La guerra in Ucraina si riverbera anche nel Mediterraneo. Il rialzo di tensione tra la Russia e l’Occidente innesca un’accresciuta presenza di unità militari russe nei mari che circondano l’Italia. Giorni fa, l’incrociatore russo Varyag è stato avvistato a circa 150 miglia dal Golfo di Taranto: navigava in acque internazionali e s’è poi allontanato verso sud-est, in direzione di Creta.
Questi ‘avvicinamenti’ alle acque territoriali sono sempre monitorati dalla Marina Militare, come dagli apparati della Nato. Il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino, ha recentemente segnalato la presenza nel Mediterraneo di 18 unità militari russe e due sottomarini – nel 2016 ce n’era solo una -.
Analoga accresciuta attività militare si registra nel Baltico, oltre alle manovre della Nato, previste da tempo, con la partecipazione di Finlandia e Svezia, che non sono ancora nell’Alleanza atlantica, ma che chiedono di aderirvi. Mosca ha messo in chiaro che l’allargamento nordico della Nato rischia di rimettere in discussione la ‘denuclearizzazione’ del Baltico.
Le navi nel Mediterraneo e le attività nel Baltico non sono verosimilmente preludio di azioni ostili; servono piuttosto a ‘mostrare la bandiera’ e flettere i muscoli, in una fase in cui le sorti del conflitto nel Donbass volgono a favore della Russia.
Il fronte diplomatico è più frastagliato di quello militare. Per la prima volta, Kiev denuncia frizioni con Washington e guarda a Bruxelles, dove ieri si sono riuniti i ministri della Difesa dei Paesi della cosiddetta ‘Lega per l’Ucraina’, i 30 della Nato e i loro partner occidentali e dove domani l’Ue deve pronunciarsi se riconoscere all’Ucraina lo status di candidata all’adesione – la decisione finale spetterà, però, ai leader dei 27 la prossima settimana -. In mezzo, la visita a Kiev, salvo imprevisti, dei leader dei tre maggiori Paesi europei, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Mario Draghi.
Il presidente Usa Joe Biden ha ufficializzato la missione che lo porterà al Vertice del G7 al castello di Elmau in Germania dal 26 al 28 e subito dopo al Vertice della Nato a Madrid dal 28 al 30 giugno. La Casa Bianca ha pure confermato la discussa visita dal 13 al 16 luglio in Israele e Arabia Saudita: Biden incontrerà il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, il mandante dell’assassinio di Jamal Khashoggi.
In settimana, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole tornare a parlare di “guerra del grano” con Ucraina e Russia. Kiev dice di avere creato due corridoi terrestri attraverso Polonia e Romania, anche se ‘colli di bottiglia’ rallentano la catena di approvvigionamento. E trattative sono in corso con gli Stati baltici per creare un terzo corridoio per l’export alimentare.
Papa Francesco tra le aperture di Mosca e le sollecitazioni di Kiev
Papa Francesco è tornato a parlare della guerra, denunciando la presenza di una “superpotenza” che vuole imporre la sua volontà – la Russia, ndr -. “Il conflitto in Ucraina – ha detto – si è aggiunto alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione. Ma qui il quadro è più complesso per il diretto intervento di una ‘superpotenza’, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si ripetono scene di tragica memoria e una volta ancora i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace”.
Nella Domenica della Santissima Trinità, il Pontefice, all’Angelus, aveva rivolto, ancora una volta, il suo pensiero “alla popolazione ucraina afflitta dalla guerra”; e avvertito del rischio che il conflitto diventi routine: “Il tempo che passa non raffreddi il nostro dolore e la nostra ansia per quella gente martoriata. Non abituiamoci, per favore, a questa tragica realtà, abbiamola sempre nel cuore, preghiamo e lottiamo per la pace”.
E mentre Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, ebreo, sollecita la Chiesa, chiedendosi “Come possono i cristiani rimanere in silenzio?”, la Russia apre, sia pure in modo molto velato, a un’azione di pace del Papa. In un’intervista, Alexey Paramonov, ambasciatore designato presso la Santa Sede e direttore del Primo Dipartimento europeo del Ministero degli Esteri russo, afferma che il Vaticano “ha ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a fornire ogni possibile assistenza per raggiungere la pace e porre fine alle ostilità in Ucraina. Queste affermazioni sono confermate nella pratica. Abbiamo un dialogo aperto e riservato su una serie di questioni, specie la situazione umanitaria”.
