Ucraina: punto – Nelle cronache ucraine tra guerra e diplomazia, non c’è una sola notizia che tenda all’ottimismo: oltre l’incessante martellamento d’attacchi e combattimenti, le agenzie battono che la Finlandia inizia a costruire un muro lungo il confine con la Russia, alto oltre tre metri, con filo spinato, telecamere per la visione notturna, luci e altoparlanti, lungo 200 dei 1.300 chilometri della frontiera; dicono che la situazione a Bakhmut, dove “l’intensità dei combattimenti” non fa che salire, è difficile; annunciano la visita a Pechino del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, che getta un’ombra sul ruolo della Cina come mediatore; fanno sapere che i servizi d’intelligence russi paventano operazioni ‘false flag’ con armi chimiche e segnalano colonne di veicoli blindati ‘made in Usa’; riferiscono timori di allargamento del conflitto alla Moldavia.
Analisti interpellati da Euronews dicono che la Russia s’appresta a un’escalation nella guerra, mentre la segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen, in visita a Kiev lunedì, conferma il trasferimento all’Ucraina d’una grossa somma, 1,25 miliardi di dollari, per assistenza finanziaria; ed afferma che la Russia comincia ad accusare il peso delle sanzioni: “La capacità di sostituire il materiale bellico che è stato distrutto è molto seriamente compromessa”.
Ma c’è chi, in un contesto così cupo, mantiene l’ottimismo. Su Foreign Affairs, rivista del Council for Foreign Relations, Samantha Power, responsabile dell’Agenzia Usa per gli aiuti allo sviluppo, una ‘testa d’uovo’ della politica estera statunitense, spiega come e perché “la democrazia può uscire vincitrice” da questa guerra: “Dopo anni di frana della democrazia, gli autocrati del Mondo sono sulla difensiva … Per cogliere il momento e fare tornare il pendolo della storia verso la democrazia, dobbiamo abbattere il muro che separa la difesa della democrazia dallo sviluppo economico” e “raddoppiare gli sforzi per contrastare spionaggio digitale e disinformazione”.
E, a proposito di disinformazione, vanno di moda gli Ufo. Ne avvistano anche i russi, che chiudono lo spazio aereo di San Pietroburgo per qualche ore, salvo poi spiegare essere stata un’esercitazione. Ma, contestualmente, denunciano che un drone, probabilmente un UJ-22 di produzione ucraina, si è schiantato non lontano da Mosca – non è chiaro se sia stato abbattuto -. Per la Difesa russa, altri due droni ucraini sono stati abbattuti lunedì notte nel Sud: dovevano attaccare, come quello caduto presso Mosca, infrastrutture civili nella regione di Krasnodar e nella Repubblica di Adighezia.
Notizie dai fronti del conflitto e dei negoziati
Nel Nord-Est dell’Ucraina, dove si combatte una battaglia che condiziona gli sviluppi del conflitto, la situazione intorno a Bakhmut assediata da settimana è “estremamente tesa”: fonti ucraine dicono che, “nonostante perdite significative”, “il nemico ha lanciato unità d’assalto del (Gruppo) Wagner, che stanno cercando di sfondare le nostre difese”. Fonti filo-russe dell’auto-proclamata Repubblica popolare di Donetsk, sostengono che carri armati Leopard di fabbricazione tedesca sono stati notati vicino a Bakhmut – s’ignorava che i carri fossero già stati consegnati e fossero già operativi -.
Sul fronte diplomatico, lo scambio di stoccate continua. Il presidente russo Vladimir Putin intima alla sicurezza interna di vigilare “sulla feccia neonazista” e su eventuali sabotatori ucraini e promulga la legge, votata all’unanimità dal Parlamento, che prevede la sospensione da parte russa del New Start, l’ultimo trattato con gli Usa sulla limitazione delle armi nucleari.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ripete che “la Nato agisce come un nemico” della Russia. Jens Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza atlantica, insiste sulla necessità di rafforzare la capacità di autodifesa di Kiev, ma frena sulle prospettive di adesione: “Quando la guerra finirà, dobbiamo essere sicuri … che Putin non possa invadere l’Ucraina un’altra volta … Il futuro dell’Ucraina è nella Nato, ma è una prospettiva di lungo termine”.
