Giunta al mese sesto, la guerra in Ucraina è forse a una svolta: verso l’inasprimento del conflitto, non verso la pace. L’attentato in cui, nella notte tra sabato e domenica, è stata uccisa Darya Dugina, figlia del filosofo nazionalista Aleksander Dugin, uno degli ideologi ascoltati dal presidente russo Vladimir Putin, potrebbe innescare una recrudescenza dell’invasione. Mosca accusa una cittadina ucraina ritenuta membro del battaglione Azov e assoldata dai servizi; l’intelligence occidentale ha dubbi ed è cauta; Kiev nega e addossa la responsabilità dell’assassinio al Cremlino, che lo vorrebbe usare per giustificare una mobilitazione generale.
Nel giorno della Festa dell’Indipendenza dell’Ucraina, il 24 agosto, il ministro della difesa ucraino Oleksiy Reznikov dice alla Cnn: “Siamo vicini a una nuova fase” della guerra, iniziata all’alba del 24 febbraio, quando Putin annunciò l’avvio “dell’operazione militare speciale” in Ucraina, cioè dell’aggressione del Paese. L’esercito russo passava i confini e i missili cominciavano a colpire Kiev e decine di altre città.
Sei mesi dopo, gli Stati Uniti invitano i loro cittadini a lasciare l’Ucraina “immediatamente”, perché i russi stanno per intensificare i loro attacchi su obiettivi civili ed edifici governativi. C’è una sorta di esodo da Kiev: la gente scappa, ha paura che gli attacchi russi si moltiplichino: fuochi d’artificio tragici per la Festa dell’Indipendenza e segnale di recrudescenza dell’invasione. Ci sono aree in cui ogni forma di assembramento è stata proibita.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky afferma che “E’ necessario ottenere la vittoria nella lotta contro l’aggressione russa… È necessario liberare la Crimea… Questo segnerà il ritorno del diritto e dell’ordine mondiale… “. Gli fanno eco i leader occidentali: Scholz, Macron, Draghi, von der Leyen dicono all’unisono che “l’annessione imperialista della Crimea da parte della Russia – nel 2014, ndr – non sarà mai accettata”.
Le fasi di una guerra d’aggressione
Scene e proclami che ci riportano a inizio conflitto: sei mesi sono passati dall’invasione, ma le cose, diplomaticamente parlando, sono al punto di partenza. Anzi peggio: perché per un mese ci fu la percezione dell’urgenza di giungere a un cessate-il-fuoco, che creasse uno spazio negoziale e risparmiasse vite umane, decine di migliaia di vite andate perdute nella guerra – decine di migliaia di militari su entrambi i fronti e anche migliaia di civili -.
Poi, alla fine di marzo, l’Occidente accettò la prospettiva di una guerra lunga, da cui la Russia deve uscire non retribuita in alcun modo per la sua aggressione, ma indebolita e fiaccata dalle sanzioni. “L’inverno si avvicina e sarà duro, ci troviamo davanti a una guerra di attrito, le cui chiavi saranno la forza di volontà e la logistica: dobbiamo sostenere l’Ucraina perché un’Ucraina forte e sovrana è garanzia di sicurezza”, ha ieri ribadito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, parlando alla conferenza per la Crimea. Il presidente russo Vladimir Putin “pensava di poter abbattere l’Ucraina e le sue forze armate e di dividere la comunità internazionale, ma si sbagliava. L’Ucraina ha patito sei mesi di dura guerra, ma ha resistito all’aggressione, ha riconquistato territori e imposto seri costi alla Russia”.
Dall’invasione iniziale a tutto campo – fallita -, Mosca è passata a un’azione localizzata nel sud-est del Paese, in particolare nel Donbass e per creare continuità territoriale tra il Donbass e la Crimea. Ma l’avanzata russa non è mai stata travolgente e la resistenza ucraina sempre accanita. Da mesi, c’è sostanzialmente uno stallo sul terreno, nonostante Mosca abbia consolidato il controllo sul Lugansk e –meno– sul Donetsk. Da settimane, l’attenzione è tutta sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia: russi e ucraini s’accusano a vicenda di mettere a repentaglio la sicurezza dell’impianto.
Nelle ultimi giorni, le forze armate di Kiev sono però riuscite a colpire il territorio russo più volte e, in particolare, la Crimea.
Le analisi dell’Occidente
La guerra ha dominato a lungo l’informazione internazionale e ha interrotto alcune catene dell’approvvigionamento mondiale, almeno fino alla ‘pace del grano’ siglata il 22 luglio, che ha almeno consentito la ripresa dell’export di cereali dall’Ucraina. L’Occidente in senso lato, Nato e Ue, ma pure Giappone e Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, hanno trovato un’unità di parole e di azioni per molti versi sorprendente, considerata la differenza d’interessi in gioco, in quello che molti giudicano “un punto di svolta nella Storia” – parole del cancelliere tedesco Olaf Scholz -.
A parlare di pace,e a tentare mediazioni, sono rimasti Papa Francesco, che rinnova gli appelli, inascoltati dalle stesse Chiese ortodosse russa e ucraina, e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che è almeno riuscito a concludere, con l’avallo dell’Onu, la ‘pace del grano’, che consente, da oltre un mese, l’export di cereali dall’Ucraina.
La dimensione morale di questo conflitto, con un Paese che invade e un altro che si difende, ha prevalso sulle riserve di quanti, specie in Europa, pensavano, e tuttora pensano, che bisognava evitare il conflitto mostrandosi meno tetragoni alle preoccupazioni di sicurezza della Russia.
Jeremy Cliffe, su The New Stateman’s, scrive che andiamo verso “qualcosa di nuovo” nelle relazioni internazionali, i cui contorni sono però “ancora nebbiosi”. A rendere maggiore l’incertezza, c’è l’ostinazione degli Usa a mantenere alta la tensione con la Cina su Taiwan: delusa, forse, dall’indisponibilità di Pechino a mediare nel conflitto o, almeno, a moderare Mosca, Washington alimenta le frizioni nel Pacifico.
“La nebbia della guerra – scrive il WP – grava anche sull’Ucraina”, dove, al di là dei fronti di battaglia e dei bombardamenti su decine di città, “è in atto uno scontro di ideologie e di visioni della storia”. “Rifiutando di piegarsi alle ambizioni neo-imperialiste” di Putin, “gli ucraini si vedono come la prima linea di una guerra globale fra democrazia e autocrazia”, anche se la loro democrazia non era (e non è) perfetta e se le democrazie non si peritano di arruolare come alleati dittatori senza rispetto per i diritti umani e despoti giunti al potere rovesciando presidente legittimamente eletti.
“Questa visione – prosegue il WP – è condivisa dall’Occidente, dallo stesso presidente Joe Biden”, per cui l’Ucraina sta conducendo “una grande battaglia tra libertà e repressione, tra un ordine basato sulla legge e uno basato sulla forza bruta”. Il che non impedisce poi a Biden di negoziare con Putin, su un tavolo alternativo, la liberazione della cestista Usa Brittney Griner, e di un altro cittadino Usa, Paul Whelan, in cambio di un mercante d’ami russo, Viktor Bout.
Putin vede le cose in altro modo: l’Ucraina è una pedina dell’Occidente e l’invasione è un riscatto “dalla tragedia della dissoluzione dell’Urss”, che “sconvolse l’equilibrio di forze nel Mondo”.