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Ucraina: un anno dopo, crescendo di retorica di guerra, in attesa di Xi

Scritto per la Voce e il Tempo uscito il 23/02/2023 in data 26/02/2023 e, in altre versioni, per il Corriere di Saluzzo del 23/02/2023 e per il blog di Media Duemila del 23/02/2023 https://www.media2000.it/ucraina-un-anno-dopo-toni-cupi-e-retorica-di-guerrra/, oltre che, in versione più ampia, per Democrazia Futura e anticiopato su Key4biz il .23/02/2023 https://www.key4biz.it/democrazia-futura-putin-zelensky-biden-meloni-un-crescendo-di-retorica-e-di-rischi-guardando-a-pechino/436069/

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Ucraina: un anno dopo – Un crescendo di retorica di guerra segna il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: virulenta, quella di Vladimir Putin che, nel discorso sullo stato dell’Unione, accusa l’Occidente di minacciare la Russia e sospende la partecipazione al New Start, l’ultimo importante trattato nucleare esistente tra Usa e Russia; indomita, quella di Volodymyr Zelensky, che a Kyev riceve quasi in processione leader occidentali che arrivano a testimoniare solidarietà e pronmettere aiuti – lunedì, il presidente Usa Joe Biden, martedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni -.

Da. Varsavia, dove giunge da Kiev, Biden risponde a Putin, ribadendo “il fermo sostegno” dell’Occidente “per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale” dell’Ucraina: “Difenderemo la democrazia contro l’autocrazia a qualunque costo”; la Nato “è più forte e unita che mai”; i russi compiono “crimini contro l’umanità senza vergogna”.

Per il conflitto, è un momento cruciale: La Russia prepara un’offensiva di primavera, mirata almeno a completare e consolidare il controllo delle due province del Donbass già annesse, Donetsk e Lugansk. L’Ucraina spera di disporre il prima possibile dei carri armati Leopard e Abrams e insiste per ottenere aerei caccia e punta a riprendersi i territori occupati. Nelle dichiarazioni e nelle posture dei leader delle parti in causa non c’è traccia di apertura al negoziato.

Le speranze di cambiare l’inerzia di una guerra che s’avvicina a superare il ‘punto di non ritorno’ del confronto diretto tra Russia e Occidente riposano tutte sul piano di pace annunciato dalla Cina, che il presidente Xi Jimping si accinge a presentare.

Nell’analisi del New York Times, Putin ha finora subito smacchi, ma è riuscito a crearsi consenso puntando sul nazionalismo russo e rovesciando sull’Occidente la colpa del conflitto: “Ci minacciano ogni giorno. Non ci fermeranno, non arretreremo”. La previsione è che il conflitto durerà a lungo; ed è, del resto, la stessa prospettiva cui i leader occidentali preparano le loro opinioni pubbliche.

Secondo l’Ap, la scommessa di Putin sull’Ucraina, l’invasione che doveva essere “una passeggiata” e che s’è tramutata in una carneficina di militari – forse 400 mila le perdite complessive – e di civili, è la maggiore minaccia alla sua leadership e gli si è rivoltata contro. Ma il New York Times osserva, invece, che Putin sta modellando la Russia che lui desidera.

Nell’immediato, la sospensione della partecipazione al New Start avrà un impatto relativo: il trattato permette a Usa e Russia di condurre reciproche ispezioni sui siti nucleari, ma la clausola è di fatto sospesa dal 2020, causa pandemia.

Il clima a Mosca è quello della grande mobilitazione popolare: sessioni straordinarie delle camere del Parlamento mercoledì e una grande manifestazione popolare con musica e canti. Al Cremlino, mercoledì, c’è pure il capo della diplomazia cinese Wang Yi, che saggia preliminarmente le reazioni di Putin al piano di pace di Xi.

Commentando a Bruxelles il discorso di Putin, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ed il ‘ministro degli Esteri’ europeo Josep Borrell, con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, accusano Putin di non preparare la pace, ma la guerra; gli chiedono di riconsiderare la sospensione del New Start; e reclamano il diritto ad armare l’Ucraina.