Per Peskov, la Russia non rinuncerà, nell’ambito di un negoziato con l’Ucraina, che per ora non c’è, ai territori ucraini annessi alla Federazione. Fonti Usa mettono nel mirino la Cina, “chiaramente” schierata dalla parte della Russia e “tutt’altro che un onesto mediatore” per la pace in Ucraina.
E’ sempre l’ora dei Dottor Stranamore
Nonostante un anno di guerra alle spalle, e centinaia di migliaia di vittime, ci sono ancora in giro Dottor Stranamore. Analizzando le parole e gli atti del presidente russo Vladimir Putin, esperti americani ed europei temono che la Russia, oltre a preparare un’offensiva di primavera sul terreno, voglia imporre un’escalation al conflitto e punti ad allargarlo alla Moldavia, dove l’entità autonoma filo-russa della Transnistria offre un’opportunità di reciproche provocazioni. E il presidente ucraino Volodymyr Zelensky trova sempre occasione per rilanciare il carattere irriducibile della resistenza del suo popolo: domenica, nell’anniversario dell’annessione della Crimea da parte della Russia – era il 2014 -, scriveva su Telegram “Ripristineremo la pace nella Penisola. Quella è la nostra terra”. Il Dipartimento di Stato Usa gli andava in scia: “Non riconosceremo mai la presunta annessione russa”, nonostante i militari statunitensi ritengano molto difficile che l’Ucraina riprenda la Crimea (e anche che rigetti al di là dei propri confini le truppe d’occupazione russe).
La Russia non sta sulle sue: la marina torna a farsi vedere in forze e minacciosa nel Mar Nero, oltre che nel Baltico e nel Mediterraneo. E Peskov replica a Zelensky: “Impossibile che la Crimea torni ucraina: è parte integrante della Russia”.
Chi sperava che la diplomazia si aprisse un varco, passata la sbornia bellicista della settimana dell’anniversario della guerra intessuta di dichiarazioni nazionaliste e aggressive – le russe – o nazionaliste e oltranziste – le ucraine -, non trova, per ora, conforto: l’accoglienza riservata al piano di pace cinese in 12 punti – Pechino lo chiama senza ambizioni ‘position paper’ – è tiepida, anzi fredda. Si direbbe quasi che gli Stati Uniti, da quando la Cina è uscita dalla fase di non ingerenza nella crisi ucraina, facciano di tutto per peggiorare i rapporti con Pechino: rafforzano uomini e mezzi del sostegno militare a Taiwan; e, secondo il Wall Street Journal, ridanno credito alla tesi, finora negata, che il Covid-19 sia ‘sfuggito’ a un laboratorio cinese. In sottofondo, il ritornello, che torna con insistenza da più parti, anche su Der Spiegel, che la Cina starebbe valutando se fornire alla Russia droni e artiglierie. L’aiuto cinese potrebbe consentire alle forze russe di “sventare la controffensiva ucraina quest’estate”, quando le truppe di Kiev disporranno dei carri occidentali
Quanto all’Unione europea, batte sul tasto delle sanzioni: ha appena varato il suo decimo pacchetto di misure anti-Russia e già lavora al prossimo. L’idea che per avvicinare la pace bisogna perpetrare la guerra resta prevalente nello spirito dei contendenti e nelle diplomazie occidentali, refrattarie – Vaticano a parte – a dare priorità alla cessazione delle ostilità e al risparmio di vite umane; e impermeabili al dissenso di quasi la metà della popolazione mondiale. Il voto all’Onu sulla mozione del 23 febbraio e i dissensi in seno al G20 nella riunione del 25 Bangalore mostrano che Cina e India non sono isolate nella ricerca di nuovi equilibri internazionali e di un nuovo ordine mondiale. A gioco lungo, antagonizzarle può non essere la scelta migliore.
