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Ucraina: Kiev, ‘Senza armi perdiamo’, 200 caduti ogni giorno

Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/06/2022

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La Russia è aperta al dialogo, ma “per ballare il tango bisogna essere in due”. La frase del ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov certifica lo stallo dei negoziati tra Russia e Ucraina, nonostante gli spiragli di ottimismo aperti in settimana dai colloqui di Ankara sul grano. Spazi di dialogo sono però aperti: non tra Mosca e Kiev, ma tra Russia e Usa – l’ambasciatore di Washington a Mosca John Sullivan è stato ricevuto dal vice-ministro russo Sergey Ryabkov – e tra Cina e Usa – c’è l’incontro a Singapore tra i responsabili della Difesa Lloyd Austin e Wei Fenghe -.

Sul terreno, l’Ucraina, le cui perdite stimate dalle intelligence occidentali sono sulle 200 al giorno – sarebbero oltre 20 mila dall’inizio dell’invasione -, perde posizioni, anche se il presidente Volodymyr Zelensky dice: “Severodonetsk, Lysychansk e altre città del Donbass, che gli occupanti considerano ora loro obiettivi primari, sono ancora in piedi”.

In tutto il Donbass. l’esercito russo consolida le proprie linee, specie nella regione di Donetsk. Scrive lo Stato Maggiore ucraino: “Le unità nemiche hanno cercato di effettuare operazioni d’assalto in direzione degli insediamenti di Nyrkove e Mykolaivka. ma l’esercito di Kiev ha contrattaccato, costringendole a ritirarsi con perdite”. Secondo fonti dei separatisti del Lugansk, i circa 800 tra militari e civili rifugiati nello stabilimento chimico Azot trattano una via d’uscita: “Abbiamo spiegato loro che devono deporre le armi e arrendersi; non accettiamo altre condizioni”. E a Mariupol migliaia di tonnellate di semi di girasole e olio sono andate distrutte in un incendio all’impianto Satellite, nel distretto di Livobereahnyi, forse a causa di un errore dei russi che tentavano di ripristinare l’alimentazione elettrica.

Il vice capo dell’intelligence militare ucraina Vadym Skibitsky ammette che l’Ucraina sta perdendo contro la Russia in prima linea e che ora dipende quasi esclusivamente dalle armi provenienti dall’Occidente “per tenere a bada” gli occupanti: “Questa è ormai una guerra di artiglieria. I fronti sono il luogo decisivo e lì stiamo perdendo in termini di artiglieria. Tutto ora dipende da ciò che l’Occidente ci dà”.

E’ un punto dolente. In un’analisi, l’AP rileva che i leader ucraini sono preoccupati che la ‘fatica della guerra’, cioè la stanchezza per il conflitto delle opinioni pubbliche e dei media occidentali, eroda la disponibilità dell’Occidente a sostenerli e li condanni a un progressivo logoramento.

In commenti rilasciati alle tv russe nel 350o anniversario dalla nascita dello zar Pietro il Grande, invece, il presidente russo Vladimir Putin traccia un parallelo tra quelle che descrive come loro imprese storiche gemelle per riconquistare terre russe.

In Vaticano, il Papa ha ricevuto la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha poi visto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. Ne è emerso – riferisce la Santa Sede – “il comune impegno ad adoperarsi per porre fine alla guerra in Ucraina”: particolare l’attenzione “per gli aspetti umanitari e le conseguenze alimentari del protrarsi del conflitto”.

La Francia, il cui presidente Emmanuel Macron s’era attirato aspre critiche da Zelensky, si dice pronta a partecipare a un’operazione” per “sbloccare il porto di Odessa”, e, correggendo il tiro rispetto alla necessità di “non umiliare” la Russia, dice di auspicare che l’Ucraina “vinca” la guerra: “Speriamo che venga ripristinata l’integrità territoriale del Paese e che questa guerra della Russia all’Ucraina cessi il più presto possibile”.

Il premier britannico Boris Johnson ordina ai suoi ministri di fare “tutto ciò che possono” perché siano rilasciati Aiden Aslin e Shaun Pinner, i due mercenari britannici condannati a morte, insieme a un marocchino, da un tribunale della autoproclamata repubblica indipendente del Donetsk. Mosca da questo orecchio non ci sente: Lavrov, richiesto di un commento, parla di una decisione adottata “in base alle leggi della Repubblica del Donetsk” e dice di non potere interferire. Anche se l’ipotesi di uno scambio con i militari russi condannati in Ucraina per crimini di guerra resta valida.

A Singapore, a margine dello Shangri-La Dialogue, Wei e Austin, che non si erano mai incontrati prima, hanno parlato più di Taiwan che di Ucraina. Taiwan – dice Wei – “è parte della Cina e il principio della ‘Unica Cina’ è il fondamento politico delle relazioni sino-americane: è impossibile usare Taiwan per controllare Pechino”; e Austin chiede che la Cina si astenga “dall’attuare ulteriori azioni destabilizzanti nei confronti di Taiwan”; Wei rilancia, Pechino “non esiterà fare una guerra” se Taiwan dichiarerà l’indipendenza. Parole dure; ma, forse più delle frasi un po’ di repertorio, conta che i due si siano visti e parlati.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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