbero al figlio del presidente il carcere. Per l’avvocato di Hunter, Christopher Clark, l’indagine, protrattasi per cinque anni, è così risolta: “Il mio cliente considera importante assumersi la responsabilità degli errori commessi durante un periodo della sua vita di turbolenza e dipendenza… Non vede l’ora di continuare il suo recupero e di andare avanti”. Il padre presidente è accanto al figlio: “Ne sono molto orgoglioso”, risponde ai reporter che chiedono se lo abbia spinto ad accettare l’intesa.

L’udienza davanti alla giudice distrettuale Maryellen Noreika, nominata da Trump, è’ stata fissata per il 26 luglio in Delaware. Se avallato, l’accordo chiuderà l’inchiesta avviata nel 2018, durante l’Amministrazione Trump. I repubblicani accusano l’Amministrazione Biden, sotto cui l’indagine è poi proseguita, di avere avuto un occhio di favore per il figlio del presidente.

Secondo stando alle anticipazioni dei media, l’intesa, negoziata dal procuratore del Delaware, anch’egli nominato in epoca Trump, prevede che Hunter si dichiari colpevole di due reati fiscali minori relativi al mancato pagamento di tasse per il 2017 e 2018, per una totale di circa 1,2 milioni di dollari; e del possesso illegale di una Colt Cobra 38 special acquistata nel 2018, nonostante i problemi di dipendenza da cocaina gli impedissero di possedere un’arma. Se tutto andrà liscio, Hunter se la caverà con due anni con la condizionale e misure alternative ed eviterà la prigione.

La notizia dell’accordo ha scatenato ire repubblicane, a partire da Trump, che da cinque anni imputa a Hunter, e quindi al padre, ogni sorta di crimine: loschi traffici in Cina e il lavoro di lobbista – ben retribuito – per una compagnia energetica ucraina, che avrebbe condizionato la posizione di Biden verso quel Paese quando era vice-presidente.

Trump dice: “Il Dipartimento della Giustizia, controllato da Biden, ha appena cancellato centinaia di anni di responsabilità penale dando a Hunter una semplice multa stradale”; e a Fox News dichiara che Biden “ha a casa centinaia di scatoloni di documenti segreti” – un’affermazione non corroborata da prove -. Lo speaker della Camera Kevin McCarthy, in bilico costante tra osservanza ‘trumpiana’ e nuovi alleati, bolla la giustizia Usa come un “sistema a due livelli”: “Se sei il principale oppositore del presidente, il Dipartimento cerca di mandarti in galera; se sei il figlio del presidente ottieni un’intesa vantaggiosa”.

Di Hunter e delle sue vicissitudini ‘border line’ tra fragilità e illegalità, i repubblicani non hanno mai smesso di parlare: nel 2019/’20, Trump ne fece un cavallo di battaglia della sua campagna, rischiando anche l’impeachment per le pressioni esercitate sul governo ucraino per ottenerne informazioni anti-Biden; e, dopo il voto di midterm dell’8 novembre 2022, non è mai stata esclusa una commissione d’inchiesta alla Camera, dove i repubblicani sono maggioranza.

Il 25 luglio 2020, Trump disse al telefono al neo-eletto presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Fammi il favore: indaga su Joe Biden e suo figlio”, disse il magnate, secondo quanto contenuto nelle trascrizioni ufficiali – Biden era all’epoca il candidato democratico alle presidenziali 2020 -. Poco prima della telefonata ‘galeotta’, Trump ordinò di sospendere aiuti all’Ucraina per 391 milioni di dollari: uno strumento di pressione, se non di ricatto. Zelensky si affidò all’indipendenza dell’operato della magistratura.

In realtà, le vicende di Hunter sono troppo intricate, e pure piuttosto improbabili, per appassionare davvero l’opinione pubblica – c’è anche la rocambolesca storia di un suo computer dismesso finito nelle mani di Rudy Giuliani, fedelissimo di Trump, da cui sarebbero usciti elementi imbarazzanti -. Ma è del pari e vero che le vicissitudini del figlio del presidente non sono del tutto chiare, con una teoria d’attività imprenditoriali mai azzeccate, e che un alone di sospetto resta, in particolare, sul suo ruolo in un’azienda energetica ucraina, la Bourisma Holdings, coinvolta in indagini per corruzione e riciclaggio, nel cui Consiglio di Amministrazione entrò nel 2014.

C’è, poi, il fatto che per attaccare Biden sugli affetti familiari ci vuole un bel pelo sullo stomaco: una figlia di 13 mesi morta, insieme alla mamma, la prima moglie, Neilla, in un incidente stradale; il figlio maggiore, Beau, che pareva destinato a succedere in politica al padre, ucciso nel 2015 a 46 anni da un tumore al cervello. Logico che l’affetto di padre si riversi su Hunter, 53 anni, avvocato, uomo d’affari, artista, dentro e fuori la droga, estrosità e debolezze.

Fronte guai di Trump, la giudice Aileen Cannon ha già annunciato che il processo all’ex presidente per le carte classificate sottratte agli Archivi Nazionali e portate a Mar-a-Lago inizierà il 14 agosto: tempi brevi, fors’anche perché Cannon, un’altra della nidiata di giudici di Trump, desidera sottrarsi al sospetto di tirarla per le lunghe.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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