Fermenti diplomatici contrapposti e contraddittori
Certo, ci sono pure segnali di segno opposto. Ma metterli insieme è aleatorio. Il presidente cinese Xi Jinping potrebbe recarsi a Mosca nelle prossime settimane – i russi caldeggiano la visita, i cinesi restano vaghi -, Zelensky si dice pronto a incontrarlo. Il presidente francese Emmanuel Macron annuncia che andrà in Cina a inizio aprile per chiedere a Pechino di “aiutarci a fare pressione sulla Russia” per “fermare l’aggressione” e “costruire la pace”.
E il Wall Street Journal, all’avanguardia dell’informazione nei giorni scorsi, ipotizza un baratto che Regno Unito, Germania e Francia potrebbero proporre a Zelensky, partendo dalla constatazione, condivisa dai militari occidentali, che è difficile che Kiev riconquisti tutti i territori perduti: maggiori garanzie di sicurezza Nato in cambio di un’apertura all’avvio di negoziati con la Russia.
L’articolo del WSJ parte dalle parole del premier britannico Rishi Sunak, che, dopo avere ricevuto Zelensky a Londra l’8 febbraio, ipotizzò un’intesa per dare all’Ucraina, una volta finita la guerra, maggiore accesso a equipaggiamenti militari di ultima generazione. Se ne parlerà, forse, al Vertice della Nato a Vilnius l’11 e 12 luglio. Resta da vedere se il progetto possa piacere a Zelensky e pure a Putin, che potrebbe però apprezzare il fatto che esso non contempla una vera e propria adesione dell’Ucraina alla Nato.
Quel Vertice dovrebbe pure sancire l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, frutto della paura che l’aggressione della Russia all’Ucraina ha suscitato anche in Paesi tradizionalmente neutrali e fieri d’esserlo. Il condizionale è funzione del veto di Ankara, legato a rivendicazioni sul trattamento che Stoccolma e Helsinki giustamente riservano ai curdi loro rifugiati e che difficilmente cadrà prima delle presidenziali in Turchia del 14 maggio, specie ora che il devastante terremoto del 6 febbraio offusca la popolarità del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Fermento diplomatico pare dunque esserci. Il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba, di solito un ‘falco’, giudica il documento cinese, che chiede colloqui di pace e una “soluzione politica” del conflitto ucraino, “importante”: “Vi sono vari elementi su cui siamo d’accordo, ma almeno uno su cui non siamo d’accordo, e cioè la richiesta della fine delle sanzioni” contro Mosca. La dialettica è vivace anche in campo ucraino: il consigliere di Zelensky Mykailo Podolyak giudica “irrealistico” l’approccio cinese, che – dice – “scommette su un aggressore che ha violato la legge internazionale e che perderà la guerra”; ma poi non affida la liberazione della Crimea a un’azione bellica, ma la colloca nel contesto di negoziati sul futuro assetto russo-ucraino.
Del resto, neppure il campo russo è privo di fluttuazioni. La leadership di Putin non è in bilico, tranne che in qualche elucubrazione occidentale, ma c’è chi gli fa da falco, come il suo ex sosia Dmitry Medvedev, che con le sue sortire nucleari e apocalittiche lo fa apparire un moderato; e c’è chi lo critica, se non lo antagonizza, come il capo dei mercenari Wagner Evgheni Prigozhin e, meno, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, che se la prende soprattutto con i generali e la Difesa. Mosca non sbatte la porta in faccia a Pechino, ma Putin non si getta neppure nella braccia di Xi: Peskov impegna il Cremlino a studiare “con grande attenzione” il piano cinese, ma avverte che sarà “un processo lungo”, perché “in questo momento non ci sono le premesse per sviluppi pacifici”.
Non le creano di sicuro gli Stati Uniti. In un’intervista all’Abc, il presidente Usa Joe Biden dice, infatti, del piano cinese: “Se a Putin piace, come può essere buono? … Dentro, ci sono vantaggi solo per la Russia…”. E definisce “non razionale” l’idea che la Cina “negozi l’esito di una guerra totalmente ingiusta per l’Ucraina”. Come se, in tutto l’anno di conflitto trascorso, l’Occidente non abbia ripetutamente sollecitato la Cina a mediare.