Mai dare per spacciato il Brasile nello sport: martedì, le verde-oro hanno battuto in rimonta l’Italia per 3 a 2 nei Mondiali di pallavolo, dopo essere andate sotto per 2 a 1. E mai dare per spacciato un brasiliano in politica: il presidente uscente Jair Messias Bolsonaro sembrava destinato alla sconfitta al primo turno ad opera del suo rivale Luiz Inacio da Silva, per tutti Lula; invece è sopravvissuto ed è approdato al ballottaggio. Lo stesso Lula è un redivivo: due mandati presidenziali alle spalle, ma pure una condanna per corruzione poi revocata dal Tribunale supremo federale dopo però 18 mesi in prigione – giusto il tempo di impedirgli di affrontare Bolsonaro nel 2018 -.
Lula era favoritissimo al primo turno: è arrivato primo, ma non ha ancora vinto, perché è rimasto sotto il 50%, e deve ora affrontare un match a due. Bolsonaro partiva battuto: è arrivato sì dietro Lula, ma ha fatto meglio del previsto e, adesso, nella bella del 30 ottobre, ha chances di successo. Infatti, il distacco fra i due – cinque punti circa – non è tale da rendere una rimonta impossibile.
In parte perché il presidente di estrema destra ritrova il sostegno di sodali, con cui aveva litigato. E in parte perché, come spesso capita ovunque nel Mondo, a sinistra ci sono divisioni personali, che rendono problematica la confluenza dei voti sull’ex leader sindacale. Sergio Moro, il magistrato che orchestrò l’inchiesta che ‘fece (politicamente) fuori’ Lula, dichiara il suo appoggio a Bolsonaro, perché – dice – “Lula non è un’opzione elettorale: il suo governo corruppe la democrazia”. Nel 2017, Moto condannò in primo grado l’ex presidente; nel 2018, lasciò la carriera di giudice per divenire ministro della Giustizia nell’Amministrazione Bolsonaro; ma 16 mesi dopo si dimise per dissapori con il capo dello Stato. Domenica l’ex giudice simbolo della ‘Lava Jato‘, la Mani Pulite brasiliana, è stato eletto senatore a Curitiba, capoluogo dello Stato di Paranà: lì, nel 2014 partì la maxi-inchiesta sui fondi neri a Petrobras.
A sinistra, il candidato alle presidenziali del Partito democratico laburista (Pdt, di centrosinistra), Ciro Gomes, arrivato quarto al primo turno, con il 3% dei voti, si adegua senza entusiasmo all’indicazione di appoggiare Lula al ballottaggio, nonostante vecchie ruggini fra loro due. Gomes, però, nel suo endorsement, evita di nominare sia Lula sia il suo partito (il Partito dei lavoratori, Pt) e dice: “Mi dispiace che la democrazia brasiliana si sia ridotta al punto che ai brasiliani sono rimaste due opzioni che giudico entrambe insoddisfacenti” – nulla di che motivare i suoi elettori -.
Lula ha ottenuto al primo turno il 48% dei voti validi e fa appello alle “forze democratiche” perché lo sostengano per battere Bolsonaro, che è andato oltre le previsioni dei sondaggi con il 43%. Il 3% del Pdt basterebbe a Lula per superare la soglia del 50%, ma bisogna fare i conti con i ‘maldipancia’ di Gomes e con gli oltre 32 milioni di brasiliani che al primo turno hanno snobbato le urne (nonostante in Brasile il voto sia obbligatorio), il 20,9% del totale, l’astensione più alta dal 1988. E’ un serbatoio di voti che possono ribaltare ogni pronostico. E lì cercano di pescare i due finalisti.
Più ottimismo nel campo di chi insegue che di chi è in testa
Nel clan di Bolsonaro, c’è euforia per lo scampato pericolo e il buon risultato e c’è la sensazione che la rimonta sia fattibile. La società statunitense di consulenza sul rischio politico Eurasia Group ha ridotto dal 70% al 65% le possibilità di vittoria di Lula al secondo turno, perché l’ex sindacalista al primo turno ha ottenuto un “margine minore” del previsto sul presidente uscente. Lula resta, cioè, favorito, ma l’inerzia del match è in questo momento favorevole a Bolsonaro; e al ballottaggio mancano ancora tre settimane.