Il ruolo della Cina e le remore di Washington
Con la sua annunciata iniziativa diplomatica, i cui contenuti e il cui esito restano incerti, Pechino ha forse preso in contropiede le diplomazie occidentali, dopo che per un anno la Cina s’era defilata sulla crisi ucraina, rifiutandosi di assumere un ruolo di mediazione, senza condannare l’invasione, ma dichiarandosi a favore del rispetto dell’integrità territoriale dei Paesi, un principio da applicare “senza doppie misure” – un modo per dire che Taiwan è Cina -.

Dopo avere tirato la giacca per un anno intero a Xi, perché assumesse un ruolo di mediazione sull’invasione dell’Ucraina, Biden pare ora preoccupato che lo faccia davvero: la Cina vuole prendersi la scena e gli Usa le alzano intorno cortine fumogene, anche perché le relazioni bilaterali non sono certo nel momento migliore.

La ‘guerra dei palloni’ scoppiata all’inizio del mese con il sorvolo del territorio statunitense da parte di una sonda cinese – un pallone spia, per gli Stati Uniti; una sonda meteorologica per Pechino – ed il successivo abbattimento, ha aggiunto un elemento di tensione, probabilmente solo congiunturale, al contenzioso geo-politico, economico e commerciale fra Usa e Cina.

La visita che il segretario di Stato Usa Antony Blinken progettava a Pechino è rinviata ‘sine die’. E Blinken ha appena aggiunto un altro anello alla catena dei contenziosi Usa-Cina: l’asserita fornitura alla Russia di droni e altro materiale bellico, come fanno, o farebbero, l’Iran e la Corea del Nord.

L’Ue avalla i sospetti americani: Pechino già fornisce a Mosca materiale ‘dual use’, cioè utilizzabile sia a fini civili che militari, ma si accingerebbe a fornirle armi e munizioni. La replica cinese non è una smentita: Usa ed Ue “non sono in posizione di dirci che cosa possiamo o non possiamo fare” e “devono smetterla di diffondere disinformazione”. E poi c’è una stilettata a chi fornisce armi all’Ucraina e “rischia di mandare il conflitto fuori controllo”.

Blinken e Wang si sono visti a Monaco, a margine della conferenza sulla sicurezza: nessun capitolo del contenzioso è stato chiuso, ma almeno il dialogo è ripreso. Persino la missione di Biden a Kiev assume una valenza anti-cinese, come a volere schermare l’impatto del piano di pace cinese.

L’avvicinamento tra Cina e Russia nell’ultimo anno è evidente, con Xi e Putin uniti dal desiderio d’un nuovo ordine mondiale in funzione anti-egemonia Usa. Ma se Pechino dovesse formulare proposte che soddisfino le preoccupazioni di sicurezza russe e la tutela dell’integrità territoriale ucraina sarà difficile fare orecchie da mercanti.

La visita a sorpresa di Biden a Kiev e i nuovi aiuti Usa
La visita a sorpresa, e lampo, a Kiev del presidente Usa Joe Biden ha un significato più simbolico che pratico: Biden incontra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dice parole di amicizia e sostegno, sosta compunto di fronte alle effigie dei caduti, passeggia per le vie della capitale invase dal sole mentre risuona l’allarme aereo.

Tenuto ovviamente segreta fino all’ultimo, la missione di Biden è stato preparato dal punto di vista della sicurezza nei minimi dettagli. Ed è stata anche ‘concordata’ in qualche misura con Mosca, avvertita per ridurre al minimo il rischio di incidenti fra Super-Potenze. Il ‘via libera’ è arrivato venerdì sera: la Casa Bianca aveva diffuso un’agenda del presidente falsa, per coprire il viaggio.

L’andirivieni da e per Kiev di questi giorni sembra quasi volere creare l’impressione che, nonostante il conflitto, l’Ucraina stia ritrovando una sua normalità. Nel giro di una settimana, Zelensky è stato a Londra e a Bruxelles e il ministro degli Esteri Kuleba a Monaco e a Bruxelles. E Kiev ha visitatori quasi ogni giorno.

