Nel conflitto in Ucraina, la diplomazia della pace ha percorsi inediti e imprevedibili, che lasciano fuori l’Occidente. La mediazione turca per sventare una ‘guerra del grano‘ con conseguenze catastrofiche su decine di milioni di persone al Mondo passa per Teheran e per il Vertice dei Paesi che s’affacciano sul Mar Caspio. Nella capitale iraniana, si incontrano, per la prima volta dall’inizio dell’invasione, ormai 150 giorni or sono, i presidenti russo Vladimir Putin e turco Recep Tayyip Erdogan, dopo che i colloqui della scorsa settimana a Istanbul tra delegazioni di Russia, Ucraina, Turchia e dell’Onu hanno prodotto intese tecniche per sbloccare l’export di cereali dai porti ucraini via corridoi sicuri nel Mar Nero.
“Alcune questioni restano da risolvere, ma ci sono progressi ed è un buon segno”, dice Putin dopo l’incontro con Erdogan: il leader russo pone la condizione che pure il grano russo possa essere esportato senza restrizioni. Per fonti turche, i punti dell’intesa di principio riguardano “l’istituzione d’un centro di coordinamento a Istanbul, controlli congiunti alla partenza e all’arrivo delle navi e garanzie per la sicurezza dei porti e della navigazione”.
L’accordo pare a portata di mano e potrebbe essere firmato a giorni (ma l’Ucraina è meno esplicita nel manifestare ottimismo). Mosca avrebbe assicurato che non attaccherà i cargo carichi di grano e altri cereali. Ma Kiev non sarebbe completamente convinta e avrebbe chiesto ulteriori garanzie che i russi stiano alla larga dai porti.
L’ottimismo sull’intesa è però generalizzato: il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi vede “segnali incoraggianti”; il presidente francese, Emmanuel Macron, telefona a Erdogan; e il capo della diplomazia dell’Ue Joseph Borrell parla di “questione di vita o di morte” per decine di milioni di persone e “spera” nello sblocco a giorni del porto di Odessa e degli altri porti ucraini.
Non c’è lo stesso clima su altri fronti negoziali. Mosca ribadisce che la guerra finirà solo quando avrà raggiunto “i suoi obiettivi”. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov non dubita del successo “dell’operazione militare speciale” russa, anche se “non è chiaro” quando sarà conseguito.
Una settimana dopo la missione in Medio Oriente del presidente Usa Joe Biden, che aveva giocato sulle vecchie zizzanie con l’Iran di Israele e Arabia saudita, Putin afferma che, oltre alla Turchia, “anche Arabia saudita, Emirati arabi uniti ed altri Paesi” provano a mediare nel conflitto in Ucraina: la Russia è loro “grata” per questi sforzi.
Più che del grano, Biden in Medio Oriente s’era preoccupato del petrolio (e del nucleare iraniano): ai leader di Riad e al presidente egiziano Al-Sisi aveva chiesto di aumentare la produzione. Obiettivo: raffreddare l’inflazione negli Stati Uniti. L’Iran reagisce all’ostilità degli Usa legandosi alla Russia: le fornisce droni che possono essere usati in Ucraina.
La pandemia prima e la guerra con le sanzioni poi stanno avendo un impatto devastante su Stati che rischiano il default: in Sri Lanka, è successo; Pakistan, Argentina e altri sono sull’orlo del collasso. L’Ucraina non è la sola vittima dell’invasione russa e dell’ostinazione non negoziale dell’Occidente.
A testimoniare la volatilità in questa fase degli intrecci diplomatici e la disinvoltura di alcuni leader, Erdogan rimette in forse il sì della Turchia all’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza Atlantica, reclamando l’attuazione di quanto a suo avviso convenuto al Vertice della Nato di Madrid sull’estradizione dai Paesi Nordici di esponenti del Partito dei lavoratori curdo, che Ankara considera terroristi.
Nell’intreccio di alleanze dell’Occidente non sempre coerenti, il presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro telefona a quello ucraino Volodymyr Zelensky e avalla le sanzioni anti-Russia che lui non applica; e, domenica, il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov inconterà al Cairo al-Sisi. che ha appena dato pegno d’amicizia agli Usa.
Sul terreno, bombe e missili, ‘repulisti’ e sanzioni
Con la diplomazia in stallo, i boati delle esplosioni di missili e bombe nelle città ucraine riempiono le cronache delle giornate di guerra in Ucraina. Il conflitto congela i ministri delle Finanze del G20, che, riuniti in Indonesia, non pubblicano una dichiarazione congiunta, proprio com’era successo, una settimana prima, ai ministri degli Esteri.