Dopo il voto, il leader di destra ha ricevuto a Brasilia Romeu Zema, governatore rieletto dello Stato di Minas Gerais, il secondo più popoloso del Paese. Si dà per scontato che il suo Partito Novo appoggi il Partito liberale (Pl) di Bolsonaro. Con 21 milioni di abitanti, Minas Gerais, nel Sud-Est, è il secondo collegio elettorale del Paese e uno Stato chiave per l’elezione del futuro presidente.
Al primo turno, Bolsonaro ha già ‘sbancato’ Rio de Janeiro (terzo collegio elettorale), dov’è stato confermato governatore un suo candidato, Caio Castro; e può avere un suo uomo anche al vertice dello Stato più ricco e popoloso, San Paolo, dove il suo ministro delle Infrastrutture uscente, Tarcisio de Freitas, va al ballottaggio in netto vantaggio sul candidato Pt Fernando Haddad, che era, nel 2018, in assenza di Lula, il candidato presidente del Pt battuto da Bolsonaro.
Lula usa un linguaggio da vecchio sindacalista: “Parleremo con tutte le forze politiche che hanno voce in capitolo, in modo da potere formare un blocco di tutti i democratici contro chi non è democratico. Il Pt ha già avviato colloqui con il Partito socialdemocratico (Psdb, di centro: obiettivo, un’alleanza al secondo turno in particolare a San Paolo e nel Rio Grande do Sul, lo Stato più importante del Sud.
Gli interrogativi maggiori, però, riguardano i candidati e gli elettori della cosiddetta “terza via”: Simone Tebet del Movimento democratico brasiliano (Mdb, conservatore), che ha ottenuto il 4% dei voti, e Gomes, che ha fatto molto peggio del previsto e che ora medita di ritirarsi dalla politica. Il suo partito, abbiamo già visto, appoggia Lula, ma lui parla di “frodi elettorali” al primo turno e afferma che il presidente, un ex capitano dell’esercito dalla vena autoritaria, dovrebbe applicare “l’articolo 142” della Costituzione decretando l’intervento dei militari (che non se ne mostrano, però, desiderosi).
Due rivali agli antipodi politici, due visioni del Brasile e della società
Bolsonaro, 67 anni, autoritario e omofobo, e Lula, 77 anni, inclusivo e attento ai diritti di genere, offrono due scelte e due visioni della vita, della politica e della società fra di loro agli antipodi.
Il presidente uscente, incarica dal primo gennaio 2019, è soprannominato Tropical Trump, il Trump dell’altro emisfero. Quando Donald era alla Casa Bianca, era il leader che lo chiamava più spesso: avevano un sacco di cose in comune, indifferenza alla verità, negazionismo di fronte alla pandemia, fiducia – mal riposta – nella idrossiclorochina e l’avere contratto il Covid in forma pure grave.
Lula è un autodidatta del sindacato e della politica, presidente per due mandati dal primo gennaio 2003 al 31 dicembre 2011, poi accusato, condannato e imprigionato per corruzione, ma liberato dalla Corte Suprema e successivamente prosciolto: dalla parte dei poveri, in un Paese dove contrasti e contraddizioni sono all’ennesima potenza.
I risultati elettorali mostrano un Brasile spaccato a metà
Al primo turno, Lula ha conquistato 14 Stati, ottenendo il maggior numero di suffragi nel Nord-Est, mentre Bolsonaro ne ha conquistati 13, quelli del centro-ovest e del Sud.
Ma nel Congresso federale, il Partito liberale di Bolsonaro è la formazione principale: alla Camera ha 99 seggi su 513 (23 in più degli attuali); ed è avanti anche al Senato. Per il Financial Times, Bolsonaro e i suoi alleati sono “i veri vincitori al primo turno”: “La coalizione ‘manzo, bibbia e proiettili’ non sparirà”.
