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Usa: aborto, Corte Suprema di Donald Trump cancella i diritti americani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/06/2022

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Sull’aborto, le armi, il diritto di voto delle minoranze, l’America di Joe Biden raccoglie i frutti amari della Corte Suprema di Donald Trump. In un solo mandato, il magnate presidente aveva potuto nominare ben tre giudici supremi, rimpiazzando un conservatore, una progressista e un moderato spesso ago della bilancia nelle decisioni della Corte con tre giudici dichiaratamente conservatori, tutti cinquantenni e destinati, quindi, a restare in carica a lungo.

Trump ha orientato in senso conservatore la Corte Suprema degli Stati Uniti per decenni a venire. L’unico modo di correggere l’attuale squilibrio sarebbe quello di aumentare il numero dei giudici, annacquando l’attuale squilibrio, ma i democratici non hanno la forza per imporre un cambiamento del genere.

Certo, oggi i nove giudici non sono uno spaccato dell’America: sei uomini e tre donne; sei bianchi, un nero – conservatore –, un italo-americano e una ispanica; ben sei cattolici su nove – i cattolici sono un quarto circa della popolazione, oltre 75 milioni -, due ebrei e un solo protestante, per di più un ex cattolico convertitosi per matrimonio.

La Corte Suprema degli Stati Uniti si compone di nove giudici, il cui mandato è a vita, salvo dimissioni. Il presidente li designa, ma il Senato li approva. Ed è qui uno dei nodi dell’attuale fase della politica statunitense: nel Senato, i 600 mila elettori conservatori del Wyoming valgono quanto i 55 milioni di elettori progressisti della California, valgono cioè due senatori.

Il sistema favorisce i repubblicani, forti negli Stati rurali, più numerosi e meno popolosi. Nel 2016, impedirono a Barack Obama di rimpiazzare con un giudice progressista il giudice arci-conservatore di origine italiana Antonin Scalia, deceduto a febbraio in Texas dov’era per una battuta di caccia.

Obama designò al suo posto Merrick Garland, l’attuale segretario alla Giustizia di Joe Biden. Però, il Senato, a maggioranza repubblicana, non lo prese neppure in considerazione, con la scusa che Obama era a fine mandato – mancavano nove mesi alle elezioni e 11 alla fine della presidenza -. Risultato, la nomina la fece Trump, che scelse Neil Gorsuch, un conservatore, cattolico di nascita e gesuita di educazione – è quello fattosi protestante con il matrimonio -.

In realtà, i repubblicani non avevano abbastanza voti in Senato per farlo passare, ma, con la forza della maggioranza, per quanto risicata, cambiarono le regole e lo insediarono.

Trump, poi, nel 2018 ebbe l’occasione di sostituire Anthony Kennedy, messosi in pensione a 82 anni, designato nel 1988 da Ronald Reagan e considerato l’ago della bilancia della Corte Suprema perché il suo voto era spesso decisivo per determinare la maggioranza. Al suo posto, Trump scelse Brett Kavanaugh, contestatissimo per lontane storie alla #MeToo, ma insediato senza colpo ferire.

Il 18 settembre 2020, poi, moriva Ruth Bader Ginsburg, icona liberal, giudice supremo dal 1993 per scelta di Bill Clinton. Mancavano poche settimane alle presidenziali, ma i repubblicani, che avevano tenuto in scacco per quasi un anno Obama nel 2016, precipitarono i tempi della conferma di Amy Coney Barrett, cattolica, integralista, attivista anti-aborto.

Biden ha poche chances di correggere questo squilibrio. Il giudice più anziano, Stephen Breyer, 84 anni, è un progressista (fu scelto da Clinton ): se si facesse da parte e Biden designasse il sostituto, la situazione resterebbe inalterata.

Che peso ha tutto ciò?, nella politica Usa e nella vita degli americani. Finora, la Corte Suprema ha sempre evitato di condizionare i risultati elettorali: nel 2000, avallò la contestata – e decisiva – vittoria in Florida di George W. Bush, ma la sentenza non apparve uno scandalo; e nel 2020 non diede corda alle presunti frodi denunciate da Trump, respingendo tutti i ricorsi.

Ma là dove le sentenze della Corte fanno giurisprudenza, in assenza di leggi, i giudici supremi pesano in modo significativo sulla vita dei cittadini e sulle scelte dell’Amministrazione: cancellando la sentenza del 1973, che affermava il diritto costituzionale all’aborto e vietava ai singoli Stati d’impedirlo, la Corte apre la strada alla proibizione dell’aborto in una metà degli Stati dell’Unione – alcuni l’hanno fatta immediatamente scattare – e a forti limitazioni in altri.

La decisione sull’aborto della Corte Suprema non sorprende, perché era già stata anticipata a maggio da una fuga di notizie, e conferma la tendenza dell’attuale composizione a rispettare la lettera della Costituzione, che non cita l’aborto – è un documento del 1776 – e che, invece, garantisce il diritto a portare un’arma, con un emendamento del 1791, l’epoca dei coloni in guerra contro gli inglesi e gli indiani, non di gente che esce di casa per andare in ufficio in metropolitana. Eppure, due giorni or sono. la stessa Corte aveva bocciato una legge dello Stato di New York perché troppo restrittiva del diritto di uscire di casa con un’arma per auto-difesa.

Più della sentenza sulle armi, quella sull’aborto è però destinata a suscitare proteste popolari diffuse e massicce: il presidente Biden, un cattolico, ma favorevole al diritto di scelta delle donne, chiede che le proteste restino pacifiche e propugna una soluzione legislativa al vuoto creato dalla sentenza della Corte Suprema. Ma varare una legge sarà difficile.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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