Biden e Zelensky si erano incontrati di persona solo un’altra volta, a Washington, prima di Natale. Biden ha confermato il sostegno di lungo periodo degli Usa all’Ucraina, poi i due leader hanno “dettagliatamente” discusso di forniture militari e di ricostruzione. “Speriamo che il 2023 sia l’anno della vittoria”, dice Zelensky, che torna a chiedere i caccia F-16. Prima di partire, Biden dice: “Kiev mi ha preso il cuore… Gli ucraini sono eroici… Abbiamo unico le democrazie mondiali”.

Le informazioni ai giornalisti vengono fornite dal consigliere di Biden per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan. “Hanno parlato di quello di cui avrà bisogno l’Ucraina nei prossimi mesi per avere successo sul campo di battaglia; e hanno parlato di quello di cui ha bisogno a livello infrastrutturale, energetico, economico, umanitario. Hanno pure trattato la prospettiva politica, compresa la sessione all’Assemblea generale dell’Onu, e gli sforzi per una pace sostenibile e durevole, basata sui principi della carta dell’Onu, prima di tutto sovranità e integrità territoriale”. Sullivan elude però la domanda sull’invio a Kiev degli F-F16.

Durante la visita a Kiev di Biden, durata in tutto cinque ore, il segretario di Stato Antony Blinken ha formalmente ‘sdoganato’ il nuovo pacchetto di aiuti militari – è il 32° -: 450 milioni di dollari, che fanno salire il totale di aiuti militari degli Usa all’Ucraina a 30 miliardi di dollari dall’inizio dell’invasione.

Il nuovo pacchetto comprende munizioni per i sistemi missilistici Himars e Howitzer già forniti dagli Usa, altri missili Javelin, sistemi anti carro e radar per la sorveglianza aerea. Inoltre, gli Usa daranno anche 10 milioni di dollari per l’emergenza legata alle infrastrutture energetiche ucraine danneggiate dai bombardamenti russi. E presto ci saranno nuove sanzioni contro la Russia.

Al di là della retorica dell’anniversario dell’invasione
La Cina accende un cerino di speranza, annunciando un piano di pace proprio quando l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia entra nel suo secondo anno: Pechino, dice Wang alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, vuole “dare una chance alla pace” – e chissà se il capo della diplomazia cinese è conscio di citare John Lennon -.

Le parole di Wang, però, cadono in un terreno non fertile: con diverse sfumature, tutti i leader che intervengono a Monaco si allineano al capo della Nato Stoltenberg, che sprona “a dare all’Ucraina quello che chiede”, cioè soprattutto armi: “l’opzione peggiore è che la Russia vinca”, perché Putin “non pianifica la pace, ma nuove offensive”.

Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea il sostegno militare all’Ucraina va raddoppiato. Il G7 rinnova l’intento d’aiutare l’Ucraina “anche militarmente”. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice che l’Ucraina “è parte dell’Europa libera” e conferma l’invio dei tank: “Prima Putin capisce che ha fallito, prima la guerra finisce”. Il presidente francese Emmanuel Macron pensa che l’Europa debba “armarsi, se vuole difendersi”.

In un articolo su Foreign Affairs, Dana Massicot, ricercatore della Rand Corporation, va alle radici del fallimento della Russia, che un anno fa pensava di fare un boccone dell’Ucraina, e spiega come il Cremlino stia correggendo i propri errori strategici e tattici. “La Russia –scrive Massicot – aveva un piano d’invasione che era crivellato da false premesse, scelte arbitrarie ed errori di pianificazione che si discostavano da principi chiave della dottrina militare russa”. “Prima che la guerra in Ucraina cominciasse, l’apparato militare russo aveva diversi problemi strutturali ben noti, che precludevano la possibilità di condurre un’invasione su larga scala”. Così, progressivamente, le forze russe sono passate, sul terreno, da un atteggiamento offensivo a un atteggiamento sostanzialmente difensivo, salvo magari attuare, nei prossimi giorni, un’offensiva di primavera, prima che l’Ucraina riceva dall’Occidente carri ed eventualmente aerei.

