“Morta la Regina. Viva il Re”. I riti della successione al trono, che la Gran Bretagna sta officiando con commossa deferenza e ingessata efficienza, non contrastano la trucida brutalità della formula con cui – cito la Treccani – “la monarchia francese prima della rivoluzione annunciava al popolo contemporaneamente la morte del re e l’avvento del suo successore, perché voleva così affermare l’ininterrotta continuità dell’istituto monarchico”. Elisabetta II morta, Carlo III regna.
L’interrogativo, però, non è se c’è un re. L’interrogativo è se, “finita un’era”, i nuovi leaders senza esperienza del Regno Unito “sapranno affrontare i problemi del Paese”. Espressioni idiomatiche e punti di domanda che campeggiano da una settimana, da una testata all’altra, sui media del Mondo, mentre le tv propongono le immagini del lunghissimo commiato di tutto un popolo dalla sua regina per settant’anni.
Cercare risposte nei discorsi di circostanza, per quanto sinceri, di Carlo III sarebbe ingenuo: inni, urrà, fanfane, folklore, l’assicurazione ripetuta che ‘Servirò seguendo l’esempio di mia madre’. E, per ora, la nuova era è confinata all’inedito insediamento in diretta tv.
“Leaders senza esperienza” scrive, con apparente arroganza, il New York Times. Ma come?, senza esperienza il principe di Galles, ora Carlo III, che è stato erede al trono praticamente tutta la vita? Essere re, però, è altra cosa. E lui lo diventa mentre la politica gli offre un interlocutore esordiente, Elizabeth Truss, premier da una manciata di giorni. Al confronto, la madre fu ‘svezzata’ agli affari di governo da Winston Churchill.
Oggi, in un momento di sfiducia del pubblico nelle Istituzioni, la monarchia è vista con rispetto; o, almeno, la Regina Elisabetta II era vista con rispetto, avendo dimostrato, nel suo lungo regno, capacità di adattamento e di ammodernamento; e anche di recupero, quando il suo giudizio pareva appannarsi – l’esempio ricorrente: sottovalutò la commozione popolare per la tragica scomparsa, nel 1997, di Lady Diana -.
La scomparsa di Elisabetta e l’ascesa al trono di Carlo avvengono mentre la Gran Bretagna deve fronteggiare “enormi sfide”, interne e internazionali: problemi economici; una guerra in corso; tensioni con l’Europa dopo la Brexit; incertezze sulla tenuta del Commonwealth, quel che resta dell’Impero britannico; uno statuto di potenza difficile da mantenere. La regina fungeva da collante in un Paese diviso e febbrile; Carlo III deve mostrarsene capace, anche se molti sudditi ripongono più attese nel figlio William che in lui; e Liz la premier deve mettere insieme i cocci del suo partito, prima di provare ad aggiustare quelli del Paese.
Dopo i funerali della Regina, lunedì 19, per la monarchia britannica, passato il momento dell’empatia e del cordoglio, comincerà la stagione degli esami e dei confronti.
La Regina Elisabetta II: un simbolo di stabilità e di resilienza
Con Elisabetta II, la Gran Bretagna ha perso un simbolo di stabilità e di resilienza. Una figura che, con il suo equilibrio e la sua persistenza, ha accompagnato il suo Paese attraverso radicali cambiamenti geo-politici, tecnologici, culturali e anche di percezione della stessa funzione reale. Una figura – si scrive – “inevitabilmente politica e e aggressivamente apolitica”, quasi fuori quadro negli attuali contesti (anglosassoni, ma non solo) estremamente polarizzati.
La Regina Elisabetta II, 96 anni, oltre 70 di regno, è stata la monarca più longeva: “una roccia” – cito ancora media britannici – e un punto di riferimento in un periodo turbolento, che ha visto evolvere il Mondo, declinare l’Impero britannico e la sua famiglia vivere momenti imbarazzanti e per lei dolorosi, dal fallimento del matrimonio del primogenito Carlo con Lady Diana ai dissapori con il nipote Harry passando per i comportamenti riprovevoli del figlio Andrea.
Il decesso, annunciato alle 18.30 locali di giovedì 8 settembre, è avvenuto nel castello di Balmoral, la residenza reale estiva in Scozia, dove solo due giorni prima, martedì 6 settembre, Elisabetta aveva preso commiato dal premier uscente Boris Johnson e formalmente designato a succedergli Elizabeth ‘Liz’ Truss.
