Qatargate – Doveva essere il Mondiale della denuncia della discriminazione e dei misfatti del Qatar, in termini di rispetto dei diritti umani, sociali e di genere. E invece, dopo che i soloni del calcio hanno imposto la sordina a ogni forma di protesta, per quanto civile e giusta fosse, Qatar 2022 si chiude con scorno degli europei all’insegna della corruzione nelle Istituzioni di Bruxelles: pagano gli emiri e non solo; ma si fanno pagare gli eletti del popolo, i nostri rappresentanti.
Verrebbe da ricordare che, a volere guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino, non si vede la trave nel proprio. Ma qui non ci sono pagliuzze: solo travi. La discriminazione, come la corruzione, sono due cancri che corrodono l’umanità ovunque nel Mondo: umiliano e mortificano chi le subisce; squalificano e infangano chi le pratica.
Semmai ce ne fosse bisogno, la geo-politica del pallone non lascia dubbi: l’Europa non se la passa bene. Dal 2002, cioè dai Mondiali in Giappone e Corea del Sud, la Coppa del Mondo era sempre stata vinta dalla squadra di un Paese dell’Ue: dopo il Brasile, Italia, Spagna, Germania, Francia, cioè il quadrilatero calcistico dell’Unione europea -; e addirittura, nel 2006 in Germania e nel 2018 in Russia, tutte e quattro le semifinaliste erano state europee (Italia, Francia, Germania e Portogallo e poi Francia, Croazia, Belgio e Inghilterra, che non aveva ancora fatto la Brexit).
Questa volta, invece, il titolo se n’è tornato, vent’anni dopo, in America latina, in Argentina; e c’erano solo due semifinaliste Ue, Francia e Croazia. Qatar 2022 certifica, dunque, anche dal punto di vista sportivo – un aspetto certamente non grave, ma appariscente – il disagio, l’impaccio, la crisi dell’Unione.
E da quando, il 9 dicembre, Le Soir, il maggiore quotidiano belga di lingua francese e il più autorevole, ha rivelato l’esistenza del Qatargate non si parla d’altro. Spesso a sproposito, o almeno con molta approssimazione: in questa vicenda, le certezze sono ancora poche i fatti accertati meno; e bisogna pure fare un distinguo tra i comportamenti illegali, cioè che configurano reati; quelli politicamente ed eticamente inopportuni; e infine quelli assolutamente leciti e normali.
Da quasi due settimane, i media accavallano senza distinzioni gli uni agli altri, con racconti di parte: la stampa di destra sguazza in uno scandalo in cui i corrotti sono di sinistra; la stampa di sinistra calca la mano sulle denunce per stornare da sé il sospetto di connivenza. Una cosa è chiara: tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’assegnazione dei Mondiali al Qatar, che risale al 2012 e che è responsabilità della Fifa, non dell’Ue. Il Qatar, come il Marocco e forse altri, volevano comprarsi un’immagine migliore. E neppure ci sono riusciti, vista la risoluzione di denuncia e condanna approvata il 24 novembre dal Parlamento europeo, nonostante l’intervento pro – Qatar dell’allora vice-presidente dell’Assemblea Eva Kaili.
I fatti, i sacchi di soldi, l’inchiesta, gli arresti
Euractiv scrive: “Sacchi di soldi sono stati trovati nelle case di quattro politici europei. Secondo l’accusa, avrebbero ricevuto centinaia di migliaia di euro per stare agli ordini del governo del Qatar. Se le accuse fossero confermate, sarebbe lo scandalo di lobby più grande della storia europea”. E l?Ap, un’agenzia di stampa americana che guarda la vicenda con un certo distacco, osserva: “Più domande che risposte, finora, nell’inchiesta”. I telefoni delle persone e delle organizzazioni coinvolte squillano a vuoto.
Stiamo ai fatti. Nel Qatargate, che in realtà coinvolge non solo il Qatar, ma anche altri Paesi, certamente il Marocco, parlamentari ed ex parlamentari europei e loro collaboratori e familiari, funzionari, lobbisti: avrebbero accettato somme di denaro e altre prebende e si sarebbero impegnati per influenzare il Parlamento europeo e le altre Istituzioni dell’Unione europea in senso favorevole ai loro corruttori.
