Canto e controcanto. Nove mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si profilano, per la prima volta, le condizioni per avviare una trattativa di pace: l’Ucraina è galvanizzata, ma ha davanti a sé “il peggiore inverno della nostra vita”; la Russia è in fase di ripiegamento e ha bisogno di tempo per consolidare le linee di difesa; gli Stati Uniti dell’Amministrazione Biden hanno sei / nove mesi da spendere per giungere a una soluzione diplomatica, prima di essere di nuovo assorbiti da una estenuante e paralizzante competizione elettorale. Ma il controcanto viene dall’Europa, che pure è, in linea di massima, la più spaventata dalla prospettiva di una lunga guerra e la più incline alla trattativa. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice che bisogna “essere pronti a un’escalation”, “alla luce degli sviluppi del conflitto in Ucraina e dei visibili e crescenti fallimenti della Russia”.
Il partito del negoziato ha un unico instancabile promotore: Papa Francesco, che ancora martedì, rivolgendosi al World Jewish Congress, diceva: “In tante regioni del mondo la pace è minacciata. Riconosciamo insieme che la guerra, ogni guerra, è sempre, comunque. e dovunque, una sconfitta per tutta l’umanità! Penso a quella in Ucraina: una guerra sacrilega che minaccia ebrei e cristiani allo stesso modo privandoli dei loro affetti, delle loro case, dei loro beni, della loro stessa vita! Soltanto nella volontà seria di avvicinarsi gli uni agli altri e nel dialogo fraterno è possibile preparare il terreno della pace. Come ebrei e cristiani cerchiamo di fare tutto ciò che è umanamente possibile per arrestare la guerra e aprire vie di pace”.
Parlando a New York al Council on Foreign Relations, un prestigioso think tank, Petro Poroshenko, ex presidente ucraino, assicura: “Non c’è nessuno al Mondo che voglia la pace più degli ucraini”; ma aggiunge che “i nostri migliori negoziatori sono le nostre forze armate” e sostiene che, per fare finire il conflitto, servono tre cose: “Più armi – per la difesa aerea, specifica -, più sanzioni e l’ingresso dell’Ucraina nella Nato”. Che, a leggerle in filigrana, paiono tre cose per fare la guerra, non la pace.
L’ultima strategia della Russia, in atto da oltre un mese, consiste nel distruggere le infrastrutture dell’Ucraina, in particolare energetiche, privando la popolazione di acqua, luce e riscaldamento, nella speranza di logorare la resistenza degli ucraini (finora compatti). Ma pure Mosca ha problemi: per Poroshenko, il presidente russo Vladimir Putin “pagherà il prezzo della mobilitazione forzata e delle sanzioni”, perché la guerra pesa ormai su ogni famiglia.
L’ex presidente, che non cita mai il suo successore Volodymyr Zelensky, se non quando è costretto a farlo da una domanda esplicita, dispensa consigli all’Occidente: “Non fidarsi di Putin, ma non averne paura”; gli chiede di pensare prima a salvare l’Ucraina e poi a ricostruirla; e prospetta un’improbabile espulsione della Russia dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Bombardamenti indiscriminati sulle infrastrutture energetiche
Freddo e buio: gli ucraini si preparano a vivere quello che hanno già definito “l’inverno peggiore della nostra vita”. Da oltre un mese ormai, la Russia prosegue i bombardamenti indiscriminati: colpite decine di città e soprattutto le infrastrutture energetiche. Milioni e milioni di cittadini sono privati, del tutto o a intermittenza, di acqua, luce, gas, riscaldamento: agli effetti di bombe, droni e missili, si sommano le misure di economia attuate dalle autorità ucraine. Fra le misure d’emergenza allo studio, piani di evacuazione e l’invito ai cittadini che possono farlo di lasciare le loro abitazioni nelle grandi città per tornare magari a rifugiarsi all’estero, in attesa di tornare a casa dopo l’inverno.
