Democrazia futura presenta un dibattito intorno alle tesi espresse da Lucio Caracciolo nel suo volume “La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa” (Milano, Feltrinelli, 2022). Massimo De Angelis lo considera una lezione di realpolitica e di denuncia di quello che definisce un “europeismo anti-europeo”. Giampiero Gramaglia meno pessimista ritiene ancora possibile un’altra strada: “L’integrazione europea può andare avanti… tornando indietro ai sei Paesi fondatori”. Per parte sua, Giulio Ferlazzo Ciano, presenta a trent’anni dalla nascita, Limes in guerra. Gli effetti della “Guerra Grande” visti dalla più importante rivista italiana di geopolitica.
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La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa è un libro assai ben scritto e bene argomentato, molto tempestivo e molto documentato, in un tourbillon di citazioni. Il suo autore Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ne irrora le pagine con la sua competenza e con l’acutezza di analisi e di visione.
E’ una lettura che propone, ad ogni capitolo, provocazioni e/o rovesciamenti di prospettiva: esempi, la Guerra Fredda che diventa “l’unica pace possibile”; il progetto di integrazione europea che diventa “il bluff europeista” alimentato dall’anti-germanesimo di francesi e britannici e funzionale all’egemonia americana; e la fine della storia che diventa “la fine della pace”.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci ha fatto capire – scrive Lucio Caracciolo, con un’altra sua formula accattivante – che, “nelle maree della Grande Guerra, siamo zattere alla deriva, trascinate da correnti avverse su cui non esercitiamo il controllo”.
Il libro offre elementi per orientarci nel gioco fra super-potenze o potenze o presunte tali o giganti dai piedi d’argilla, Cina, Russia, Usa, Unione europea, avendo come stella polare una robusta – e motivata – diffidenza verso il disegno europeo, non nel segno dell’anti-europeismo d’accatto dei sovranisti, ma come derivata di una lucida valutazione dei difetti d’origine e delle contraddizioni del progetto (o, almeno, di come i protagonisti lo interpretano).
Certo, un europeista convinto può provare qualche fastidio nel leggere i giudizi gelidi di Lucio Caracciolo anche su quelli che sono generalmente considerati i maggiori successi dell’integrazione europea, come la moneta unica – l’euro diviene l’ultima ‘tassa sui danni di guerra’ imposta alla Germania -.
E, a fronte della constatazione dell’incapacità di definire una linea europea nel conflitto russo-ucraino, manca il riconoscimento della capacità invece mostrata, solo due anni or sono, di dare una risposta solidale, coesa ed europea all’impatto economico di una crisi globale, la pandemia.
Lucio Caracciolo, che pure è attento alla cronaca con scrupolosa meticolosità nel suo quotidiano, qui vola alto: il fatto è solo il presupposto dell’analisi; il dato è a supporto dell’assioma – ché di assiomi più che di teoremi si tratta -. E, alla visione, manca – inevitabilmente – la conoscenza di un presupposto essenziale ed aleatorio: come finirà la guerra tra Russia e Ucraina? con un olocausto nucleare? o con una vittoria e una sconfitta? o con un compromesso, in cui l’Occidente – inteso come somma e non necessariamente simbiosi tra Stati Uniti ed Unione europea – e Cina avranno, o non avranno, un ruolo?
Non lo sappiamo noi; e non lo può sapere Caracciolo; al di là della certezza, per altro scontata, che il conflitto modificherà i rapporti di forza, oltre che le relazioni, fra i principali attori globali.
Alcune considerazioni euro-critiche sono validissime: ad esempio, che l’invasione dell’Ucraina ha di nuovo messo in evidenza la faglia fra Europa occidentale ed Europa centro-orientale, formalmente unite nella Nato e nell’Unione europea.
L’osservazione potrebbe portare con sé una conseguenza che Caracciolo non mi pare consideri: per andare avanti, l’integrazione europea deve tornare indietro, cioè a un nucleo più fortemente coeso e votato a divenire Stati Uniti d’Europa, i sei Paesi fondatori, i Paesi iberici, l’Irlanda e quanti altri vogliano starci, con intorno un cerchio di Paesi tenuti vicini solo dal mercato interno e dalla libera circolazione.
Dentro, una visione politica, e ideale, dell’integrazione europea; fuori, una visione mercantilista e, al più, utilitarista. Sempre che l’esito della guerra, che non conosciamo e che gli oltranzismi in campo rendono più incerto, non segni davvero “la fine della storia”.