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Ucraina: Severodonetsk in mani russe, Usa stringe su missili e apre a Cina

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 01/06/2022

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Nella guerra in Ucraina, si muovono i fronti militare e diplomatico. Il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov sarà in Turchia l’8 giugno “per discutere di corridoi sicuri” per l’export di grano dall’Ucraina, come gli chiedeva il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sarebbe pronto ad accettare l’iniziativa di Erdogan per un incontro a Istanbul con il leader russo Vladimir Putin e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres: echi di media non ufficialmente confermati.

Sul terreno, le forze russe controllano la maggior parte di Severodonetsk: lo ammettono gli ucraini, secondo cui “si combatte strada per strada” – sarebbero 12 mila i civili intrappolati -. L’intelligence di Kiev dice che Putin vuole completare l’occupazione del Donbass entro il 1° luglio. Un serbatoio di acido nitrico di un’industria chimica è stato colpito in un bombardamento a Severodonetsk; e tre civili sono morti e sei sono rimasti feriti in un attacco missilistico nella notte a Sloviansk.

A Poltova, un tribunale ha condannato due soldati russi a 11 anni e mezzo di reclusione: colpirono con missili multipli due villaggi nella regione di Kharkiv: Alexander Bobykin e Alexander Ivanov hanno “ammesso pienamente la loro colpa e si sono detti pentiti”. Il Parlamento di Kiev ha invece ‘licenziato’ la commissaria per i diritti umani Lyudmila Denisova, molto mediaticamente attiva dall’inizio dell’invasione.

La decisione del presidente Usa Joe Biden di non dare all’Ucraina missili che possano raggiungere il territorio russo delude e irrita il presidente Zelensky. Il capo negoziatore Mykhailo Podoliak depreca su Twitter la debolezza dell’Occidente nell’esercitare pressioni sulla Russia: “La Russia non deve vincere, ma non daremo armi pesanti – potrebbe offendere Mosca -. Putin deve perdere, ma non imponiamo nuove sanzioni. Milioni di persone moriranno di fame, ma non siamo ancora pronti per i convogli militari di scorta al grano. L’aumento dei prezzi non è il peggio che aspetta l’Occidente, con una politica di questo tipo”.

La decisione di Biden non è definitiva, ripetono da lunedì Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Pentagono. Ma Mosca l’ha subito presa per buona e se n’è rallegrata. E Kiev, invece, scalpita, perché i sistemi di missili a medio raggio “sono davvero quelli di cui abbiamo bisogno”, sostiene Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri; e Podoliak gli fa eco in un tweet: “E’ dura battersi quando ti colpiscono da 70 km di distanza e tu non hai nulla con cui rispondere”.

Negli Stati Uniti, le interpretazioni sui motivi della decisione sono discordanti. Il Washington Post la collega alla percezione che le notizie dal fronte non sono incoraggianti per gli ucraini. “Mentre s’avvicina il giorno 100 dall’inizio dell’invasione russa, l’inerzia dei combattimenti nel Donbass sembra favorevole ai russi”, nonostante che l’Ucraina abbia ricevuto abbondanti aiuti militari americani e occidentali.

TheDefensePost riporta, invece, il giudizio del senatore repubblicano Lindsey Graham, un esperto di problemi della difesa e della sicurezza, secondo cui il no di Biden “è un tradimento dell’Ucraina e della stessa democrazia”: “L’Amministrazione Biden s’è lasciata intimidire dalla retorica russa una volta di più”. E, forse, dalla mancanza di fiducia nella saggezza ucraina, visto che Kiev ha già colpito il territorio russo.

In realtà, non si può parlare di marcia indietro, perché il fatto che il nuovo pacchetto di aiuti militari da 40 miliardi di dollari avrebbe incluso anche sistemi di missili a medio raggio era stato anticipato dalla Cnn, ma non era mai stato avallato da fonti ufficiali. Ma la stampa Usa e quella occidentale l’hanno letta in modo univoco, come del resto Al Jazeera (“Biden non manderà in Ucraina missili che possono raggiungere la Russia”).

L’annuncio di Biden e la notizia del Wall Street Journal che Usa e Cina preparano il primo incontro tra i capi della Difesa dei due Paesi, Lloyd Austin e Wei Fenghe, suggeriscono che Washington stia dando un colpo di freno alla politica dello scontro a 360 gradi con Mosca e Pechino.

L’incontro dovrebbe svolgersi a Singapore a margine del Shangri-La Dialogue, conferenza annuale sulla difesa in programma il 10-12 giugno. Austin ha già annunciato che ci sarà, Wei non ancora. L’incontro fra i due avrebbe un significato particolare, dopo che Biden ha prospettato un intervento a difesa di Taiwan in caso di attacco cinese. Nelle ultime tre settimane, ci sono già state telefonate tra i ministri della Difesa e tra i capi di Stato Maggiore Usa e russi.

 

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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