Le gragnole di missili non hanno però frenato gli ucraini dal proseguire sul terreno la controffensiva fino a riprendere il controllo di Kherson nel Sud-Est del Paese: insieme alla liberazione di Kharkiv, nel Nord-Est, è stata finora la loro maggiore riconquista. I russi non avanzano più su nessun fronte, si sono ritirati a Ovest del Dnepr e paiono soprattutto intenti a consolidare le posizioni.
I Paesi del G7 si sono impegnati ad aiutare l’Ucraina a ripristinare le infrastrutture energetiche. Ma Poroshenko li invita a pensare più a fare vincere la guerra all’Ucraina che alla ricostruzione.
L’appoggio dell’Occidente resta “più solido del previsto”
Sulla guerra in Ucraina, l’Occidente resta per il momento più unito ci quanto ci si poteva attendere, come l’esito del Vertice del G20 a Bali in Indonesia a metà novembre dimostra. Eric S. Edelman, già sotto-segretario alla Difesa con George W. Bush presidente, constata che gli europei mostrano una fermezza imprevista: “Il sostegno dell’opinione pubblica resta molto forte”, nonostante l’impatto economico negativo, specialmente in Germania e in Italia.
L’Amministrazione Biden constata che gli alleati europei hanno preso molte misure per attutire l’effetto guerra sull’inverno imminente, ‘stockando’ energia e diversificando approvvigionamenti. A Washington c’è la sensazione che Putin abbia perso la scommessa di dividere i Paesi occidentali, ma c’è pure la consapevolezza del rischio di sottovalutare le difficoltà di tenere unita una coalizione e di gestire un’alleanza.
La conferma della ‘pace del grano’
La novità più positiva degli ultimi giorni è il ripristino della ‘pace del grano’ raggiunta il 22 luglio, che era stata sospesa a fine ottobre, dopo un attacco ucraino con droni sulla flotta russa in Crimea. Grazie di nuovo alla mediazione della Turchia, già decisiva in estate, Mosca ha ridato ‘via libera’ alle spedizioni di cereali ucraini, che transitano nel Mar Nero lungo corridoi protetti.
Subito dopo l’attacco, la Russia aveva cancellato l’accordo di Istanbul. Il Ministero della Difesa ha spiegato di avere ottenuto dall’Ucraina “garanzie scritte” che i corridoi del grano non saranno usati per azioni militari contro la Russia. L’export ucraino è essenziale per molti Paesi che patiscono penurie alimentari.
Il momento di massima tensione
La tensione internazionale ha toccato il suo culmine durante il vertice del G20 la scorsa settimana, quando, il 15 novembre, frammenti di missile sono caduti in territorio polacco, in un’area rurale, non lontano dalla frontiera ucraina, uccidendo due persone. Gli ucraini sostenevano che si trattasse di un missile russo, i russi lo negavano. Per qualche ora, l’incubo di un attacco russo sul territorio d’un Paese Nato, che poteva innescare da parte dell’Alleanza il ricorso all’Articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, ha aleggiato sul Mondo intero. L’articolo 5 prevede che tutti i Paesi Nato, trenta, vadano in soccorso di quello attaccato.
Al ritorno da Bali in Indonesia alla Casa Bianca, è stato lo stesso presidente Usa Joe Biden a zittire l’ucraino Zelensky, affermando che “ci sono prove” che a colpire la Polonia era stato un ordigno della contraerea ucraina, lanciato per contrare la pioggia di missili russa: nella giornata di martedì, con una dimostrazione di forza non a caso coincidente con il G20, i russi hanno tirato un centinaio di missili su una dozzina di città ucraine.
Anche le autorità polacche, che non avevano inizialmente escluso la possibilità di un attacco russo, hanno poi fatto propria la versione di un ordigno della contraerea ucraina, avallata anche dalla Nato. Il presidente polacco Andrzej Duda ha parlato di “sfortunato incidente” causato dai tentativi ucraini di respingere i missili russi. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg ha invece puntualizzato che l’accaduto non era “colpa dell’Ucraina”, che si stava difendendo, e che la Russia ne portava “la responsabilità definitiva”. A rendere più laborioso l’accertamento della verità il fatto che il missile – chiunque l’avesse sparato – era comunque di fabbricazione russa.
