Chi di documenti segreti ferisce, di documenti segreti perisce. Facendo lo slalom tra Donald Trump e Joe Biden, l’Fbi conduce una caccia al tesoro negli sgabuzzini e nei garage di ex uffici e residenze dell’attuale presidente e del suo predecessore: cerca (e trova) carte confidenziali non consegnate, come prassi e protocollo vorrebbero, agli Archivi Nazionali a mandato concluso.
E il cerchio dei reprobi si allarga: l’ex vice di Trump Mike Pence si autodenuncia, “ne ho anch’io” dice il potenziale candidato alla nomination repubblicana a Usa 2024. C’è la sensazione che, andando a frugare a casa degli Obama, o nel ranch di Crawford in Texas dove George W. Bush dipinge e fa lavori da cowboy, o nella casa dei Clinton a Chappaqua, nello Stato di New York, si farebbe sempre bingo: scatoloni di documenti mai più consultati, o di libri mai più aperti, potrebbero restituire carte segrete ormai obsolete – o, magari, no –.
Di sicuro, Biden, e i democratici, non possono più giocare contro Trump la carta dei segreti di Stato sottratti, dopo che il presidente s’è ritrovato documenti riservati nel garage della casa di Wilmington nel Delaware e negli uffici del think tank frequentato dopo essere stato per otto anni vice di Obama.
E’ vero che le circostanze sono diverse: Trump portò via centinaia di documenti di proposito e si rifiutò di restituirli per 18 mesi; Biden, messo sull’avviso proprio dai guai di Trump, ha scoperto d’averne alcuni e li ha spontaneamente consegnati – l’Fbi, facendo una perquisizione, ne ha poi trovati altri -. La vicenda, emersa prima del voto di midterm dell’8 novembre, è stata però resa pubblica solo due mesi dopo, a inizio 2023. E Biden, minimizzando, ha fatto una delle sue gaffe: “Erano in garage accanto alla mia Corvette”, come se i due beni, la sua Corvette e i segreti di Stato, fossero ugualmente preziosi e richiedessero analoga cura.
Biden mette la South Carolina in pole position
Così come stanno le cose, e salvo ulteriori sussulti, la partita delle carte segrete è finita pari e patta, per l’opinione pubblica. Se Biden “intende davvero candidarsi alle presidenziali 2024”, come ripete la sua portavoce Karine Jean-Pierre, in attesa che il presidente ufficializzi la propria ricandidatura, non può più contare su un vantaggio lì.
Martedì 7 febbraio, Biden deve fare il discorso sullo stato dell’Unione di fronte al Congresso riunito in sessione plenaria: un annuncio potrebbe venire non tanto in quell’occasione – l’appuntamento è istituzionale e sarebbe improprio utilizzarlo a fini di campagna elettorale -, ma a ridosso di essa.
Il presidente s’è già premurato di spianare la strada alla sua candidatura: la decisione di cominciare le primarie democratiche in South Carolina lo avvantaggio, rispetto alla tradizionale apertura nello Iowa che nel 2020 rischiò di affossare sul nascere la sua corsa alla nomination democratica, poi risollevata proprio dal successo in South Carolina, dove il voto nero, che gli è acquisito, pesa molto. Dopo toccherà al New Hampshire ‘bianco’ insieme al Nevada, dove pesa molto il voto ispanico.
I guai di Trump non sono finiti
Carte segrete a parte, Trump era uscito dal 2022 invischiato in una serie di procedimenti giudiziari che sono un handicap per la sua candidatura, se non una ‘spada di Damocle’ sul suo futuro. Uno: c’è la richiesta della commissione d’inchiesta della Camera che il Dipartimento di Giustizia lo persegua per la sommossa da lui sobillata il 6 gennaio 2021, quando migliaia di facinorosi suoi sostenitori investirono il Congresso per indurre senatori e deputati a rovesciare il risultato elettorale. Due: va avanti a New York l’inchiesta sulle pratiche finanziarie e fiscali della Trump Organization, holding di famiglia. Tre: le indagini dello Stato della Georgia sulle pressioni esercitate dall’allora presidente sulle autorità statali perché alterassero l’esito del voto del 2020 sono approdate a un Grand Jury, che deve esprimersi da un giorno all’altro.
La lista dei guai di Trump potrebbe allungarsi. Ancora s’ignora che cosa contengano le dichiarazioni dei redditi del magnate consegnate alla Camera a fine 2022, dopo una vertenza durata anni e finita alla Corte Suprema – potrebbero uscirne informazioni imbarazzanti o compromettenti. E, inoltre, l’ex avvocato dell’ex presidente, Michael Cohen, è stato ascoltato per due ore e mezzo a New York, per una caso di sospetta corruzione.
Di tutti i jolly messigli in mano da Trump, Biden ne ha finora sprecato uno: il ‘vizietto’ di portarsi a casa materiale confidenziale non è un’esclusiva del magnate. Trump e Biden sono entrambi oggetto di indagini affidate a procuratori speciali nominati ‘ad hoc’; Pence, forse, lo sarà: bisogna valutare la gravita dei fatti e la delicatezza delle informazioni mal protette, dei documenti segreti in loro possesso.
Business as usual: stragi e maneggi parlamentari
In questi giorni, Biden parla d’altro: di Ucraina e, sul fronte interno, di come limitare la diffusione delle armi d’assalto dell’Unione, di fronte a una serie senza precedenti, per frequenza, di sparatorie con stragi, specie in California: “Chiedo al Congresso di approvare rapidamente il bando sulle armi d’assalto”, dice, senza molta speranza che il suo appello sia ascoltato.
Il ritrovamento dei documenti e altri incidenti di percorso nelle prime settimane del nuovo anno hanno ridato fiato alla propaganda repubblicana contro Biden, non tanto in nome di Trump quanto puntando su un’alternanza alla Casa Bianca. Jarrett Stepman, su The Daily Signal, pubblicazione della Heritage Foundation, fa l’elenco “dei sei fallimenti della presidenza Biden” nel secondo anno del suo mandato: l’immigrazione fuori controllo, lo sforamento del debito massimo consentito, l’inflazione, la debolezza dell’Amministrazione, lo spettro dello scandalo – quello dei documenti, ma anche quelli relativi al figlio del presidente Hunter -, il mancato ritorno alla normalità – il Paese resta polarizzato -, senza dimenticare la disastrosa ritirata dall’Afghanistan nell’estate 2001.
Inchieste repubblicane si preparano sugli affari di Hunter e sull’immigrazione. C’è l’idea di avviare una procedura d’impeachment contro il segretario alla Sicurezza interna Alejandro Mayorkas: lo si fece una sola volta nella storia Usa, nel 1876.
La Camera, dove i repubblicani sono maggioranza, s’è appena data regole e priorità per la nuova legislatura biennale: il pacchetto negoziato dallo speaker Kevin McCarthy, che ha molto faticato a coagulare sul suoi nome una risicatissima maggioranza, contiene diverse concessioni all’ala trumpiana oltranzista del partito repubblicano.
Biden è intanto alle prese con i primi avvicendamenti nella sua Amministrazione, che sono quasi fisiologici a metà mandato. Per il New York Times, le dimissioni del capo dello staff Ron Klain arriveranno il 7 febbraio, in coincidenza con il discorso sullo stato dell’Unione. Il suo posto sarà preso da Jeff Zients, il funzionario che ha coordinato il piano Usa contro la pandemia di Covid.