Dalla Baviera a Madrid, dal G7 alla Nato, i leader dell’Occidente ripropongono di Vertice in Vertice il loro mantra: “A fianco dell’Ucraina, fin quando sarà necessario”. E il ‘falco’ Boris Johnson zittisce le ‘colombe’ Scholz e Macron: “Di trattativa con la Russia, non è l’ora di parlare”. Del resto, la frase di ieri del Cremlino – “la guerra in Ucraina può finire subito, se Kiev ordina alle sue unità di deporre le armi” – non offre di certo una base negoziale.
Ma un conto sono le posizioni di facciata e un conto quelle realistiche: funzionari della Casa Bianca esprimono alla Cnn dubbi che l’Ucraina possa realisticamente recuperare la Crimea e il territorio delle autoproclamate repubbliche secessioniste del Donbass. I consiglieri del presidente Joe Biden valutano l’opportunità che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “moderi le aspettative su quel che le forze ucraine possono realisticamente ottenere”, accettando l’idea che il territorio ucraino possa irreversibilmente ridursi.
Lunedì, al G7, Zelensky diceva di considerare “una vittoria” costringere le truppe russe a ritirarsi entro i confini del 23 febbraio. A quella data, Kiev non controllava le parti del Donbass occupate dalle repubbliche di Donetsk e Lugansk e la Crimea, annessa alla Russia fin dal 2014. Di recente, però, il quadro è peggiorato: le forze di Mosca avanzano nel Donbass e quelle ucraine subiscono forti perdite, in uomini – “fino a 100 soldati al giorno” – e mezzi – armi e munizioni si consumano “più in fretta di quanto l’Occidente non sia in grado di fornire nuovi sistemi d’arma e di provvedere all’addestramento”.
Ragion per cui fonti militari ed esperti dell’intelligence giudicano “improbabile che l’Ucraina riesca a mettere insieme la forza necessaria per riconquistare tutto il territorio ceduto alla Russia, specie entro quest’anno”, l’obiettivo temporale indicato lunedì al G7 da Zelensky.
Nulla di tutto questo trapelerà da discorsi e dichiarazioni del Vertice di Madrid: i leader dei Paesi della Nato sono stati ieri sera ospiti a cena di re Filippo VI. “È in corso una gara fra autocrazie e democrazie e noi dobbiamo vincerla”, ha detto Biden al sovrano. Ieri, il dipartimento del Tesoro Usa ha annunciato il bando dell’oro dalla Russia e sanzioni contro 70 entità russe della difesa, oltre che contro una trentina di individui. Mosca ha reagito con ritorsioni simboliche, come il divieto d’ingresso alla moglie e alla figlia del presidente Usa e ad altre 23 persone, tutte colpevoli di avere “una linea russofobica”.
Il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov dice che “più armi gli occidentali inviano in Ucraina, più durerà il conflitto e continuerà l’agonia del regime nazista”: “La linea dell’Occidente è del tutto controproducente”, aggiunge Lavrov, parlando ad Ashgabad, capitale del Turkmenistan. Dove oggi, dal Tagikistan, dove s’è occupato della situazione in Afghanistan, lo raggiungerà Vladimir Putin: c’è un vertice dei Paesi rivieraschi del Mar Caspio (Azerbaigian, Iran, Kazakhstan, Turkmenistan e Russia). Sono le prime missioni all’estero di Putin dall’inizio dell’invasione.
L’ambasciatore di Mosca a Washington Anatoly Antonov avverte che “le continue consegne di armi da Washington a Kiev non fanno altro che inasprire la spirale del conflitto e aumentare la minaccia di un ulteriore aggravamento con conseguenze imprevedibili”.
Per gli Stati Uniti, quello di Madrid è un “vertice storico”, che avviene in tempo di guerra e vede l’Alleanza “più unita che mai”, dice il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan: “L’Ucraina sarà al centro del dibattito …”; gli Stati Uniti e alcuni altri Paesi intendono annunciare “un rafforzamento a lungo termine del loro impegno militare in Europa e del contributo alla difesa del fianco orientale”. E’ acquisito il più importante rafforzamento delle capacità operative Nato dalla fine della Guerra Fredda: le forze di pronto intervento (‘rapid deployment forces’) supereranno la soglia delle 300 mila unità.
Il ministero della Difesa russo replica di stare lavorando a piani per rafforzare i confini occidentali di fronte ai “nuovi pericoli” provenienti dalla Nato.
L’Occidente s’aspetta che la Cina “faccia pressione sulla Russia affinché cessi l’aggressione militare e ritiri immediatamente e incondizionatamente le sue truppe” dall’Ucraina. Ma, nel contempo, intende indicare la Cina fra gli elementi di preoccupazione della situazione internbwaionzlae. Al che Pechiono replica che la Nato, “come prodotto della Guerra Fredda e maggiore alleanza militare al mondo, ha aderito a lungo a concetti di sicurezza obsoleti ed è diventata da tempo uno strumento per i singoli Paesi per mantenere l’egemonia”. Per la Cina, “il nuovo documento strategico della Nato non è altro che ‘vecchio vino in bottiglia nuova’. In sostanza non cambia la mentalità della Guerra Fredda di creare nemici immaginari e impegnarsi in scontri sul campo”.
In serata, la Nato ha superato le riserve di Ankara sull’ingresso nell’Alleanza di Finlandia e Svezia. Ieri c’era stata una telefonata tra Biden e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che non era però stata determinante. “Non vogliamo più sentire parole vuote, vogliamo vedere risultati”, aveva detto Erdogan circa il distanziamento di Helsinki e Stoccolma da gruppi curdi che la Turchia considera terroristi. “Dall’appartenenza alla Nato derivano responsabilità, Svezia e Finlandia devono tenere conto delle preoccupazioni della Turchia”. A Madrid c’è poi stato un incontro Turchia – Finlandia – Svezia, ‘arbitrato’ dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che ha sbloccato la situazione.