Questione di giorni, al massimo di settimane: i russi stanno per impadronirsi del Lugansk, un’area del Donbass già autoproclamatasi repubblica separatista filorussa – come il Donetsk -. Non lo dice la propaganda del Cremlino. Lo dicono fonti del Dipartimento della Difesa Usa. L’Ucraina ammette di essere in difficoltà: le unità al fronte sono a corto di munizioni, per contrastare i 50/60 mila proiettili che ogni giorno pioverebbero sulle loro linee. Forse un po’ meno ieri, che russi e filorussi hanno celebrato nei territori occupati la festa nazionale.
Le fonti Usa confermano: gli ucraini stanno subendo perdite molto pesanti – ma l’avanzata dei russi avviene “a caro prezzo” – e le munizioni scarseggiano. La perdita del Lugansk potrebbe però consentire loro di riposizionarsi su una linea del fronte che potrebbero difendere per qualche tempo, sempre che i russi vogliano ancora avanzare. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky fa l’elogio della capacità di resistenza delle sue truppe, che hanno superato tutte le previsioni. Ma aggiunge che “nessuno può dire quanto la guerra potrà continuare”.
Le città di Severodonetsk e Lysychansk sono da tempo sotto forte pressione e potrebbero cadere già in settimana, dicono al Pentagono. I russi colpiscono anche ad Ovest, per intercettare i rifornimenti che giungono all’Ucraina: un raid nell’area di Ternopil ha fatto oltre 20 feriti, secondo fonti locali. Militari filo-russi escludono di dare l’assalto alla Azot, una fabbrica chimica, dove forze ucraine sono asserragliate, e starebbero per fare saltare un terzo ponte
In una domenica che le armi non tacciono, la diplomazia resta molto discreta. Parla il Papa, com’è ovvio, all’Angelus: Francesco rivolge, ancora una volta, il suo pensiero “alla popolazione ucraina afflitta dalla guerra”; e avverte il rischio che il conflitto diventi routine: “Il tempo che passa non raffreddi il nostro dolore e la nostra preoccupazione per quella gente martoriata. Non abituiamoci, per favore, a questa tragica realtà, abbiamola sempre nel cuore, preghiamo e lottiamo per la pace”.
Si lavora sotto traccia alla missione che il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron – ieri per lui era giorno di elezioni politiche – e il presidente del Consiglio Mario Draghi dovrebbero compiere a Kiev prima della stagione dei Vertici estivi, quello europeo (Bruxelles, 22 e 23 giugno) e quello del G7 (Castello di Elmau in Germania, 26/28 giugno). Dopo lo scoop della Bild, fonti diplomatiche avvertono che l’incontro dei tre leader con ilo presidente ucraino Volodymyr Zelensky non dovrebbe essere oggetto di annunci preventivi, per ragioni di sicurezza.
Questa settimana, la Commissione europea intende pronunciarsi sul riconoscimento all’Ucraina dello status di candidato all’adesione: sabato a Kiev, la presidente Ursula von der Leyen s’è esposta in tal senso, spostando l’ostacolo al Vertice europeo: “La sfida è uscirne con una posizione unitaria … Auspico che, guardando indietro fra venti anni, possiamo dire di avere preso la decisione giusta”, mostrando “di non essere timidi e con una mentalità chiusa”.
Sempre questa settimana, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole parlare con Zelensky e con il presidente russo Vladimir Putin, specie della ‘guerra del grano’, un fronte su cui l’Ucraina dice di avere creato due corridoi terrestri attraverso Polonia e Romania, anche se ‘colli di bottiglia’ rallentano la catena di approvvigionamento. Trattative sono in corso con gli Stati baltici per creare un terzo corridoio per l’export alimentare. A Ginevra, dove si riunisce la WTO; l’Organizzazione per il commercio mondiale, l?ue accusa la Russia di essere responsabile del blocco dell’export di grano.
La Cina si mantiene ai margini della diplomazia di pace, ma anche delle logiche di guerra. Parlando allo Shangri-La Dialogue di Singapore sulla sicurezza, il ministro della difesa Wei Fenghe dice che Pechino sostiene i colloqui di pace e si oppone alla fornitura di armi: “totale scetticismo” sull’utilità delle sanzioni e la certezza che “non abbiamo mai dato a Mosca supporto materiale in questo conflitto”.
Negli Stati Uniti, la Casa Bianca evita di rilanciare la polemica innescatasi sabato tra Biden e Zelensky. Anche perché il presidente ha ieri potuto segnare un piccolo, ma insperato, successo sul fronte del controllo delle armi – quelle usate nelle sparatorie a scuola, in ufficio, nei centri commerciali: un gruppo bipartisan di senatori ha raggiunto un’intesa su controlli più stringenti agli acquisti, soprattutto per gli under 21, e ulteriori fondi per la sicurezza delle scuole.
L’accordo incoraggia gli Stati ad adottare leggi ‘red flag’, ovvero norme che consentono alla polizia e alle famiglie di chiedere a un tribunale di privare temporaneamente delle armi qualcuno che potrebbe essere pericoloso per sé e per gli altri. Biden ha commentato: “Non c’è tutto quello che ritengo necessario, ma è un importante passo nella giusta direzione”. Se l’intesa sarà varata in aula, “sarà la più significativa che ha avuto l’ok del Congresso da decenni”.