Massicot, però, avverte che gli errori iniziali della Russia e le successive correzioni apportate “non precludono né la sconfitta né la vittoria”. A questo punto, dice, l’unica certezza è che, “se la Russia continua a mobilitare e se l’Ucraina continua a resistere ed i suoi alleati continuano a foraggiarla”, “la guerra è destinata ad andare avanti”.

Sul dato di fatto che, ‘rebus sic stantibus’. la guerra non possa che durare, si innestano “le ragioni per cui l’Occidente dovrebbe cambiare rotta in Ucraina” esplorate, sia pure in modo dialettico e dubitativo, sul Washington Post da Ishaan Tharoor

Rassegnarsi alla guerra? Le centinaia di migliaia di vittime militari e civili dovrebbero convincerci che, ferma restando la condanna dell’invasione e il sostegno agli aggrediti, nulla ci esime, in quanto Occidente, democrazie, asseriti alfieri di valori di giustizia e libertà, dal cercare di porre un termine nel più breve tempo possibile alla reciproca caneficina.

Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e i loro alleati – Nato e non -, l’Unione europea non devono lasciare il compito della ricerca della pace ai buoni uffici di un presidente autoritario che non li rappresenta come il turco Recep Tayyp Erdogan, che comunque qualche risultato ha ottenuto – la pace del grano del 22 luglio, ad esempio – o alle preghiere finora inascoltate di Papa Francesco, che, proprio perché ha la priorità della pace, non trova sponde né a Kiev né a Mosca.

Ora, con il piano di pace di Pechino, non ci si può neppure più nascondere dietro la foglia di fico della Cina, che invece d’immischiarsi, se ne tiene fuori e, oggettivamente, aiuta la Russia a non accusare l’impatto delle sanzioni.

Armi, munizioni, missili, ora i carri, domani forse gli aerei: tutto ciò tiene aperta la guerra e nega, giustamente, la vittoria alla Russia, ma non avvicina la pace. Che, pure, tutti sanno non potrà venire alle condizioni degli oltranzisti di Kiev. A colloquio con un gruppo di esperti, il segretario di Stato Usa Blinken confida che il tentativo di Kiev di riprendersi la Crimea supererebbe “una linea rossa” per Putin e potrebbe innescare da parte di Mosca “una risposta imprevedibile”.

A riferire estratti della conversazione, destinata a restare riservata, è Politico, che cita due persone presenti all’incontro. “Blinken ha dato l’impressione che gli Usa non considerino saggia una spinta per riconquistare in questo momento la Crimea”, annessa dalla Russia nel 2014. “Ma non l’ha comunque detto in modo esplicito”.

Le convinzioni attribuite a Blinken – e non smentite – s’intrecciano con quelle al Financial Times dal capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, generale Mark Milley: né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra, che può finire solo al tavolo dei negoziati. Se è “praticamente impossibile” che la Russia conquisti l’Ucraina – “Non succederà” –, “è pure estremamente difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Mosca dalle loro terre”: “L’esercito russo dovrebbe crollare”.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky replica, in un’intervista alla Bbc, che non cederà territori in accordi di pace, perché altrimenti “la Russia continuerebbe a tornare”. Il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov torna a paventare che l’Occidente, nell’aiuto a Kiev superi “il punto di non ritorno”. E Putin dà un segnale di percezione del pericolo abbandonando l’abitudine di muoversi con un suo aereo e adottando un treno corazzato, alla moda del tempo degli zar (o di Kim Jong-un).

Se i militari sanno che né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra e che il conflitto può solo finire al tavolo dei negoziati, perché i leader occidentali non ne traggono le conseguenze e non dedicano le loro energie a innescare una pace che sia giusta invece che a perpetrare la guerra? Tanto più che, per una volta, si troverebbero in sintonia con le loro opinioni pubbliche, d’accordo sulla condanna dell’aggressore e il sostegno all’aggredito, ma perplesse e preoccupate sull’opzione della ‘lunga guerra’.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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