Sul terreno, i bollettini della consueta pioggia di missili e bombe – decine ogni giorno – interessano sempre più località ucraine e causano sempre più vittime civili, mentre l’obiettivo dell’avanzata delle truppe di Mosca resta Sloviansk. Le fonti russe segnalano, a loro volta, attacchi ucraini contro obiettivi civili nel Kherson, che le forze di Kiev stanno cercando di riconquistare: i nuovi sistemi missilistici Usa e britannici consentono agli ucraini di centrare da grande distanza depositi d’armi e munizioni russi.
Il presidente Zelensky decide un ‘repulisti’ nell’intelligence e negli apparati giudiziari ucraini, adducendo inefficienze e collusioni. L’Ue promette a Kiev ulteriori aiuti, anche militari; vara sanzioni anti-russe addizionali; e dirama indicazioni vincolanti sul risparmio energetico, nonostante Putin assicuri il rispetto degli impegni per le forniture di gas.
La Russia, presagendo forse il logoramento delle sue truppe e una controffensiva ucraina alimentata dalle armi occidentali, avvia il reclutamento su larga scala in tutto il Paese di volontari per andare a combattere in Ucraina. Lo scrive il bollettino giornaliero dell’Istituto Usa ‘for the study of war’, rilevando che “il reclutamento è iniziato a giugno e s’è intensificato a luglio”, con annunci di unità di volontari ogni giorno. “I battaglioni sono formati ciascuno da circa 400 uomini di età compresa fra i 18 e i 60 anni. Le reclute non devono avere esperienza militare e sono addestrate solo 30 giorni prima di essere impiegate in Ucraina”.
Segno che Mosca non prevede pause nel conflitto. Il NYT vede segnali di una fase più aggressiva dell’offensiva russa e ipotizza tre scenari di sviluppo della guerra: “Vittoria, stallo, sconfitta”, partendo da un’analisi di Avril Haines, che dirige la National Intelligence degli Stati Uniti.
Nel primo scenario, i progressi russi nell’Ucraina orientale e la pioggia di missili cui sono soggette le città ucraine finiscono con l’avere la meglio sulla volontà di resistenza degli ucraini e consentono a Putin di completare l’occupazione del Donbass e di ‘cantare vittoria’.
Nel secondo scenario, che Haines considera il più probabile, la Russia non riesce ad avanzare oltre, ma l’Ucraina non riesce a recuperare i territori perduti: ci s’invischia in uno stallo senza sbocchi.
Nel terzo scenario, l’Ucraina, anche grazie alle armi occidentali, riesce a bloccare l’avanzata e lancia contrattacchi, recuperando lembi di territorio, specie nel Sud. Il ministro della Difesa russo Dergej Shoigu invita a rafforzare le difese nel Donbass: segno che l’artiglieria a lungo raggio fornita a Kiev dall’Occidente sta facendo danni.
Per l’intelligence britannica, la portata dell’offensiva russa nel Donetsk è per ora limitata. Kiev, dopo avere ceduto Severodonetsk e Lysychansk, ha riorganizzato le sue difese e regge meglio.
L’Ucraina denuncia che i russi hanno trasformato la centrale nucleare di Zaporizhzhya in una base di sistemi missilistici, che non può essere colpita per evitare il rischio di un disastro atomico. Di lì, bombardano tutto intorno. Situata sul fiume Dnipro, la centrale è sotto controllo russo fin dall’inizio dell’invasione, sebbene sia ancora gestita da personale ucraino. La situazione nell’impianto sarebbe “estremamente tesa”: fino a 500 soldati russi controllano l’area.
Circa 38.140 soldati russi sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio dell’invasione, dicono fonti militari ucraine, che aggiornano le statistiche delle perdite russe: 220 caccia, 188 elicotteri e 687 droni abbattuti; 15 navi affondate; 1.677 carri armati, 846 sistemi di artiglieria, 3.874 veicoli blindati e 162 missili cruise distrutti.
L’incontro di Teheran, annessi e connessi
Oltre all’Ucraina, l’incontro a Teheran tra Erdogan e Putin ha toccato altri temi: i due partecipavano con il presidente iraniano Ebrahim Raisi alla conferenza sulla Siria nel formato di Astana, dal nome della capitale del Kazakhstan dove Iran, Turchia e Russia iniziarono nel 2017 colloqui per risolvere il conflitto siriano.
Nella dichiarazione finale, i tre leader dicono di voler espandere il formato delle loro consultazioni oltre la questione siriana: il prossimo vertice trilaterale si farà in Russia. L’invasione dell’Ucraina e la reazione dell’Occidente favorisce il rafforzamento dell’asse Mosca-Teheran, che da mesi sta consolidando la cooperazione a livello commerciale e sull’energia, oltre che militare con i droni.
Nonostante un intreccio di rivelazioni statunitensi e smentite iraniane, il comandante delle forze di terra dell’Esercito iraniano Kiumars Heidari ammette che l’Iran è pronto ad esportare armi ed equipaggiamento militare a “Paesi amici” e cita modelli avanzati di droni pronti per essere utilizzati in ricognizioni su lunga distanza e in missioni di combattimento.
