Il Settimanale 2022 1 – Halyna Bukhniy vive, da più di 22 anni, a Casapulla in provincia di Caserta. Il 24 febbraio, ha visto invadere la sua nazione, l’Ucraina, da parte dell’esercito russo. I suoi genitori, allo scoppio del conflitto, hanno dovuto lasciare la propria casa e la loro terra per rifugiarsi in Italia. In un secondo momento, tuttavia, hanno deciso di tornare a casa, nonostante le difficoltà e il timore di un’incursione nemica nella propria città.
Questa è anche la storia di tante famiglie che, di punto in bianco, hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni, ridotte in molti casi a un cumulo di macerie, e fuggire con una valigia contenente quel poco che restava dei propri averi. Il bagaglio è divenuto anche il simbolo della campagna lanciata dalla multinazionale svedese IKEA a sostegno dei profughi ucraini.
«Quello che resta della casa di un rifugiato è una valigia […] Insieme possiamo provare a
restituire il calore di una casa a chi l’ha persa» recita il poster dell’azienda esposto all’entrata dei vari punti vendita. A dimostrazione di come il conflitto, apparentemente distante, abbia effetti anche sulla nostra vita quotidiana: il cliente che si reca da IKEA, con l’intenzione di progettare o arredare la propria casa, collide con l’immagine del rifugiato che d’improvviso si ritrova a non avere neanche più un luogo sicuro in cui dormire.
Halyna ci racconta che Ternopil, la sua città di origine distante 130 km da Leopoli, non è
stata tuttora bombardata. Tuttavia, con l’inizio dell’invasione, temendo attacchi da parte
dell’esercito russo, ha convinto i genitori a lasciare il Paese e rifugiarsi in Italia. Nonostante le difficoltà nel trovare autobus o treni liberi, presi d’assalto da chi come loro cercava di
fuggire; diversi ritardi dovuti ai controlli alle frontiere; e un lungo viaggio durato ben quattro giorni, i genitori sono riusciti a raggiungere la figlia.
Il padre e la madre vivono in una casa in campagna dove coltivano la terra e si sostentano grazie all’auto-produzione di frutta e verdura. Lasciare il Paese significava, per loro, mettere a rischio la produzione e non avere cibo per la stagione invernale. Motivo per cui, dopo cinque settimane di permanenza in Italia, rasserenati dal fatto che la propria città non era stata attaccata, hanno deciso di tornare in Ucraina.
Hayna è in contatto con altri connazionali che stanno ospitando tanti altri uomini, donne e
bambini fuggiti, come i suoi genitori, dalla loro patria. Quando le domandiamo cosa pensano di fare i profughi una volta terminato il conflitto e se desiderano tornare in Ucraina, Halyna risponde, con voce commossa: «Sì, tutti vogliono tornare. Non conosco un ucraino che non voglia tornare nel proprio Paese finita la guerra. Pur consapevoli che le case e le città sono state distrutte, vogliono tornare e ricostruire tutto».
Parole che dimostrano un vivo e sentito attaccamento alla propria terra e di come, per tutti loro, il termine “casa” sia associabile ad un solo e unico luogo: l’Ucraina.
L’intervista con Hayna si conclude con una domanda di stampo politico. Le chiediamo quale sia la sua opinione del presidente Volodymyr Zelensky e se, a suo avviso, sarebbe stato meglio preservare la vita dei cittadini. Hayna risponde: «Non è stato lui a chiederci di combattere, è il popolo che ha deciso di intervenire e contribuire, ognuno a suo modo, alla difesa della nazione. Quando i carri armati russi entravano in alcuni paesini, la gente andava anche a mani nude per fermarli, si inginocchiava e pregava i soldati russi di non
avanzare. Il popolo ucraino è così. Sono orgogliosa. Il presidente, pur ricoprendo da poco
questo ruolo, si è dimostrato coraggioso, ha fatto un grande passo e non ha abbandonato la nazione. Altri al suo posto sarebbero andati via».
Saba, di Simona Alba, Alice Lomolino, Benedetta Irrera, Arianna Remoli