Francesco è stato finora molto cauto su una sua missione di pace tra Kiev e Mosca, dopo che ci sono state frizioni sia con la chiesa ucraina che con quella russa. Contatti sono in corso.
Kiev – Washington, primi screzi tra Zelensky e Biden
Screzi tra Biden e Zelensky, che, deluso dall’amico americano, è tentato di gettarsi nelle braccia dell’Ue. Ma Bruxelles non ha certo da offrirgli quel che lui si aspetta da Washington: armi che possano rovesciare le sorti della battaglia del Donbass, che volge male. Ursula von del Leyen, presidente della Commissione europea, in visita a Kiev sabato 11 giugno, gli propina parole solidali e promesse che sanno di marinaio.
L’inedita incrinatura tra Biden e Zelenskìy nasce da una delle tante frasi ‘malandrine’ di ‘Sleepy Joe’, che non si capisce bene se gli sfuggono o se le vuole davvero dire. Parlando a margine del Vertice delle Americhe di Los Angeles, un mezzo flop, con tante assenze, Biden dice che Zelensky “non volle ascoltare” gli avvertimenti Usa prima dell’invasione russa dell’Ucraina. “Lo so che molti pensavano che stessi esagerando”, afferma Biden, “ma io sapevo che avevamo informazioni giuste”: “Non c’era alcun dubbio” che il presidente russo Vladimir Putin “avrebbe superato la frontiera”. “Zelensky non volle ascoltare, così come molte altre persone. Ma, alla fine, Putin lo fece”.
La critica a Zelensky, che non è chiaro che cosa potesse fare per dissuadere Putin dall’invadere – Biden ne aveva più strumenti -, è accompagnata, e in un certo senso addolcita, da un’intemerata contro Putin, che “cerca di cancellare non solo la nazione ucraina, ma anche la sua cultura”, perché considera Kiev la “culla della Madre Russia”.
La reazione di Zelensky è immediata. Fa spiegare dal suo portavoce Sergei Nikiforov che l’Ucraina chiese all’Occidente sanzioni preventive contro la Russia prima che scattasse l’invasione, ma non fu ascoltata. Nikiforov ricorda che Zelensky ebbe ripetute conversazioni telefoniche con Biden: i due si scambiarono opinioni e valutazioni sulla minaccia d’invasione russa. “Le sanzioni preventive dovevano spingere la Russia a ritirare le truppe dai confini e servire a ridurre la tensione. Furono, piuttosto, i nostri partner che ‘non vollero sentirci'”. Il capo negoziatore ucraino Mikhailo Podolyak è più acido: “Se avessimo cominciato a ricevere armi pesanti a gennaio, la situazione oggi sarebbe ben diversa”.
Il Lugansk, “un vero inferno”
E invece, in attesa che la diplomazia ottenga dei risultati, se mai lo farà, le condizioni nel Lugansk, sono “un vero inferno”, secondo il governatore della Regione Serhiy Gaidai: Severodonetsk, Lysychansk e altri centri sono sottoposti a pesanti attacchi dall’artiglieria russa. “I bombardamenti sono così potenti che la gente non riesce più a resistere nei rifugi”, riferisce Gaidai, citato dalla Bbc.
Mosca annuncia l’apertura d’un corridoio umanitario per i civili rifugiati nell’impianto chimico Azot e torna a invitare i combattenti che ancora vi sono asserragliati a far uscire i civili e deporre le armi: “Le unità militari ucraine hanno due opzioni: arrendersi, o morire. Non c’è altra via”, affermano fonti filo-russe. Dentro i rifugi antiaerei dell’installazione industriale di Severodonetsk, “restano – dicono fonti ucraine – 540/560 civili”.
“Questione di giorni, al massimo di settimane: i russi stanno per impadronirsi di tutto il Lugansk”, un’area del Donbass già autoproclamatasi repubblica separatista filorussa – come il Donetsk -. Non lo dice la propaganda del Cremlino. Lo dicono fonti del Dipartimento della Difesa Usa. L’Ucraina ammette di essere in difficoltà: le unità al fronte sono a corto di munizioni, per contrastare i 50/60 mila proiettili che ogni giorno pioverebbero sulle loro linee.
