I timori per la sicurezza del voto di midterm negli Stati Uniti, martedì 8 novembre, sono aumentati dopo che, venerdì scorso, un uomo di 42 anni, David DePape, s’è introdotto nella casa della speaker della Camera Nancy Pelosi, 82 anni, che non c’era, e ha aggredito il marito Paul, anch’egli 82 anni, causandogli una frattura al cranio e altre ferite.
DePape è accusato di aggressione del marito della speaker e di tentato rapimento della stessa, oltre che di vari altri reati minori. Se condannato, rischia pene fino a vent’anni per il tentato rapimento e fino a trent’anni per l’aggressione. L’episodio sembra riconducibile al clima d’odio e d’intolleranza della politica statunitense, che resta fortemente polarizzata.
Tuttavia, i responsabili Usa della sicurezza e della ‘cyber-sicurezza’ degli Stati Uniti non vedono “specifiche o credibili minacce” di turbative al regolare svolgimento delle operazioni elettorali, anche se le autorità federali sono preoccupate per eventuali tentativi di interferire, fisicamente od online, con il voto.
E le consultazioni di midterm avranno sicuramente appendici giudiziarie. Numerosi candidati repubblicani non si sono infatti impegnati a riconoscere l’esito del voto, se dovessero perdere: esempio, la candidata governatrice dell’Arizona Kari Lake, ex conduttrice televisiva, convinta che le presidenziali 2020 furono truccate, come sostiene Donald Trump. In un’intervista, Lake ha detto che lei vincerà e che accetterà solo questo verdetto. Inoltre, s’è impegnata, se diventerà governatore, ad eliminare le macchine per il conteggio dei suffragi e a vietare il voto per corrispondenza.
Su questi temi, contestazioni si preparano in diversi Stati. Come scrive l’AP, oltre cento ricorsi sono già stati presentati nelle aule giudiziarie di tutta l’Unione, “con l’intento di sollevare a priori dubbi sul risultato delle elezioni”.
Eppure, a una settimana dall’8 novembre, circa un quinto degli elettori che, alla fine, risulteranno avere votato – si prevede un centinaio di milioni di cittadini – ha già deposto la propria scheda, approfittando del voto per posta o dell’apertura anticipata di speciali seggi: oltre 20 milioni i voti già espressi in 46 Stati, secondo i dati della Cnn. In California, Texas, Florida, l’ ‘early voting’ ha ormai superato i due milioni. In Georgia, dove la corsa al posto di governatore è molto serrata e incerta tra l’attuale governatore repubblicano Brian Kemp e la sfidante democratica Stacey Abrams, le schede già deposte sono 1,6 milioni, numero molto elevato in uno Stato con neppure 11 milioni di abitanti.
Per prendere il controllo del Congresso, ai repubblicani basta poco: l’8 novembre si eleggono infatti tutti i 435 deputati – i democratici ne hanno 220 e i repubblicani 212, con tre posti vacanti – e 35 dei 100 senatori – sono 50 pari: la maggioranza democratica posa sul voto del presidente del Senato che è il vice-presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris -. Ci sono pure da rinnovare 39 governatori, in 36 Stati e tre territori; e ci sono numerose altre elezioni statali e locali e alcuni referendum.
Stando ai sondaggi e a guru della politica, l’incertezza sui rapporti di forza al Senato dopo midterm è grande: l’equilibrio di partenza è perfetto e i repubblicani con un seggio in più diventerebbero maggioranza, ma i democratici possono conquistare un seggio in Pennsylvania e forse un altro. Invece, la Camera inclina verso i repubblicani, che devono strappare ai democratici cinque seggi e potrebbero farlo grazie a una ridefinizione dei collegi a loro vantaggio, negli Stati da loro governati.
Sul clima del voto incide l’attesa del verdetto della Corte Suprema, che deve decidere se gli atenei dell’Unione possono continuare a considerare la razza un fattore di ammissione: sotto esame, cioè, sono le cosiddette ‘affirmative actions’, che tendono a favorire l’accesso alle università di esponenti delle minoranze, specie neri e latini. Se la Corte Suprema dovesse bocciarle come illegali, il numero di studenti neri e latini nelle Università diminuirà. Il caso riporta nella campagna il tema dei diritti, che era già stato sollevato in estate dalla sentenza della Corte Suprema che ha tolto la tutela federale all’aborto.
I sostenitori delle ‘affirmative actions’, che esistono da 60 anni e che in passato hanno già superato il vaglio della Corte Suprema, sostengono che i programmi hanno garantito a persone sfavorite e alle donne di avere un accesso all’educazione superiore che sarebbe stato altrimenti loro negato. Ma chi ha assistito alla prima udienza lunedì 31 ottobre – cinque ore per presentare le varie posizioni – ne ha ricavato l’impressione che l’attuale Corte, fortemente conservatrice, sia scettica sulla validità delle ‘affirmative actions’ e sia incline a bloccarle o a limitarle. Diversi giudici le hanno paragonate a pratiche discriminatorie del passato, come la segregazione e la schiavitù.
In un Paese alla ricerca di facce nuove per le presidenziali 2024, il ruolo del presidente Joe Biden e del suo predecessore Donald Trump è stato piuttosto limitato nella campagna. Biden sente il peso dell’età – le frequenti gaffes ne sono un indice -; Trump non gli è di molto più giovane ed è sotto scacco per le vertenze sulla sommossa da lui sobillata il 6 gennaio 2021, per i documenti segreti sottratti alla Casa Bianca, per vicende elettorali in Georgia e fiscali e finanziarie a New York. Dopo avere aiutato molti suoi sostenitori a vincere le primarie repubblicane, il magnate è stato meno presente (anche perché alcuni candidati ne avvertono il sostegno come ingombrante).
Barack Obama, il cui appoggio è sempre ambito dai candidati democratici, sarà con Biden sabato 5 a Filadelfia, in Pennsylvania, uno degli Stati probabilmente decisivi. Il comizio con Obama e Biden sarà a sostegno dei candidati a governatore Josh Shapiro e al Senato John Fetterman. Obama è già sceso in campo giorni fa in Georgia – altro Stato chiave -, per esortare i cittadini ad andare a votare e per difendere le politiche di Biden, le cui scelte, specie economiche, non convincono gli elettori.