“Quando le democrazie si uniscono, non c’è nulla che non possano realizzare”. Detta come se fosse un assioma, la frase di Joe Biden sintetizza il messaggio della carrellata di Vertici di questi giorni, Ue, G7, Nato: democrazie all’opera insieme, contro l’aggressività militare della Russia in Ucraina e la spinta egemonica economica e commerciale della Cina ovunque nel Mondo. Biden annuncia investimenti nelle infrastrutture per 600 miliardi di dollari da qui al 2027 – un terzo ce lo mettono gli Usa – e spiega: “Bisogna sviluppare tecnologie sicure in modo che le nostre informazioni online non vengano utilizzate dagli autocrati” e “colmare il divario nelle infrastrutture a livello globale”.
E il presidente degli Stati Uniti e i suoi partner sono disposti a chiudere un occhio se il ‘campo largo’ delle democrazie occidentali è inquinato da qualche autocrazia potenzialmente ‘doppiogiochista’ – Turchia o Egitto – o da qualche regime adagiato in un oscurantismo medievale – l’Arabia saudita -.
Incontrando il padrone di casa del G7, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Biden spiega: “Dobbiamo restare insieme, nel G7 e nella Nato”: il presidente russo Vladimir Putin “spera che ci dividiamo”, ma “non è accaduto e non accadrà”. Uniti e in maniche di camicia: il tentativo di smontare il mito dell’uomo forte di Putin e del presidente cinese Xi Jinping passa anche attraverso scelte d’immagine. Al momento di mettersi al lavoro intorno al tavolo nel castello di Elmau, in Baviera, il premier britannico Boris Johnson ha chiesto: “Con o senza giacca? Dobbiamo tutti mostrare che siamo più tosti di Putin”. Il premier canadese Justin Trudeau, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e tutti quanti gli hanno tenuto bordone, nonostante che, al Vertice virtuale dei Brics, Puntin e Xi si fossero inappuntabilmente presentati in giacca e cravatta.
Nelle sue diverse formazioni, l’Occidente sciorina, dunque unità e coesione a sostegno dell’Ucraina, il cui presidente Volodymyr Zelensky interviene volta a volta a sollecitare più armi e più aiuti. L’aggressione russa al Paese confinante offre un facile collante all’Unione europea, ai Sette Grandi e all’Alleanza atlantica, che, al Vertice di Madrid, trova una nuova dimensione, con la partecipazione di Giappone e Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda – quanto basta perché la Cina denunci “l’espansionismo” dell’alleanza militare occidentale -.
A Madrid, la Nato varerà la nuova versione del suo ‘concetto strategico’, che individua nella Russia “la principale minaccia alla sicurezza atlantica” e che per la prima volta indica la Cina come “fonte di preoccupazione”. Pechino ha già organizzato la sua risposta al gran pavese dei vertici occidentali riunendo i leader dei Brics – Cina, Russia, Brasile, SudAfrica e India -: è stata l’occasione, per Xi, di predicare “l’autentico multilateralismo”, l’abbandono della “mentalità da Guerra Fredda” e l’opposizione “alle sanzioni unilaterali”. Putin ha invece denunciato “l’egoismo dell’Occidente”.
Di tappa in tappa, i leader riaffermano l’impegno ad essere al fianco dell’Ucraina “fin quando sarà necessario” ed a fornirle le armi di cui ha bisogno, ma anche ad aiutarla nella ricostruzione; e, poi, c’è la volontà di acquisire sicurezza energetica a prescindere dalla Russia e di sventare una ‘guerra del grano’ a detrimento del Terzo Mondo.
Mosca accompagna i Vertici occidentali con un crescendo militare e criminale: l’invasione avanza nel Donbass e una pioggia di missili, anche dalla Bielorussia, si abbatte su tutta l’Ucraina, facendo in particolare decine di vittime civili in un centro commerciale di Kremenchuk, città industriale, e tornando a colpire Kiev e altri centri da settimane fuori dai radar degli attacchi.
L’Ucraina serve pure da foglia di fico alle carenze di decisione su altri fronti. Ad esempio, il Vertice dell’Ue, la scorsa settimana, ha riconosciuto a Ucraina e Moldavia lo statuto di Paesi candidati all’adesione all’Unione, ma ha lasciato in sospeso ogni altra questione: così, nulla si fatto sul prezzo del gas o su analoghi provvedimenti a sostegno delle economia dei 27 e a contrasto dell’inflazione; e nulla sul futuro dell’Unione, salvo il lancio informale di un’Unione politica europea tanto vaga quanto indefinita – una sorta di ‘camera di compensazione’ dove accogliere i Paesi in lista d’attesa per l’adesione: una sala d’aspetto confortevole, ma sostanzialmente vuota -.
Il G7 ha messo la sordina alla questione climatica, nonostante la siccità ne sottolinei l’urgenza; e la Nato, alla vigilia di Madrid, non ha ancora superato le riserve di Ankara sull’ingresso nell’Alleanza di Finlandia e Svezia. E’ invece acquisito il più importante rafforzamento delle capacità operative Nato dalla fine della Guerra Fredda. Le forze di pronto intervento (‘rapid deployment forces’) supereranno la soglia delle 300 mila unità.
In Germania, i leader dei Grandi, che hanno alternato sessioni plenarie e contatti bilaterali, si sono detti “fermi” nella solidarietà all’Ucraina ed hanno ribadito “l’impegno senza esitazioni a sostenere il governo e il popolo dell’Ucraina nella coraggiosa difesa delle sovranità e integrità territoriali e nella lotta per un futuro pacifico, prospero e democratico”.
I Sette accolgono con favore le decisioni dell’Ue sul percorso di adesione di Ucraina e Moldavia; e si impegnano a continuare a fornire a Kiev sostegno finanziario, umanitario, militare e diplomatico e “a stare dalla parte dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”. Contestualmente, mostrano “responsabilità e solidarietà globali”, lavorando per affrontare le conseguenze internazionali dell’aggressione della Russia, specie nei confronti dei Paesi più vulnerabili, e chiedendo lo sblocco del transito del grano dal Mar Nero.
I leaders del G7 mettono, infine, al bando l’oro di Mosca ed elaborano un piano aggressivo e mai attuato finora per manipolare i prezzi del gas: un’ammissione che le sanzioni non hanno finora intaccato i ricavi della Russia dall’export d’energia. Non è però chiaro quando il piano sarà pronto e diventerà operativo.
Se c’è, il partito della trattativa e de ‘la tregua prima’ non fa capolino. Johnson, il ‘falco’, catechizza la ‘colomba’, il presidente francese Emmanuel Macron, che “ogni tentativo” di soluzione negoziata “ora” con la Russia per la pace in Ucraina rischia di prolungare “l’instabilità mondiale”. Non resta quasi traccia della missione congiunta a Kiev del trio europeo Macron – Scholz – Draghi. Scholz, però, mette un paletto: “Facciamo il possibile per appoggiare l’Ucraina. Ma eviteremo un conflitto fra Nato e Russia”. E Zelensky dà un orizzonte alla pace o, almeno, al termine del conflitto “entro fine anno”. Chi lo sa se Putin, che va in missione in Tagikistan e Turkmenistan, i suoi primi viaggi all’estero dall’invasione dell’Ucraina, ce l’ha segnato sulla sua agenda.