La delusione della sinistra è aggravata dalle vittorie al Congresso dell’ex ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, responsabile “dell’enorme aumento della deforestazione” in Amazzonia, e d’Eduardo Pazuello, il regista, come ministro della Salute, “della gestione catastrofica” del Covid – le citazioni sono dal Guardian -.
Lula rimane il favorito per il ballottaggio, ma lui e il suo partito – scrive FT – “devono ancora convincere la maggior parte dei brasiliani di aver imparato la lezione dagli errori economici passati e dagli scandali di corruzione”.
Il Partito dei Lavoratori sale da 56 a 76 deputati, cui sommare quelli delle forze della coalizione – Partito verde e Partito comunista do Brasil – e di un’altra federazione di sinistra anti-Bolsonaro: si forma così un blocco più forte del Partito liberale.
L’atteggiamento neutrale degli Stati Uniti verso il Brasile
Gli Stati Uniti hanno affermato che il primo turno delle presidenziali brasiliane s’è svolto domenica 2 ottobre in maniera “trasparente”. L’Amministrazione Biden non ha certo simpatia per Bolsonaro, ma ha motivi di diffidenza anche per Lula; e vuole evitare accuse di ingerenza. Karine Jean-Pierre, portavoce della Casa Bianca, ha notato che “le informazioni disponibili indicano che il voto è stato libero, equo, trasparente e credibile” e che “tutte le istituzioni interessate hanno agito in conformità con le loro funzioni costituzionali”.
Prima della Casa Bianca, il segretario di Stato Usa Antony Blinken s’era rallegrato con le istituzioni e il popolo brasiliani “per il buon esito del primo turno elettorale”, auspicando che “un simile clima di rispetto della Costituzione possa ripetersi anche in occasione del secondo turno di fine ottobre”.
Di Bolsonaro, all’Amministrazione Biden non piace, oltre alla vicinanza a Trump e alle posizioni d’estrema destra, l’ambiguità nella vicenda ucraina – condanna dell’invasione, ma no alle sanzioni alla Russia – e neppure la minaccia, mutuata dal magnate ex presidente Usa, di non riconoscere l’esito del voto. Di Lula, preoccupano, in prospettiva, gli orientamenti vetero terzo mondisti.
La carica dei transgender in Brasile
Nel voto di domenica, le candidature transgender hanno avuto un’affermazione superiore del 44% ai risultati 2018, secondo le stime dell’Associazione nazionale travestiti e transessuali: il risultato è particolarmente significativo, se si considera l’omofobia di Bolsonaro.
Tra chi ha già conquistato un seggio, figurano le deputate federali Erika Hilton (Partito socialismo e libertà, Psol, di sinistra) e Duda Salabert (Pdt, di centrosinistra) e le deputate statali Linda Brasil (Psol) e Dani Balbi (Partito comunista del Brasile, PcdoB, di sinistra). Saranno le prime donne trans ad entrare nella Camera di Brasilia e nelle assemblee legislative di Sergipe e Rio de Janeiro, secondo i media locali.
Il Brasile fuori dal Brasile: se fosse per l’Italia, Lula già presidente
Luiz Inácio da Silva sarebbe già stato eletto, se a decidere fossero stati i voti espressi dai cittadini brasiliani residenti in Italia. Secondo i dati pubblicati dal Tribunale Superiore Elettorale (Tse), infatti, Lula, ha ottenuto 5.418 voti a Milano e a Roma, il 52,02%, contro i 3.884, il 37,29%, andati a Jair Messias Bolsonaro. Seguono Ciro Gomes con 463 (4,45%) e Simone Tebet con 412 (3,96%).
A Milano, il più grande collegio elettorale per brasiliani in Italia, Lula ha prevalso su Bolsonaro 50,18% contro 39,88%. A Roma, il vantaggio del leader del Pt è stato ancora maggiore: 54,76% contro 33,44%.
Nel 2018, in Italia, Bolsonaro aveva superato il candidato del Pt, Fernando Haddad, al primo turno sia a Milano (55,50% contro 16,73%) che a Roma (47,25% contro 19,49%). All’estero quest’anno Lula è al 47,13% contro il 41,63% di Bolsonaro, che nel 2018 all’estero aveva ricevuto il 58,79%, quasi un plebiscito.