Guerra e informazione: scritto ad aprile per un numero di Libex a cura di Thierry Vissol e pubblicato a settembre, in un volumetto, con il titolo La propaganda russa in Italia
“In guerra, la verità è la prima vittima”: l’aforisma di Eschilo, vecchio di 25 secoli, s’è confermato più che mai attuale nel conflitto in Ucraina. Non solo perché le due parti fanno sistematicamente ricorso alla disinformazione, come sempre avviene, ad esempio ingigantendo i propri successi e minimizzando le proprie perdite. Ma anche perché nel nostro Mondo, cioè l’Occidente della Guerra Fredda, che pretendiamo libero e democratico, è emersa la tendenza a considerare falsa a priori ogni narrativa che metta semplicemente in dubbio la vulgata corrente, noi e loro, buoni e cattivi, giusto e sbagliato. Come se il dubbio non fosse, insieme alla curiosità, la prima molla d’ogni lavoro d’informazione giornalistica.
Liste di proscrizione, sia pure solo dai talk show più influenti, ammesso che ne resti uno che lo sia; ‘putiniani’, o presunti tali, alla gogna; ammiccamenti all’intelligence; manovre politiche e manipolazione dell’informazione: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha innescato una cascata di fenomeni negativi, eccessi e miopie, nell’universo dell’informazione.
Che la propaganda russa avesse imparato ad infiltrarsi nei nostri media e nei nostri social networks, oltre che nelle nostre competizioni elettorali, lo sapevamo: l’anno d’oro della ‘disinformatia’ fu il 2016, quando la Russia riuscì a sovvertire i pronostici dei due più importanti appuntamenti elettorali, il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e le presidenziali statunitensi, favorendo la vittoria di Donald Trump con la complicità – spiace dirlo, ora che nei suoi confronti si sta compiendo un’ingiustizia figlia anch’essa dell’attuale clima – di Julian Assange.
La pandemia è stata un’altra stagione di disinformazione, in un contesto di infodemia, cioè di sovrabbondanza d’informazioni che invece di contribuire alla chiarezza facevano confusione. Studi condotti da NewsGuard, un’organizzazione nata negli Stati Uniti e presente in diversi Paesi europei, fra cui l’Italia, hanno accertato che c’è continuità fra le disinformazioni, che si tratti della Brexit o di Trump, della pandemia o della guerra: molto spesso, i siti che le diffondono sono gli stessi.
I poteri pubblici scendono in campo per contrastare la disinformazione. E l’Unione europea ha creato l’Edmo (European Digital Media Observatory), il cui hub italiano è l’Idmo (Italian Digital Media Observatory), coordinato dal centro di ricerca Luiss Data Lab con il Master in Giornalismo e Comunicazione multimediale. Il 4 aprile è stato celebrato l’International Fact checking Day “United Against Disinformation”: una giornata dedicata all’alfabetizzazione digitale, articolata in incontri, panel, workshop riguardanti, nel linguaggio degli organizzatori, “le fake news e l’ecosistema dell’informazione online”.
L’Idmo considera che, in uno scenario di conflitto come l’attuale, “lotta alle fake news e sorveglianza sull’informazione in rete giocano un ruolo di primo piano”. Di qui, la spinta a organizzare l’International Fact checking Day per raccontare, da una parte, “l’impatto della disinformazione sulle nostre vite a partire dalla pandemia e dalla guerra”; e, dall’altra, “le strategie per arginare il fenomeno attraverso approcci multidisciplinari”.
La giornata ha fatto conoscere al pubblico le attività dell’Osservatorio, che mirano a diffondere una maggiore consapevolezza degli agguati della disinformazione e a divulgare buone pratiche legate al fact checking e alla e-literacy. L’evento s’è articolato in diverse sessioni, ognuna curata da un differente partner dell’Idmo: sono stati toccati i temi più attuali riguardanti l’ecosistema dell’informazione, con particolare attenzione ai digital media. Il direttore di Pagella politica Giovanni Zagni ha testimoniato la sua esperienza di fact checker; e NewsGuard ha illustrato i rapporti ricavati dalla sua analisi della disinformazione di guerra, specie via Tiktok.
Ma, più che la disinformazione, che è un corollario inevitabile dei tempi di guerra, il vulnus più grave del conflitto alla qualità della nostra informazione è l’ondata di intolleranza che ci ha investito, inducendoci a considerare equivalenti opinioni la cui espressione è legittima, pur se in dissenso dalle nostre, e false informazioni. Se dovesse radicarsi nelle nostre società, questa forma moderna di maccartismo sarebbe un cancro capace d’attaccare la nostra libertà e la nostra democrazia.