Le autorità di Doha e di Rabat respingono le accuse; il Qatar sostiene che gli Emirati arabi uniti, Paese vicino, ma non amico, hanno montato il caso contro di loro. La tattica dello scarica barile è diffusa: l’ex commissario europeo greco Dimitris Avramopoulos dice che alcuni circoli romani vogliono coinvolgerlo nel Qatargate, per estrometterlo dal processo di selezione del prossimo rappresentante speciale dell’Ue per le relazioni con i Paesi del Golfo e favorire Luigi di Maio.
Gli inquirenti in Belgio, dove l’inchiesta. coordinati dal pm Michel Claise, è stata lanciata, su input dell’intelligence, che sospettava azioni di spionaggio a detrimento della sicurezza nazionale, e pure in Italia, in Grecia e in Francia, hanno sequestrato nelle case degli indagati denaro contante per oltre un milione e mezzo di euro, pc e cellulari. Alcuni degli indagati sono in carcere, altri ai domiciliari, altri in libertà vigilata.
Il bubbone è esploso il 9 dicembre, quando la polizia belga ha eseguito una ventina di perquisizioni: nel rispetto della Costituzione belga, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola dovette rientrare a Bruxelles da Malta, dov’era per il week-end, per assistere alla perquisizione nella casa della sua vice Kaili, eurodeputata greca del Gruppo socialista. Il padre della Kaili, Alexandros, venne arrestato mentre cercava di lasciare un hotel di Bruxelles portando una valigia contenente “diverse centinaia di migliaia di euro”.
Pure perquisiti, con il sequestro “di una grande quantità di denaro contante”, ufficio e appartamento di Antonio Panzeri, un ex eurodeputato italiano, prima del Pd, poi di Articolo 1, attualmente presidente di Fight Impunity, una Ong nata che combatte l’immunità di chi viola i diritti umani e compie crimini contro l’umanità.
Panzeri è stato arrestato, come Francesco Giorgi marito della Kaili, ex collaboratore di Panzeri e figura chiave della Ong Fight Impunity, le cui ammissioni hanno poi orientato le indagini. E come Luca Visentini, segretario generale dell’ITUC, International Trade Union Confederation, presto rilasciato; e Niccolò Figa-Talamanca, segretario generale della Ong No Peace Without Justice. Coinvolti nell’inchiesta anche un europarlamentare belga, Marc Tarabella, e alcuni assistenti.
In Italia, sono state arrestate, e poi poste agli arresti domiciliari, in attesa di decidere sulla richiesta di estradizione in Belgio, la moglie e la figlia di Panzeri, Maria Colleoni e Silvia Panzeri, avvocato.
Fra le contestazioni fatte agli arrestati e agli indagati, corruzione, riciclaggio di denaro sporco e partecipazione a “una organizzazione criminale”. Col passare dei giorni, l’inchiesta belga s’è rapidamente ramificata in inchieste nazionali e indagini interne alle istituzioni comunitarie: si teme che il Qatargate sia solo quel che emerge di un verminaio di intrighi e corruzione.
Relazioni e corruzione
L’Unione europea ha avuto con il Qatar, e gli altri Paesi del Golfo, e con il Marocco, e gli altri Paesi del Maghreb, “relazioni ampie” e su più piani. Calcio a parte, il Qatar è stato un Paese chiave sia nella vicenda dell’evacuazione dall’Afghanistan – era il primo scalo di molti aerei che portavano via da Kabul chi fuggiva dai talebani – sia sul dossier energetico.
Lo ricorda un alto funzionario europeo, commentando indiscrezioni secondo cui l’intelligence belga teme infiltrazioni anche all’interno del Servizio di Azione esterna dell’Ue, la diplomazia europea. E aggiunge che le relazioni con il Qatar godevano di un “generale favore strategico” istituzionale, non frutto di magheggi personali.
