Il Settimanale 2022 2 – NOLA (NAPOLI) – Il 18 marzo 2022, in una casa nella zona rurale di Nola, arrivano a casa della signora Mari Carmen Russillo due donne ospiti. Sono Alina Karpenco, 38 anni, e sua figlia Julyana Karpenco, 12 anni, scappate dall’Ucraina e arrivate in pullman fino in Italia. Accolte presso la famiglia della signora Russillo, possono sentirsi al sicuro, anche grazie all’aiuto di Natasha, un’amica di Alina, spesso in Italia dopo il disastro di Chernobyl: tramite i suoi contatti, è riuscita a farle giungere in salvo. Il marito di Alina è invece rimasto in Ucraina: lavora come autista per portare prodotti e medicine nelle zone di guerra. Abbiamo parlato con la signora Russillo.
D – Dove ha accolto Alina e la figlia?
R – Inizialmente stavano a casa di mia madre, ma, essendo anziana, si è sentita a disagio con delle sconosciute. Quindi dopo circa tre settimane hanno trovato un altro posto in cui stare. È una situazione piuttosto comune: anche chi ha le migliori intenzioni prova questo senso di ‘invasione’, dato che queste persone non si sa quando partiranno.
D – Quando ha cominciato a pensare di ospitare dei rifugiati?
R – Io sono venezuelana, sono abituata ad accogliere persone a casa. Capita spesso che vengano parenti a casa mia e si fermino un mese o più. Quando mi hanno chiesto se potevo ospitare qualcuno, non mi sono tirata indietro.
D – Come funziona il percorso per l’accoglienza? È complicato a livello burocratico?
R – Io non sono passata attraverso associazioni, quindi non so come funzioni. Ho saputo che la famiglia che ospita Natasha cercava un posto per una donna con la figlia, quindi ho parlato direttamente con loro.
D – Ci sono degli aiuti economici per le famiglie ospitanti?
R – Sì. Dovrebbero essere di 300 euro, più 150 euro per ogni bambino. Siccome Alina è rimasta solo tre settimane io non ne ho fatto domanda. Se ne avessi usufruito, li avrei certamente dati ad Alina e alla figlia.
D – Si sente di consigliare l’accoglienza di rifugiati?
R – Se ci sono gli spazi e la quotidianità lo permette decisamente sì: sono esseri umani in difficoltà, che non hanno più nulla. Ad Alina, quando è arrivata, ho dovuto trovare anche dei vestiti, perché aveva con sé solo due pantaloni e due magliette.
D – Quante famiglie hanno dato la loro disponibilità?
R – Io abito in una zona di campagna, dove le case sono grandi, quindi ci sarebbero gli spazi, però pochi si sono offerti.
D – Come è cambiata la vostra quotidianità?
R – In una situazione del genere, viene sempre toccata: in fondo accogli un estraneo in casa tua. Gli ucraini, poi, sono particolari, hanno una cultura diversa. Alina è molto discreta e ben disposta, si è adattata subito. La bambina, invece, è molto timida e questo le ha causato dei problemi.
D – Cosa facevano la signora e sua figlia mentre erano vostre ospiti?
R – Nel periodo in cui è stata a casa mia, Alina ha subito cercato un lavoretto. I primi giorni abbiamo sbrigato le pratiche burocratiche ed iscritto la bambina a scuola. Le avevo fornito due biciclette per spostarsi, per cui portava e riprendeva la figlia da scuola, puliva la sua stanza, sistemava un po’ casa di mia madre per sentirsi utile e preparava il pranzo. Alina ha voluto fin da subito avere una propria indipendenza.
D – Riuscivate a comunicare? Quali erano i principali problemi?
R – Parlavamo tutti in inglese, tranne mia mamma. So che nella famiglia dove sono ora hanno problemi di comunicazione ed anche in altre situazioni è complicato, come a scuola, dove non esistono corsi per insegnare l’italiano ai bambini.
D – Avete mai parlato della guerra?
R – Sì, tante volte. È stato tutto così improvviso, la cosa peggiore per lei è stato andarsene senza sapere se sarebbe riuscita a tornare e se avrebbe ritrovato casa sua.
D – Riuscivano a comunicare con i parenti rimasti in Ucraina?
R – Alina parlava spesso con suo marito, mentre era più difficile con la madre perché nascosta in un bunker.
D – Progettano di rientrare in Ucraina?
R – Alina vorrebbe tornare già a giugno, anche se la situazione continua così. Non vuole restare qui e la figlia ancora meno.
La testimonianza della signora Russillo è una delle tante di come questa guerra scuota la nostra quotidianità: pur avendo un retroterra culturale predisposto all’accoglienza, non nasconde le molte responsabilità di cui bisogna farsi carico, dalle pratiche burocratiche ai beni di prima necessità. Nonostante le difficoltà, a precisa domanda: “Consiglierebbe di accogliere dei rifugiati?”, risponde senza esitazione: “Se ci sono gli spazi e la quotidianità lo permette, decisamente sì”.
di Silvia Frezza, Beatrice Laurenzi, Ludovica Maria Locchi, Alice Migliavacca, Davide Quatrana