Duello tra Usa e Russia sull’Ucraina all’Onu; non nell’Assemblea generale, che ieri è rimasta un po’ in sordina, ma nel Consiglio di Sicurezza, riunito per discutere gli sviluppi della guerra e le mosse del presidente russo Vladimir Putin. Per Mosca, l’Occidente è “parte del conflitto”, perché “dà aiuti e armi al regime di Kiev e ne copre i crimini”.
Fra i protagonisti della giornata, il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov, oltre al ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, per il quale “non c’è spazio per la neutralità in questa guerra creato dalla Russia”. Desta interesse la posizione articolata del ministro degli Esteri cinese Wang Yi.
Aprendo i lavori, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres è categorico: “Qualsiasi annessione del territorio di uno Stato da parte di un altro Stato risultante dalla minaccia o dall’uso della forza costituisce una violazione della Carta dell’Onu e del diritto internazionale”. C’è “profonda preoccupazione” per i referendum indetti da oggi in territori ucraini sotto controllo russo.
Evocando il discorso di mercoledì del presidente Usa Joe Biden, Blinken chiede all’Onu di bocciare i referendum e giudica “inaccettabile” che Putin “continui a minare l’ordina del Mondo” e faccia “spericolate minacce nucleari”. La citazione irrita Mosca: la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova giudica “indecente” la “manipolazione” delle parole di Putin sul nucleare.
Lavrov ribatte a Blinken punto su punto, seguendo anch’egli il copione del suo boss. L’”operazione militare” russa in Ucraina era “inevitabile” per le numerose “attività anti-russe e criminali” di Kiev che minacciavano la sicurezza della Russia. Lavrov bolla più volte come “neo-nazista” quello che chiama ”il regime di Kiev”, denunciando il sostegno dell’Occidente all’Ucraina, che “sta diventando uno Stato totalitario di tipo nazista e sta intensificando le persecuzioni di dissidenti e giornalisti”.
Per Lavrov, “l’obiettivo dell’Occidente è ovvio: prolungare il più possibile le ostilità, nonostante vittime e distruzioni, per esaurire e indebolire la Russia…”. Ciò rende Usa e alleati “partecipi, li coinvolge in modo diretto”.
A margine del Consiglio e dell’Assemblea, l’intreccio di bilaterali è fittissimo: Lavrov vede Wang, Blinken lo farà domani per dirgli che gli Usa vogliono “mantenere aperte le linee di dialogo”; e Lavrov incontra puree il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin – fra i due, una stretta di mano -.
Di spegnere i focolai di guerra e riprendere i colloqui di pace parla Wang a Lavrov. La Cina intende “promuovere la pace e il dialogo” tra le parti, perché l’ampliamento e il prolungamento del conflitto “non è nell’interesse di nessuno”: Pechino “è sempre stata favorevole all’istituzione d’un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile che fornisca una garanzia di pace duratura”: “Non staremo a guardare né getteremo benzina sul fuoco”.
Lavrov replica che “la sicurezza è indivisibile”, ma adatta il linguaggio all’interlocutore: la Russia “è ancora disposta a risolvere il problema con il dialogo e il negoziato”. Pechino, del resto, non ha parole dolci neppure per gli Stati Uniti: stigmatizza il discorso di Biden, auspica che Washington collabori per “trovare un modo affinché le due grandi potenze con sistemi sociali, storie e culture diversi, coesistano pacificamente e cooperino per risultati vantaggiosi per tutti”. Senza intralciare, soprattutto, la crescita cinese.
Nell’emiciclo del Palazzo di Vetro, fanno invece, notizia le parole del premier israeliano Yair Lapid che dice sì alla soluzione dei due Stati per il conflitto palestinese, a patto che lo Stato palestinese “sia pacifico” e non diventi “una base di terrore contro Israele”.