Uno studio del Cep (Centres for European Policy Network) comprova che l’Europa e i grandi Paesi, Italia e Francia in particolare, sono economicamente intrecciati con il Qatar in vari modi: non solo nel calcio dei club, dal PSG al Bayern di Monaco, ma soprattutto nel settore energetico. E il peso del Qatar per l’Europa andrà aumentando, affermavano gli esperti ancora ignari del Qatargate.
Il Cep ha analizzato in dettaglio l’importanza economica in prospettiva del Qatar per l’Europa, notando che, a differenza della Cina, l’Emirato non punta alle infrastrutture ma al soft power; e che ha già aumentato in modo significativo l’influenza in Europa, sponsorizzando lo sport europeo. L’assegnazione dei Mondiali era stato un successo di tale strategia.
Ma l’affidamento, sempre più frequente, di grandi eventi sportivi internazionali, da parte del Cio o della Fifa o di altre federazioni, a realtà politiche autocratiche o intolleranti comporta – nota il Cep – rischi di credibilità e di snaturamento del messaggio di dialogo e tolleranza che lo sport dovrebbe rappresentare: vedasi i Mondiali del 2018 in Russia o le Olimpiadi invernali del 2020 (svoltesi, causa pandemia, nel 2021) a Pechino. “Lo sport – afferma il direttore del Cep Henning Vöpel – deve svolgere la funzione di promozione del dialogo internazionale, soprattutto al di là delle differenze politiche e culturali. Ma sorvolare frequentemente su violazioni dei diritti umani in questo processo potrebbe anche danneggiare pesantemente la credibilità delle istituzioni sportive ed il valore più profondo del messaggio, anche per molto tempo a venire”.
Il ruolo delle lobbies
Virgilio Dastoli, che fu stretto collaboratore di Altiero Spinelli al Parlamento europeo dal 1979 all’’86, scrive che “questo scandalo è stato possibile soltanto perché le leggi europee sulle lobbies sono deboli e antiquate”. Il Qatargate “dev’essere un campanello d’allarme: si gioca la credibilità dell’Ue. Se non cambiamo le regole del gioco, questa situazione potrebbe ripetersi nuovamente. Servono … leggi più severe per combattere la corruzione”.
Il peso e il potere delle lobbies europee era stato recentemente, ma prima dell’esplodere del Qatargate, documentato da Milena Gabanelli, nel suo Data Room sul Corriere della Sera, in un servizio realizzato con Luigi Offeddu: “Bruxelles supera Washington e si consacra capitale mondiale del lobbismo: sono 11.801 i gruppi di pressione elencati nel Registro della Trasparenza istituito dalla Commissione europea”. A Bruxelles si fanno le leggi che riguardano circa 450 milioni di cittadini e le lobbies lavorano perché le normative non contrastino gli interessi delle imprese e delle associazioni che rappresentano; o degli Stati per cui lavorano.
Ai primi posti nella classifica delle spese sostenute, ci sono – i dati sono tutti tratti dal Data Room – il Cefic, Consiglio delle industrie chimiche europee (12 milioni di spese minime nel 2018), Google (6 milioni nel 2017), Microsoft (5 milioni), BusinessEurope (la Confindustria europea, 4 milioni). C’è anche Huawei, colosso cinese della telefonia, 2.190.000 di costi dichiarati nel 2017. Soldi per corrompere? No, ti diranno: per informare, convincere, persuadere.
Fra i singoli Paesi, l’Italia, con 841 lobbies, è al quinto posto dopo il Belgio (dove ovviamente si registrano molti gruppi stranieri), la Germania, la Gran Bretagna, la Francia. Fra le principali presenze italiane, per costi dichiarati, troviamo: Altroconsumo (5 milioni di euro), Enel (2 milioni), Eni (1.250.000), Confindustria (900.000). Tutti insieme, i quasi dodicimila gruppi di pressione presenti a Bruxelles spendono circa 1,5 miliardi all’anno. “A che cosa servono? A mantenere uffici e personale, a fare convegni e campagne d’opinione in diversi Paesi. O a comprare voti, leggi, e figure delle istituzioni, questo è il dubbio spesso evocato”. Un dubbio che il Qatargate rafforza, anzi convalida.