Dalla notizia del decesso data in codice, London Bridge is down, tutto s’è svolto e si sta svolgendo nel rispetto delle procedure concordate con la stessa sovrana. La Bbc, coi conduttori vestiti a lutto, ha trasmesso l’inno nazionale, la bandiera su Buckingham Palace è stata calata a mezz’asta come ovunque nel regno e in molti luoghi altrove nel Mondo, nel Commonwealth e alla Casa Bianca. Dalla Russia, il presidente Vladimir Putin esprime omaggio e cordoglio, “una regina giustamente amata e rispettata” – il Regno Unito, però, non vuole ai funerali né lui né un suo rappresentante -. Dalla Cina, il presidente Xi Jinping manda “sincere condoglianze”, “è un’enorme perdita”.
La monarchia: un’istituzione che può essere messa in discussione
Ora, l’impatto della sua scomparsa è imprevedibile, sia per la Gran Bretagna che per la monarchia, istituzione che Elisabetta II ha saputo preservare attraverso mutamenti sociali e scandali familiari, ma la cui rilevanza nel 21o secolo è stata spesso messa in discussione
I premier britannici passavano, ma la Regina restava: ne ha insediati 15 durante il suo regno di oltre 70 anni. E così pure i papi –ne ha visti sette -, i presidenti degli Stati Uniti – 13 -, i leader dell’Urss prima e della Russia poi – 10, sette più tre – e della Cina – almeno cinque -; addirittura una trentina i presidenti del Consiglio italiani.
La regina Elisabetta era stabilità e continuità, in un Mondo che intorno a lei cambiava: un Impero che si disfaceva; il Commonwealth, i cui legami con la corona si allentavano; la Gran Bretagna, che subiva progressivamente il ridimensionamento da grande potenza a potenza continentale, sia pure con i galloni dell’arsenale nucleare e del potere di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Lei era la continuità. E l’immutabilità. La longevità della Regina Madre, morta a 102 anni, e quella del principe consorte Filippo, morto sulla soglia dei cento anni, e l’apparente imperturbabilità davanti alle tragedie -. l’attentato costato la vita a Lord Mountbatten – e ai contrasti familiari, come la rottura tra Carlo e Diana: tutto ciò ha contribuito a fare di Elisabetta II l’icona per antonomasia della resilienza britannica che è stata il perno della resistenza al nazismo, nelle ore più buie dell’Europa.
La sua scomparsa può mettere in discussione il senso di appartenenza e di identità di una larga parte dei cittadini britannici: un ruolo della monarchia è quello di essere collante della Nazione ed Elisabetta II è stata l’unica monarca per oltre l’80% dei suoi sudditi, oltre 50 milioni su 68. Ed era uno degli inevitabilmente sempre più rari superstiti della generazione che ha visto, combattuto e vinto la Seconda Guerra Mondiale.
Che il Mondo e il Paese, durante il suo regno, siano cambiato, molte volte e in molti sensi, è ovvio e inevitabile: la swinging London e il terrorismo dell’Ira, l’adesione alla Cee e la Brexit. Nello sport, la nazionale di calcio che vinse i Mondiali del 1966 era composta da soli bianchi; quella che perse gli Europei del 2020 era un patchwork multietnico. Il governo che Elizabeth Truss ha appena formato è un inno alla diversità: più donne che uomini e quattro dei cinque posti di maggiore rilievo affidati a britannici di origini africane – uno del Ghana, uno della Sierra Leone –, indiane o curdo-irachene. Elisabetta II potrebbe avervi letto un trionfo del Commonwealth, di cui la Gran Bretagna ha saputo inglobare la ricchezza e la varietà al proprio interno.
Con la Regina più longeva finisce un’era che in realtà è stata molte ere: il dopoguerra e l’aggancio della Gran Bretagna all’integrazione europea; la crisi e il declino e lo scatto d’orgoglio thatcheriano (le Falkland ma pure il rilancio economico); il dopo Guerra Fredda e il ‘laburismo capitalista’ blairiano; la Brexit e un neo-isolazionismo attenuato dalla ricerca nostalgica e un po’ patetica (roba alla Gianni e Pinotto, tra Donald Trump e Boris Johnson) della “relazione privilegiata” con gli Usa. Manca – ed Elisabetta II non voleva che così fosse – il ritorno alla casella di partenza, da una guerra all’altra, ora che siamo sul crinale di un conflitto che da regionale può divenire mondiale.
La scrittrice reale Catherine Pepinster parla di un “momento traumatico” per il Paese, ma rileva che la Gran Bretagna “sta per entrare in una nuova fase”, mentre “le placche tettoniche” degli equilibri britannici e mondiali si stanno muovendo. Londra non governa più “the waves”, i mari; e il mare che conta non è più l’Atlantico, ma il Pacifico.