A colloquio con Raisi, Putin ha detto che le relazioni commerciali tra Russia e Iran “si stanno sviluppando rapidamente”. E il Cremlino auspica di firmare “presto” un’intesa di cooperazione strategica globale tra i due Paesi. Mosca e Teheran hanno già siglato un accordo per cui aziende russe, tra cui Gazprom, investiranno 40 miliardi di dollari nel settore petrolifero iraniano: è il più importante investimento straniero nella storia della Repubblica islamica.
Sulla Siria, il Vertice trilaterale non ha risolto le divergenze tra Mosca e Teheran, vicine al regime di Damasco, e Ankara, che non ha ottenuto via libera a un’operazione militare anti-curdi nel Nord della Siria. Ma Mosca, Ankara e Teheran continueranno a lavorare insieme per “stroncare tentativi di forze esterne di utilizzare” il terrorismo “per i loro interessi geopolitici” in Siria e più in generale nel Medio Oriente o altrove.
La scia della missione di Biden in Medio Oriente
La missione di Biden in Medio Oriente è stata uno slalom “fra omicidi ingombranti”, in un territorio “ad alto rischio”, dove il presidente Usa “mette i piedi nelle impronte di Donald Trump” e dove lo inseguiva il fantasma dell’inflazione al 9,1% in giugno – mai così elevata da 40 anni -, che pesa sull’esito delle elezioni di midterm per i democratici e sulle prospettive di conferma nel 2024.
Le immagini e gli intrecci non sono miei: sono citazioni del Washington Post, del New York Times e della Cnn (e probabilmente di buona parte della stampa statunitense). Gli omicidi ingombranti sono quelli del giornalista e oppositore saudita/americano Jamal Khashoggi – Istanbul, 2 ottobre 2018 -: inquirenti turchi e intelligence Usa hanno individuato il mandante nel principe ereditario Mohammed bin Salman, che Biden incontra oggi a Riad; e della giornalista palestinese-americana di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa l’11 maggio mentre copriva disordini a Jenin nei Territori da una pallottola sparata – è la conclusione di indagini indipendenti – dalle forze di sicurezza israeliane.
Ma la missione aggrovigliare anche la diplomazia di pace per l’Ucraina, senza sbloccare, ma anzi acuendo, le tensioni regionali, contrapponendo alleanze – Usa con Israele e Arabia Saudita da un alto; Russia con Iran dall’altro – potenzialmente esplosive.
Viene da chiedersi chi glielo abbia fatto fare, al presidente Usa, di programmare la missione proprio ora, tanto più che in Israele c’era a fare da sfondo una situazione di caos politico – qui cito l’Ap -, governo in carica per gli affari correnti, elezioni politiche il 1° novembre, le quinte in quattro anni: lui deve fare l’equilibrista tra i leader attuali, Yair Lapid e Naftali Bennett, e Benjamin Netanyahu, l’amico di Trump, mai uscito di scena; e deve barcamenarsi tra la conferma di decisioni di Trump (il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme) e ritorni al passato dell’Amministrazione Obama (“La soluzione dei due Stati rimane la migliore per garantire pace e stabilità a israeliani e palestinesi”).
In conferenza stampa col premier Lapid, Biden ha ripetuto che “la guerra di Putin deve fallire”: “Continueremo a sostenere l’Ucraina e il suo popolo”. Biden ha poi aggiunto che prevenire che l’Iran ottenga l’arma nucleare “è vitale per la sicurezza globale”, pur aggiungendo che la soluzione diplomatica del contenzioso nucleare con Teheran “resta la preferibile”.
La Russia legge dietro la riaffermazione dell’alleanza tra Washington e Gerusalemme – gli Usa sono “senza se e senza ma” per la sicurezza di Israele – il rischio che gli Usa chiedano a Israele di inviare armi in Ucraina e auspica che Israele “agisca in modo saggio e corretto” – parole del vice-ministro degli Esteri di Mosca Mikhail Bogdanov, il rappresentante speciale del presidente Vladimir Putin per il Medio Oriente -.
In Arabia Saudita, Biden voleva “promuovere gli interessi degli Usa e l’influenza in Medio Oriente, che sbagliando non abbiamo più esercitato”; ma, soprattutto, voleva convincere Riad ad aumentare la produzione di petrolio, calmierando i costi e contribuendo a ridurre l’inflazione negli Usa.
Biden ha anche partecipato al vertice dei Paesi del Golfo con altri tre alleati chiave nella Regione: Egitto, Giordania e Iraq.
Il rischio di tornare a casa con un pugno di mosche in mano era molto alto: dai leader israeliani ormai in campagna elettorale, non poteva pretendere impegni scomodi; e i sauditi non sono mai malleabili sul petrolio. E, così, in fondo è stato. Con l’aggravante del riavvicinamento incoraggiato tra Mosca e Teheran.