L’episodio ha comunque segnato la prima volta, in quasi nove mesi di guerra, che un Paese Nato è stato colpito e ha messo in evidenza i rischi insiti in questo conflitto, dove un errore o un incidente possono innescare conseguenze drammatiche per il Mondo intero.
Attacchi senza soluzione di continuità e timori per la centrale di Zaporizhzhia
L’incidente (e i rischi connessi) non hanno tuttavia distolto i russi dal proseguire senza interruzione i loro attacchi su infrastrutture civili, in particolare energetiche, anche se Mosca, nella circostanza, aveva dichiarato di avere apprezzato la prudenza degli Stati Uniti, che non hanno mai incoraggiato gli allarmismi. C’è la sensazione che i canali di comunicazione mantenuti aperti tra militari russi e statunitensi abbiano funzionato.
Gli attacchi con missili e droni sulle città ucraine, e in particolare sulla capitale Kiev, sono anche segno della frustrazione di Mosca, dopo il ritiro da Kherson – una mossa che Putin ha lasciato annunciare ai suoi generali -. Il territorio di Kherson, come quello di Zhapoizhzhia, era stato annesso dalla Russia dopo i referendum farsa dello scorso settembre, insieme a quelli delle già autoproclamate repubbliche filo-russe di Donestsk e di Lugansk.
In realtà, la Russia non ha mai controllato interamente le aree di Kherson e di Zaporizhzhia, la cui annessione appariva più una manovra propagandistica, finalizzata, magari, a creare dei presupposti per baratti in fase di negoziato. Negli ultimi giorni, si sono di nuovo acuiti i timori per la sicurezza della centrale nucleare nella zona di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, dove l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica mantiene dall’estate una presenza costante: bombardamenti e combattimenti rendono incerta la funzionalità dell’impianto, ormai molto compromessa, e aumentano i rischi d’incidenti potenzialmente catastrofici.
A metà novembre, le forze armate ucraine hanno segnalato che i russi stanno accumulando missili per continuare a colpire le infrastrutture energetiche.
Fermenti diplomatici e pressioni degli Usa su Zelensky
Al G20, Zelensky ha presentato un piano di pace in dieci punti, con, fra l’altro, il completo ritiro dall’Ucraina delle forze russe, garanzie per la sicurezza nucleare ed alimentare e la costituzione d’un tribunale speciale per i presunti crimini di guerra russi – Mosca, a sua volta, ne denuncia e documenta di ucraini -.
Zelenski aveva in particolare chiesto ai leaders del G20 di fare quanto in loro potere per convincere Putin “ad abbandonare le minacce nucleari”. Mosca, dal canto suo, sostiene che Kiev sta per dotarsi di “una bomba sporca”, cioè un ordigno nucleare a bassa intensità.
“Che la Russia provi, rinunciando al terrorismo, che è davvero interessata alla pace”, aveva ancora detto Zelensky, riferendosi agli attacchi indiscriminati contro strutture civili. La sua proposta era però stata respinta da Mosca, che al G20 s’era trovata isolata: assente Putin, il ministro degli Esteri Serguiei Lavrov aveva misurato la freddezza nei suoi confronti.
Secondo fonti diplomatiche occidentali e fonti di stampa Usa, Biden sta discretamente incoraggiando Zelenski a mostrare che l’Ucraina è pronta a trattare. La mossa non sarebbe tanto finalizzata ad avviare davvero negoziati con Putin, ma sarebbe piuttosto mirata a non fare perdere all’Ucraina – per eccesso di rigidità – il sostegno delle opinioni pubbliche occidentali. Dai bilaterali a Bali tra i presidenti Usa Biden e cinese Xi Jinping e tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e Xi sono venute spinte alle trattative.