I cani e i cavalli, le borsette e i cappellini, la Regina che ha cancellato dall’album dei record il mito d’un’epoca come la regina Vittoria è stata spesso ridotta a macchietta. Ma il suo essere sempre uguale a se stessa, quasi mummificata dal tempo, ha certo tutelato e forse salvato la monarchia, che dopo di lei dovrà vivere le incertezze d’un regno che inizia tardi – Carlo ha già 74 anni – e che molti vedono di transizione, nell’attesa di quel William che di anni ne ha 40 e su cui pesa la responsabilità di un rinnovamento. Dell’Istituzione, se non del regno.
Carlo III: una corona di gioielli e di spine e una premier senza coerenza
Alessandro Logroscino, il corrispondente dell’ANSA da Londra, scrive: “Una corona con i gioielli di ciò che resta del passato imperiale, ma anche una corona con più di qualche spina. E’ quella che Elisabetta II lascia al primogenito Carlo III, protagonista – il giorno dopo la proclamazione formale – d’un primo incontro con chi a Londra rappresenta il Commonwealth: comunità di Paesi un tempo dell’Impero britannico, in parte tuttora soggetti alla corona, in parte alleati ma ormai repubbliche”.
Carlo ne è presidente a titolo permanente, avendo ereditato il ruolo fin dal 2018, quando la madre – già ultranovantenne – lo delegò a rappresentarla, non potendo più affrontare lunghi viaggi. Parlando alle 14 nazioni che continuano a riconoscerlo come capo dello Stato, il re s’è impegnato a servirle “con lealtà” e nel rispetto delle diverse regole costituzionali, sull’esempio della madre e consapevole di possibili ulteriori spinte centrifughe. Restare sotto la monarchia o divenire repubblica “è materia su cui spetta a ogni Paese decidere liberamente”: “L’esperienza m’ha insegnato che i cambiamenti possono essere concordati con calma e senza rancore”.
Un segnale di apertura per non alimentare rancori destinati solo a favorire pulsioni repubblicane laddove esistono, specie nei Caraibi, nel ricordo dei misfatti coloniali e schiavisti. Le Barbados hanno formalizzato l’addio al legame diretto con la corona nel 2021; Antigua e Barbuda hanno appena annunciato un referendum entro tre anni; e anche Giamaica e Belize sono sulla stessa strada.
Diversa la situazione nelle grandi ex colonie tuttora monarchiche: l’Australia è percorsa da fremiti, ma i sondaggi sugli umori della maggioranza sono contraddittori dopo il referendum del ‘99 vinto dalla monarchia; la Nuova Zelanda non ha nei programmi del governo piani di svolta istituzionale; il Canada è diviso quasi a metà (con una prevalenza repubblicana nel Quebec francofono), ma ha vincoli costituzionali.
In Gran Bretagna, la prospettiva dell’abbandono della corona è più fragile. Graham Smith, capofila da anni di un movimento di nicchia anti-monarchico, è però persuaso – sondaggi alla mano – che l’ascesa al trono d’un erede “meno popolare” della defunta regina consenta di riaprire la discussione ad esempio sui costi di un’istituzione che, a sentir la corte, pesa su ciascun suddito per una sterlina l’anno (e rende ben di più); mentre, per i detrattori, priva i contribuenti di 350 milioni di sterline l’anno.
Carlo III avrà dalla sua la neo-premier? L’ex ministro degli Esteri non ha la coerenza fra le sue doti: nasce in una famiglia laburista, esordisce fra i liberal-democratici, passa ai conservatori; vota no alla Brexit e diventa paladina della Brexit; è repubblicana e diventa monarchica. Vatti a fidare!
Intanto, uno degli interrogativi che gravava sul ‘dopo Elisabetta’ è stato felicemente risolto: i corgi che la regina amava tanto – cani gallesi nati pastori e oggi apprezzati come animali da compagnia – saranno d’ora in poi accuditi da Andrea, il figlio terzogenito, messo ai margini per la frequentazione del pedofilo e paraninfo Jeffrey Epstein, e dalla moglie Sarah ‘Fergie’ Ferguson, da cui è divorziato, ma con cui coabita. Nel segno forse dei riposizionamenti che il cordoglio per la morte della sovrana favorisce: dall’accettazione di Camilla come regina consorte al riavvicinamento fra i fratelli William ed Henry.