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Il Settimanale 2023 4 – #Stressione, ansia e performance universitarie

Scritto per il Settimanale 2023 3 della classe di Agenzie e Nuovi Media del cdl in Editoria e Scrittura della Facoltà di Lettere della Sapienza, edizione dello 05/06/2023

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Il Settimanale 2023 4 – Il benessere psicologico degli universitari tra cause ed effetti, analizzato da una psicologa.

Negli ultimi mesi, numerosi studenti e studentesse hanno denunciato l’approccio dei media nel racconto dell’Università italiana, accusandoli di una narrazione spesso eccessivamente orientata alla performance, sottovalutando l’impatto psicologico.

Alla luce di queste polemiche abbiamo parlato con Federica Vita Ceci, psicologa, psicoterapeuta e content creator.

Tre domande per comprendere meglio cosa significhi affrontare la sessione estiva per gli universitari di oggi. La psicoterapeuta racconta del percorso degli studenti, dettato dalla necessità di performativitá e dalla fretta fin dal momento della scelta dell’Università, il passaggio da una sessione, anzi “stressione”, all’altra, fino ad arrivare alla scrittura della tesi; per molti questo momento diventa una corsa alla corona d’alloro, passaggio vissuto con eccessiva celerità dagli studenti, i quali spesso dimenticano il piacere dell’apprendimento.

D – Qual è l’incidenza degli ambienti extrauniversitari che ha riscontrato sul percorso di studi dei singoli?
Per chi viene da famiglie dove si segue una tradizione in un particolare campo di studi è molto più facile, perché magari si parla del percorso apertamente, si sa che il ragazzo non solo potrà essere sostenuto dalla famiglia, ma potrà anche avere un approdo quando finirà questo percorso. Gli studenti che fanno più fatica, anche quando sono super-efficienti, sono quelli che magari vanno per la prima volta all’università rispetto ai loro familiari o fanno per la prima volta facoltà che in famiglia non si sono mai fatte.

Sicuramente il contesto sociale conta tantissimo, perché una persona che non può permettersi di studiare o andare fuori per farlo deve per forza mantenersi e lavorare, spesso anche full-time, sacrificando il tempo, faticando il doppio.

Se da un lato troviamo genitori che non supportano economicamente gli studi dei figli, dall’altro ci sono quelli che dimenticano di potere dire no, anche quando finanziariamente non riescono a gestire le spese. Hanno davvero piacere nell’aiutare i miei figli a diventare chi vogliono, però le difficoltà economiche portano a scelte involontarie che faranno sentire in colpa ragazzi che magari già di per sé soffrono per ragioni relative alla competitività o ai tempi di conseguimento del titolo.

D – Quanto la narrazione mediatica, in particolare quella improntata al successo, influenza la percezione di sé e dei propri risultati accademici
Molto. Tanti ragazzi hanno l’idea che sia necessario fare tutto e subito: non si tiene conto degli approcci e delle intelligenze diverse, nello studio e nell’esistenza. Nell’ottica della performance d’eccellenza, finta tra l’altro, viene richiesto a un giovane che a malapena sa fare la lavatrice, di determinare quelle che saranno le sue scelte nella vita, tutto questo ha un terribile impatto sui ragazzi.

Oltre a tutti i problemi su devo studiare tanto e velocemente, mi devo laureare…, si aggiungono i problemi legati alla pressione sociale dei soldi e del lavoro. Questo rende la laurea una tappa alla quale arrivare svuotata del suo senso iniziale che è in realtà il piacere del sapere. Vedo pochissimi studenti che ricordano che cosa li abbia spinti a cominciare per davvero. Molti di loro dicono che l’università è qualcosa che “devo fare dopo la scuola, perché è così che mi hanno detto”. Chi l’ha detto?

Magari questa persona potrebbe avere diversi ritmi di studio, un’altra condizione che non gli consentirà di studiare con la stessa efficacia dei suoi coetanei. Si sentiranno obbligati a continuare per una sorta di competizione non motivante. Vedo tanta fatica in chi incontro nel godersi la tesi o nello studio, mentre invece dovrebbe essere un momento in cui prendiamo piacere, studiamo proprio le cose che ci sono piaciute, ci prendiamo il tempo che ci serve. Invece no. Devo performare per prendere quella corona ed essere felice per il resto della vita senza sapere cosa andrò a fare, a quello ci penseremo dopo, è lo step successivo del mio futuro. Un altro grande problema.

D – Quanto la pandemia ha inciso sulla psicologia di chi studia in questi anni
Molto. Vedo persone che si sono sentite sole, altre invece durante il lockdown si sono sentite protette, per loro il trauma sociale è stato la riapertura. Ci sono persone che hanno trascorso quasi tre anni senza mettere piede in università: questo ha influito sia sul senso di appartenenza a ciò che si studia, sia sul proprio il rapporto con il sapere.

Tuttavia ritengo che nella questione della pandemia dobbiamo includere anche fattori personali, poiché il Covid ha esacerbato dei problemi già esistenti e questioni che erano già vive in noi. A un certo punto abbiamo dovuto guardare negli occhi in maniera estremamente violenta i nostri problemi, le cui conseguenze abbiamo cominciato a pagare da molto poco.

Credo che un aspetto positivo ci sia stato, il numero di esaurimenti o di depressioni da ansia generalizzata oggi sono talmente alti, che tante persone si sono finalmente concesse di accedere a dei servizi di salute mentale; questo è un bene perché si sono rese conto che il loro malessere dovuto alla pandemia (o dalla sua fine) celava in realtà un altro insieme di strati di problematiche insite nella propria storia personale, che finalmente sono stati pronti ad affrontare.

FOMO, Davide Del Prete, Giuseppina Lambiasi, Angelo Panunzio

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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