Sul terreno, la controffensiva ucraina
Alla vigilia del G20, Zelensky aveva fatto una visita trionfale a Kherson liberata: dopo otto mesi d’occupazione russa, la città accusa ancora problemi di approvvigionamento in energia e acqua e viveri. Al presidente, gli abitanti hanno raccontato torture, scomparse e privazioni subite durante l’occupazione: “Era come un gulag”, ha riferito un testimone diretto di tante sofferenze. Zelensky ha denunciato la Russia per le atrocità commesse e ha promesso che le forze ucraine continueranno “a spingere i russi fuori” dall’Ucraina, dopo avere “stabilizzato” la situazione a Kherson.
L’ingresso delle truppe ucraine nella città occupata era stato accolto con scene di giubilo da parte della popolazione: la ripresa della città da parte degli ucraini ed il ritiro dei russi sulla riva sinistra del fiume Dniepr rappresentano, a giudizio degli esperti militari, il maggiore rovescio della Russia in questo conflitto. Commentando gli sviluppi sul terreno il 9 novembre, Stoltenberg aveva detto che essi dimostrano “il coraggio, la determinazione e la dedizione delle forze armate ucraine e anche l’importanza del sostegno dell’Occidente”, diuturno e cospicuo.
Secondo fonti militari americane, al momento dell’abbandono di Kherson la Russia aveva già perso in Ucraina oltre 100 mila uomini, tra morti e feriti; le perdine militari ucraine sono confrontabili.
Aiuti militari dall’Occidente all’Ucraina e dall’Iran alla Russia
Tra ottobre e novembre, le forze armate ucraine hanno ricevuto dall’Occidente sistemi di difesa anti-aerei per fare fronte agli attacchi russi con aerei, droni e missili. La Russia ha invece acquisito da Teheran una licenza per produrre droni. Ma le informazioni, in merito, sono contraddittorie.
I generali ucraini vorrebbero colpire i siti di lancio dei droni ucraini, che stanno in territorio russo: una mossa che può innescare ulteriori ritorsioni, anche contro chi fornisce a Kiev gli strumenti per farlo.
D’altra parte, secondo fonti ucraine, l’Iran avrebbe già inviato alla Russia un migliaio di sistemi d’arma fra droni d’attacco e missili balistici a corto raggio. E Teheran non nega più di fornire assistenza militare alla Russia in questo conflitto.
La mobilitazione straordinaria parziale russa si sarebbe conclusa il 1° novembre, data alla quale 41 mila nuove reclute erano già state inserite nelle unità di combattimento. La mobilitazione è stata segnata da errori e da proteste, che ne hanno compromesso l’efficacia e l’utilità.
Segnale di vulnerabilità delle forze russe e altre mosse
L’attacco subito a fine ottobre dalla flotta russa del Mar Nero nella baia di Sebastopoli – almeno quattro unità sono andate perdute o sono state danneggiate – ha dato un segnale di yulnerabilità delle forze russe nelle loro basi, che s’è sommato ai rovesci sul fronte. La reazione del Ministero degli Esteri di Mosca ne era una conferma: “Intendiamo attirare l’attenzione dell’Onu sulla serie d’attacchi terroristici contro la Russia nel Mar Nero e nel Mar Baltico, anche con il coinvolgimento della Gran Bretagna”.
Un riferimento al sabotaggio a fine settembre dei gasdotti NordStream: per un’inchiesta svedese, sono stati condotti con esplosivi di cui s’ignora la provenienza.
In un altro sviluppo riferibile alla guerra ucraina, una corte olandese ha condannato in contumacia due ufficiali dell’intelligence russa e un comandante delle forze filo-russe per avere abbattuto, nel 2014, un aereo di linea della Malaysia Airlines con 298 persone a bordo che, partito da Amsterdam, sorvolava il Donbass durante una fase del conflitto fra ucraini e separatisti.
Fonti di intelligence ucraine sostengono che Mosca continua a lavorare per rovesciare in Moldavia il governo pro-occidentale, finanziando con decine di milioni di dollari un network politico ed economico filo-russo.