Nella serie ‘errare humanum est, perseverare diabolicum’, meno di due settimane dopo che l’arrivo a Taipei della speaker della Camera Usa Nancy Pelosi aveva precipitato le relazioni tra Washington e Pechino al punto più basso e di maggiore attrito del XXI Secolo, una delegazione del Congresso, guidata dal senatore democratico Ed Markey, è da ieri a Taiwan.
Lo riferisce l’agenzia di stampa locale Cna e lo conferma l’American Institute in Taiwan, una sorta d’ambasciata degli Usa nell’isola Stato con cui gli Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche, perché la politica ufficiale è di riconoscere un’unica Cina, la Repubblica popolare cinese.
La visita di Pelosi suscitò dure (e prevedibili) reazioni cinesi: Pechino, che considera l’isola parte “inalienabile” del suo territorio, prese misure economiche e commerciali e organizzò esercitazioni su larga scala navali ed aeree, che molti considerarono le prove generali di un’eventuale invasione (anche se, a conti fatti, fu tutto un flettere i muscoli a scopo dimostrativo).
E’ probabile che l’eco della visita del senatore Markey e dei suoi colleghi sia meno ampia e forte. Nella delegazione ci sono i deputati democratici John Garamendi, Alan Lowenthal e Don Beyer e una repubblicana, Aumua Amata Coleman Radewagen: nessuna figura di primo piano. Markey, senatore del Massachusetts, presiede il gruppo Asia-Pacifico della commissione Esteri ed è molto impegnato nella promozione delle relazioni tra l’Unione e l’isola.
La sosta a Taipei, una tappa di una missione nella Regione Indo-Pacifica, si concluderà già oggi, dopo incontri con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, il ministro degli Esteri Joseph Wu ed esponenti parlamentari: al centro delle discussioni, le relazioni bilaterali e la sicurezza regionale.
In una dichiarazione, Taipei enfatizza il fatto che il Congresso abbia “organizzato ancora una volta una delegazione di alto livello per visitare Taiwan e dimostrare amicizia e forte sostegno, senza temere minacce e intimidazioni cinesi”. La Casa Bianca, invece, tace, come aveva sostanzialmente fatto in occasione della visita di Pelosi.
E’ probabile che la Cina reagisca in queste ore. L’altro ieri, aveva annunciato sanzioni nei confronti della Lituania e di una vice-ministra dei Trasporti lituana, Agnė Vaiciukevičiūtė, che aveva guidato nei giorni scorsi una delegazione lituana a Taiwan per discutere di comuni progetti nei trasporti e nella tecnologia.
Le punture di spillo di Washington a Pechino su Taiwan non si esauriscono nella teoria di visite. Kurt Campbell, coordinatore della Casa Bianca per l’Asia-Pacifico, ha annunciato venerdì scorso che gli stati Uniti effettueranno nuove “esercitazioni aeree e marine” nello stretto di Taiwan e che intendono approfondire i legami economici con l’isola Stato: “Continueremo a volare, navigare e operare dove il diritto internazionale lo consente, coerentemente con il nostro impegno di lunga data per la libertà di navigazione”. Nel frattempo le forze di Pechino proseguono il pattugliamento dell’aerea nella scia delle manovre condotte nei giorni scorsi.
In questo contesto di relazioni Usa-Cina, l’ex segretario di Stato di Richard Nixon Henry Kissinger, guru indiscusso della politica estera degli Stati Uniti, avverte in un’intervista al Wall Street Journal: “Siamo sull’orlo di una guerra con Russia e Cina su questioni che abbiamo in parte creato senza avere alcuna idea di come andrà a finire o a cosa potrebbe portare”. Per Kissinger, già critico dell’atteggiamento di Washington verso la Russia prima dell’invasione dell’Ucraina, gli Stati Uniti “non dovrebbero accelerare le tensioni ma creare opzioni”. Cosa che l’attuale diplomazia Usa, “molto sensibile all’emozione del momento”, non pare in grado di fare. La leadership statunitense, dice l’anziano diplomatico, 99 anni, è concentrata sulla condanna di idee con cui non è d’accordo, invece di cercare di capire il pensiero degli avversari e di provare a negoziare.
Con tutti i guai che il Mondo ha, non c’era proprio bisogno di andare a Taiwan – non solo una, ma due volte – ad attizzare la brace dei contrasti mai sopiti sull’indipendenza – non riconosciuta dalla Cina – dell’isola Stato. Le manovre cinesi, protrattesi in varie fasi per dieci giorni, hanno simulato un blocco aereo e navale e hanno turbato il traffico commerciale aereo e marittimo. La tensione s’è impennata in tutta la Regione e alcuni analisti ritengono che un’invasione cinese sia uno scenario ora più plausibile. Pechino ha pure respinto la richiesta di Taipei di rispettare la “linea mediana” nello Stretto di Taiwan perché “Taiwan è parte del territorio cinese e non può esserci linea mediana” (anche se tradizionalmente osservata).