Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si riprende la prima fila della diplomazia di pace per l’Ucraina; con un giro di telefonate annunciate con i presidenti russo Vladimir Putin ed ucraino Volodymyr Zelensky. Ankara ne dà notizia, il Cremlino conferma: segno che dietro c’è un lavoro di preparazione e che le conversazioni hanno un’agenda.
Tema dichiarato delle tue telefonate, la creazione in Turchia di un hub del gas – l’idea è russa – e la situazione in Ucraina, ma anche la crisi in Siria, dove Russia e Turchia sono su fronti opposti. “Non si possono escludere nuove iniziative di Ankara per l’Ucraina, date le relazioni di Erdogan con i leader di entrambi i Paesi coinvolti”, dice una fonte turca.
Erdogan ha sempre tenuto i canali di comunicazione aperti sia con Mosca che con Kiev ed è stato l’artefice, insieme al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dell’unico accordo finora raggiunto dall’inizio dell’invasione: la pace del grano, sancita il 22 luglio e che, dopo oltre 150 giorni, tiene, consentendo l’export dei cereali ucraini ed evitando crisi di approvvigionamento in Paesi del Terzo Mondo.
Nessun leader occidentale insidia a Erdogan la leadership della diplomazia nel conflitto: gli altri parlano solo con Zelensky, ad accezione del premier ungherese Viktor Orban, che parla solo con Putin. Ieri, Emmanuel Macron, presidente francese, ha chiamato Zelensky e gli ha annunciato la consegna di “carri leggeri da combattimento AMX-10 RC”. L’Eliseo sottolinea: “E’ la prima volta che carri di concezione occidentale vengono forniti alle forze armate ucraine”.
La voce della diplomazia resta flebile, coperta, per ora, dai boati dei bombardamenti russi su città e infrastrutture ucraine, ma pure dei contrattacchi ucraini su obiettivi militari russi in territorio russo, come testimonia la strage di Capodanno a Makiivka, il cui bilancio è tuttora controverso.
Secondo fonti di stampa e diplomatiche, Erdogan continua a muoversi a piccoli passi: hub del gas a parte, vorrebbe estendere gli accordi sul grano, incrementare gli scambi di prigionieri, trovare formule per garantire la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, occupata dai russi e costantemente monitorata dall’Agenzia dell’Onu per l’Agenzia atomica, l’Aiea; e provare ad arrivare a un cessate-il-fuoco.
Le armi di Erdogan per smuovere i suoi interlocutori sono aiuti per Kiev e compromessi con Mosca sulla questione siriana, dove la Russia fiancheggia il regime del presidente Bashar al-Assad, mentre la Turchia ce l’ha con i curdi, contro cui ha già condotto diverse operazioni militari. Ankara potrebbe però prospettare a Mosca una normalizzazione dei rapporti con Damasco.
La capacità negoziale della Turchia è affidata all’abilità con cui Erdogan, pur tenendo la Turchia nella Nato, evita di condannare l’aggressione russa in modo esplicito e riesce, nel contempo, ad avere ottimi rapporti su vari fronti con Kiev. Erdogan ha più volte organizzato telefonate parallele con Putin e Zelensky, l’ultima meno di un mese fa, l’11 dicembre.
Il fatto che nulla sia finora trapelato sui con tenuti delle conversazioni non è di per sé cattivo segno: riserbo e cautela sono componenti essenziali di un negoziato diplomatico, c’è da concordare le norme di linguaggio e da coordinare i passi successivi.