Usa – Vecchietti, ma arzilli. Il presidente Usa Joe Biden, presto 80 anni, e l’ex presidente Donald Trump, 76 compiuti, sono rispettivamente giù nei sondaggi e in un mare di guai con la giustizia, ma se la cavano bene in politica.
Mentre la battaglia giudiziaria tra Trump e la magistratura statunitense, a tutti i livelli, federale e statale, segna il passo, il magnate colleziona successi nelle primarie verso le elezioni di midterm dell’8 novembre i candidati repubblicani da lui sostenuti stanno sbaragliando i loro rivali. Martedì, la sua arci-nemica, la deputata del Wyoming Liz Cheney, figlia dell’ex vice di George W. Bush, Dick, un ‘falco’ che però guida la fronda anti-Trump nel partito, è stata battuta da un’avvocatessa che sostiene che il magnate ha davvero vinto le presidenziali del 2020, Harriet Hageman.
Sempre martedì, Biden, che nei sondaggi continua a viaggiare basso, ha firmato una legge che stanzia oltre 750 miliardi di dollari per la lotta contro il riscaldamento globale, la riduzione dell’inflazione e la sanità e che dovrebbe pure ridurre il debito. Con questa misura, un grosso punto a favore dell’agenda democratica, “facciamo la storia”, dice Biden: con l’Inflation Reduction Act “gli americani vincono e gli interessi speciali perdono”. Il successo suggella un anno di negoziati e diatribe tra Casa Bianca e Congresso.
Trump ed Fbi ai ferri corti
Trump vuole che siano resi pubblici i termini del mandato all’origine della perquisizione effettuata dall’Fbi nella sua tenuta di Mar-a-lago in Florida una settimana fa. Il Dipartimento della Giustizia, invece, si oppone, forse per coprire il nome della talpa che ha rivelato l’esistenza e il nascondiglio della mezza dozzina di scatoloni di documenti illegalmente portati via dalla Casa Bianca.
L’ex consigliere per la Sicurezza nazionale Usa John Bolton al NYT esprime dubbi sulle giustificazioni dell’ex presidente per il possesso dei documenti che sarebbero stati desecretati, mentre il giornale osserva che Trump e i suoi sodali continuano a contestare la legalità della perquisizione, ma non spiegano mai perché il magnate abbia portato con sé carte che dovevano restare alla Casa Bianca (alcune toccherebbero la sicurezza nazionale, le armi nucleari).
Facendo dell’ironia, Trump ha “rispettosamente” chiesto sulla sua piattaforma social Truth che l’Fbi gli restituisca subito alcuni documenti e sollecita, in particolare, la riconsegna dei passaporti, perché vorrebbe andare in Scozia dove ha hotel e campi da golf – sarebbe la prima volta che lascia gli Usa dalla fine della sua presidenza -. L’Fbi replica di averglieli già restituiti – due erano scaduti -. Lui ribatte con un “grazie” acido e accusa gli agenti federali di avere agito come “criminali comuni”.
Un clima da guerra civile
Le polemiche sulla perquisizione in Florida innesca minacce contro gli agenti dell’Fbi ovunque negli Usa. Sobillati dal magnate, proprio come era avvenuto il 6 gennaio 2021 – il giorno dell’assalto al Congresso per rovesciare il risultato delle elezioni -, i suoi sostenitori vogliono passare all’azione; e talora lo fanno.
Dopo che un uomo è stato ucciso a Cincinnati, nell’Ohio, mentre cercava di introdursi negli uffici dei federali, un altro è stato arrestato in Pennsylvania per aver minacciato di uccidere quanti più agenti federali possibile. L’Fbi ha diffuso un’allerta per l’aumento delle minacce contro propri agenti e ha rafforzato la sicurezza nei suoi uffici in tutto il Paese.
Non è ancora chiaro, invece, se il giovane che domenica s’è suicidato schiantandosi con la sua auto contro una barriera di cemento alla base del Campidoglio di Washington avesse moventi politici: secondo la madre, Richard Aaron York III, 24 anni, del Delaware, soffriva di un trauma cerebrale, a causa del football americano praticato al liceo, e non era un fan di Trump, anzi “votava democratico”.
La ridda delle inchieste sull’ex presidente
Nei confronti di Trump, le inchieste si sommano e s’intrecciano: il Dipartimento della Giustizia indaga sulla sottrazione di documenti dalla Casa Bianca – Trump ne avrebbe anche distrutti, quand’era ancora in carica, scaricandoli nel water -; la Georgia valuta le pressioni da lui esercitate per alterare il risultato delle elezioni nello Stato; la Camera accerta sue eventuali responsabilità nella sommossa del 6 gennaio 2021 intesa a ribaltare l’esito del voto – la commissione ‘ad hoc’ riprenderà il lavoro a settembre -; e la procura di New York vaglia sospetti di evasione fiscale e pratiche d’affari illegali della Trump Organization, la holding di famiglia del magnate.
Lui parla di “caccia alle streghe”, dice di non avere commesso illeciti, si presenta in procura, dov’è stato convocato, ma rifiuta di rispondere alle domande. Mentre una corte federale avalla la richiesta – finora sempre respinta – di rendere pubbliche le sue dichiarazioni fiscali: la vertenza, probabilmente, finirà alla Corte Suprema.
Come fanno nei film di Hollywood i cattivi che hanno qualcosa da nascondere e un buon avvocato, Trump invoca il V emendamento della Costituzione Usa per eludere le domande del procuratore dello Stato di New York Letitia James, il magistrato che da anni passa al setaccio le dubbie pratiche della Trump Organization. Il V emendamento consente all’indagato, o al teste, di non testimoniare, se le sue risposte potrebbero esporlo a essere incriminato.
Nell’inchiesta di New York, Allen H. Weisselberg, il ‘super-ragioniere’ della Trump Organization, incriminato per reati fiscali, s’appresta a patteggiare con la procura di Manhattan, ma non intende collaborare alle indagini sul magnate. Secondo il NYT, l’intesa farà di uno dei luogotenenti più fidi del magnate un pregiudicato e costringerà la holding ad affrontare da sola il processo.
In Georgia, l’avvocato di Trump Rudolph Giuliani, l’ex ‘sindaco sceriffo’ di New York, è comparso davanti a un Gran Giurì: è indagato per le pressioni esercitate dopo il voto dall’allora presidente sulle autorità statali perché alterassero l’esito delle presidenziali. Anche un altro legale di Trump, Jenna Ellis, dovrà comparire davanti a un Gran Giurì.
La raffica di iniziative anti-Trump innescano la solidarietà dei repubblicani verso l’ex presidente. Anche chi nel partito lo critica e molti che nelle primarie hanno preferito candidati non appoggiati da lui intravvedono nel cumulo di azioni quello che noi chiameremmo un ‘fumus percecutionis’ o una ‘giustizia ad orologeria’. E c’è chi pensa che, in chiave elettorale, verso il voto di midterm dell’8 novembre e le presidenziali del 2024, i repubblicani e il magnate possano persino trarne vantaggio. A meno che non ne risultino misure che interdicano l’ex presidente dai pubblici uffici – ma resta da vedere se sarebbero valide, in caso di elezione alla presidenza -.
Restano al coperto, però, i potenziali candidati alternativi alla nomination repubblicana 2024, quelli che trarrebbero vantaggio dalla disgrazia di Trump: Ron DeSantis, il governatore della Florida; Mike Pence, l’ex suo vice; la talentuosa ed abile Nikki Haley pubblicano libri ed evitano d’apparire sciacalli. E potrebbe pure scendere in campo Liz Cheney.