Le fonti Usa confermano: gli ucraini stanno subendo perdite molto pesanti – ma l’avanzata dei russi avviene pure “a caro prezzo” – e le munizioni scarseggiano. La perdita del Lugansk potrebbe però consentire loro di riposizionarsi su una linea del fronte che potrebbero difendere per qualche tempo, sempre che i russi vogliano ancora avanzare. Il presidente Zelensky elogia la capacità di resistenza delle sue truppe, che hanno superato tutte le previsioni. Ma aggiunge che “nessuno può dire quanto la guerra potrà continuare”. E riafferma che Crimea e Donbass “sono e rimarranno dell’Ucraina”, pur dicendosi pronto a negoziati diretti con il presidente russo Vladimir Putin.
A Kherson, dove è iniziata da tempo la distribuzione agli abitanti di passaporti russi, i filorussi esprimono la convinzione che la città “è irrevocabilmente nella Federazione russa e non tornerà mai più ucraina: qui stiamo bene e ci sentiamo a casa”. Ma Kiev organizza una controffensiva: truppe ucraine si sarebbero avvicinate a 18 km dalla località contesa. E Zelensky proclama: “Ci riprenderemo Mariupol”.
Un’ennesima fossa comune con corpi di civili sarebbe stata rinvenuta nei dintorni di Bucha, vicino al villaggio di Myrotske: dentro, i corpi di sette civili, molti di loro con “le mani legate e ferite d’arma da fuoco nelle ginocchia”. Un comunicato afferma che i corpi, in corso di identificazione, presentano segni di tortura. E’ in corso un’indagine per crimini di guerra.
Ucraina, la priorità delle armi; Polonia, la diffidenza per la diplomazia
L’Ucraina ha la priorità, quasi l’ossessione, delle armi che vengono a mancarle e presenta una ‘lista della spesa’ alla Nato. La Polonia ed altri oltranzisti anti-Russia e pro-guerra, da Praga ai Baltici, diffidano della missione a Kiev del trio Scholz – Macron – Draghi.
Il negoziatore in capo di Kiev Mikhailo Podolyak twitta: “Abbiamo bisogno di armi pesanti”; e chiede 1.000 obici da 155, 300 sistemi lanciarazzi, 500 tank, 1000 droni, 2000 blindati. E’ poco probabile che le richieste ucraine siano soddisfatte: gli Stati Uniti, ad esempio, hanno finora fornito quattro lanciarazzi mobili. I proclami di Zelensky e dei suoi collaboratori servono, però, a potere attribuire a Nato ed Ue la responsabilità di una sconfitta nel Donbass.
Il Ministero degli Esteri polacco mette in guardia Scholz, Macron e Draghi dall’esercitare pressioni su Zelensky perché faccia concessione alla Russia. Il sottosegretario agli Esteri Marcin Przydacz ricorda che il presidente Andrzej Duda ha da tempo esortato i leader europei a visitare l’Ucraina e ad andare a vedere con i propri occhi Bucha e Borodianka auspicando che la visita possa modificare il loro approccio. Przydacz non “si illude” che ciò basti a cambiare la linea di Scholz, Macron e Draghi, ma non capisce perché l’Ucraina “debba perdonare la Russia”.
Scholz, ha finora centellinato le forniture di armi all’Ucraina: non una sola arma pesante è stata data da Berlino a Kiev. Secondo la Bild, che cita il produttore di armi Rheinmetall, i primi veicoli Marder tedeschi destinati all’Ucraina, mezzi corazzati per la fanteria, sono già pronti, ma manca l’ok del governo tedesco alla loro fornitura. L’azienda sta riparando un centinaio di Marder e alcuni di questi sono già utilizzabili, ma spetta a Berlino decidere se e quando spedirli. Sulla questione interviene anche l’ambasciatore di Ucraina in Germania, Andriy Melnyk, che scrive su Twitter: “Perché ci rifiutate i Marder, mentre l’Ucraina sanguina nel Donbass davanti ai vostri occhi?”
Il capo dello staff di Zelensky, Andriy Yermak, esprime su Twitter l’auspicio che l’Occidente comprenda “l’importanza della forza per trovare la pace e costruire un nuovo ordine mondiale” e tralascia “il desiderio di negoziare un compromesso con quanti ricorrono alla violenza”; e chiede “più armi pesanti e più training operativo per le forze armate ucraine”, aggiungendo “In hoc signo vinces”, citando il sogno di Costantino sulla bandiera ucraina. Kiev dice di avere finora ricevuto solo il 10% delle armi attese dall’Occidente; ed è critica soprattutto nei confronti della Germania.