Il Settimanale 2023 4 – Gianmarco Ferri, classe 1999, è un musicista jazz molisano. Nato a Campobasso, si è formato negli Stati Uniti al Berklee College of Music di Boston. Come ci racconta, la scena jazz italiana è ancora una piccola realtà, legata al passato e preclusa alla maggior parte dei giovani.
Come si è avvicinato al mondo della musica?
È successo verso i 13 anni. Non ho dei genitori musicisti, però sono grandi collezionisti e ascoltatori di jazz. Sono cresciuto con molti dischi importanti e la musica sempre nelle orecchie. C’era nella tavernetta di casa una chitarra che è stata il giusto mezzo: avevo tanta musica dentro.
Qual è stata la sua formazione musicale?
Ho avuto per quattro anni un maestro molto bravo, Nicola Cordisco, un importante chitarrista jazz della scena italiana. Durante questi anni ho avuto varie esperienze, una importante che devo citare è stata quella di Umbria Jazz, dove ho capito che volevo fare della mia passione un lavoro. Lì ho avuto l’opportunità di vincere una borsa di studio per studiare negli Stati Uniti, al Berklee. Dopo aver finito il liceo, mi sono trasferito a Boston dove sono rimasto dal 2018 al 2022.
Com’è stata l’esperienza al Berklee?
Importante. Sono stato lontano da casa, in un appartamento piccolissimo con sei persone. Tanta sofferenza, ma anche tanti insegnamenti e opportunità. Adesso sono a Roma e provo a fare il musicista.
E perché proprio Roma?
Mi mancava l’Italia e le sue piccole cose, non avrei mai potuto vivere negli Stati Uniti. Roma è l’unico posto in Italia, se pretendi di essere un musicista. Qui nel nostro Paese è più difficile fare capitare le cose rispetto all’America. Lì la musica è una cosa molto terrena, non importa l’età che hai, e le collaborazioni capitano con facilità, sia con giovani sia con professionisti che hanno tanti anni di carriera alle spalle.
Qui in Italia direbbe che la musica jazz è apprezzata da tutte le età?
No. In realtà il problema principale è che spesso i concerti jazz costano tanto. Se pensiamo ai club di Roma, come l’Alexanderplatz o il Gregory’s, l’ingresso è gratuito, ma la consumazione è obbligatoria e costa almeno 30 euro; quindi i giovani preferiscono altri locali. Poi è una scena musicale in cui c’è un forte ristagno generazionale: continuano a essere proposti i grandi nomi e non c’è spazio per i giovani. Il loro modo di proporre la musica è di altissima qualità, ma è sempre lo stesso e non arriva ai più giovani perché non è un sound fresco. L’ideale sarebbe qualcosa di semplice, perché la musica va suonata per il pubblico, non per i musicisti: è quello che provo a fare anche io.
Come si organizza per suonare?
Nel jazz, in particolare, è importante avere delle persone di fiducia, stringere legami. Tutti i musicisti jazz condividono un repertorio comune, di solito sono canzoni scritte per i vecchi film di Hollywood che poi sono diventate lo standard.
Tra quelli del repertorio, c’è qualche artista che considera d’ispirazione?
Tra quelli che mi hanno influenzato di più ci sono Charlie Parker, John Coltrane e Wes Montgomery.
E di italiani nessuno?
(ride, ndr) In realtà no, sicuramente ci sono artisti di grande qualità, ma non mi hanno influenzato particolarmente, ad eccezione del mio insegnante.
Cosa direbbe che è per lei la musica?
Penso che la musica sia qualcosa che vive dentro ognuno di noi: sin da quando nasciamo siamo in contatto con la natura e con i suoni, e gli strumenti sono soltanto un mezzo per traslare il proprio io interiore in musica. In Italia ho sempre pensato che tutto sembri così complicato. La chiave per fare tutto è godere del percorso.
Cosa pensa che si possa fare per avvicinare i giovani al jazz?
Sicuramente rendere più accessibile questo tipo di musica. L’Italia esclude il jazz: in radio siamo abituati a sentire la solita musica commerciale, ignorando altri generi musicali di altissimo livello.
Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere questo percorso?
A un giovane che si avvicina a questo mondo direi di non avere aspettative. Non bisogna fare qualcosa puntando a essere apprezzati, ma far parlare la musica, perché è lei ad avere l’ultima parola, non tu.
L’Usignolo, Chiara Follesa, Giusy Foti, Marzia Magrone, Daniela Marmugi, Marco Tocci