Il Settimanale 2022 1 – È il 24 febbraio 2022 quando i media danno la notizia dello scoppio della guerra fra Russia e Ucraina. Una guerra che sta causando il più alto numero di rifugiati dopo la Seconda Guerra Mondiale. In un mondo devastato dalla pandemia, la guerra era l’ultima cosa che si voleva. Gli Stati hanno iniziato a mobilitarsi; le associazioni umanitarie sono partite alla volta dell’Ucraina per aiutare una popolazione già dilaniata da tempo. Sono iniziate le raccolte fondi, raccolte alimentari, raccolte di medicinali per tutta Italia.
A Foligno, l’Associazione LARES (Unione nazionale laureati esperti in Protezione Civile), in intesa con la Consulta di Protezione Civile del Comune di Foligno, ha organizzato una raccolta di derrate alimentari, beni di prima necessità e medicinali. Aiutati dal Gruppo Volontari “Città di Foligno”, dalla Fondazione NC (Fondazione Nazionale Comunicazioni) e in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Aquila, sono riusciti a portare a sostegno della popolazione ucraina 5.6 tonnellate di materiale di prima necessità e 3.5 quintali di farmaci e materiale sanitario da banco. Di questo, abbiamo parlato con Alessio Baldoni, associato LARES.
Alessio, prima di tutto grazie: a te, alle associazioni coinvolte e a tutte le persone che si sono messe in moto per realizzare tutto questo. Nel tuo blog personale, dove hai scritto di questa esperienza, hai parlato di un abbraccio, l’abbraccio di uno sconosciuto. Ti va di parlarne?
Non c’è bisogno di ringraziare me, io sono stato solamente un piccolo ingranaggio di una grande macchina. Non ho fatto altro che caricare dei mezzi, fare l’autista fino a Dołhobyczów-Kolonia, spostare gli scatoloni da un furgone a un altro e di nuovo fare l’autista fino a casa. Il ringraziamento più grande deve andare alle tantissime persone che si sono mobilitate anche solo per comprare una lattina di pomodoro e portarla al centro raccolta più vicino.
Comunque si, l’abbraccio di uno sconosciuto è il titolo che ho voluto dare al post che ho scritto nel mio blog, perché è la cosa che mi ha colpito di più di tutto. Un abbraccio, un gesto così scontato nella vita di tutti i giorni che tante volte nemmeno lo vorremmo.
Ho notato che ci hai messo più di un mese per scrivere di questa esperienza. Come mai così tanto tempo?
Non è stato facile, sai? Perché come fai a descrivere, a parlare della guerra? È una cosa che non abbiamo vissuto sulla nostra pelle, fortunatamente, e quindi è tutto nuovo, un po’ come un bambino che scopre per la prima volta una cosa.
Mentre ero lì, in Ucraina, sinceramente non ci pensavo. Facevo ciò per cui ero partito da qui: scaricavo scatoloni e li ricaricavo in un altro furgone che sarebbe poi partito per andare non so dove. Non provavo nulla, provavo così tante cose da non provare nulla. Pioveva e tirava un vento gelido, un po’ come nelle scene dei film, e quindi l’unica cosa che in quel momento pensavo era di fare in fretta, altrimenti si sarebbe bagnato tutto. Le emozioni sono iniziate a sopraggiungere dopo, una volta ripartito.
E che hai iniziato a provare?
È stato un insieme di emozioni. Dispiacere, rabbia, tristezza, solitudine, stupore. Mi sono fermato a pensare che dentro quegli scatoloni c’erano tutte cose che diamo per scontate. Una mattina ci viene voglia di pasta col sugo, e quindi andiamo al supermercato e compriamo un pacco di pasta, una bottiglia di pomodoro e una volta a casa cuciniamo. Sai quante lattine di pomodoro e pacchi di pasta c’erano dentro quegli scatoloni? Quante cose che pure loro davano per scontate, fino a qualche settimana prima.
Quando siamo arrivati lì, e abbiamo iniziato a tirare giù gli scatoloni, loro si sono accorti che forse non ce l’avrebbero fatta a caricarli tutti, perché avevano mezzi più piccoli e soprattutto ne avevano solamente due, mentre noi eravamo quattro o cinque furgoni. Così ci hanno chiesto di scaricare per prima il cibo e poi, se ci fosse stato spazio, anche i pannolini e i vestiti. Preferivano il cibo al cambiarsi una maglietta sporca e sudata.
È incredibile come il giorno prima vai alla bottega sotto casa a prendere un pacchetto di patatine da mangiare mentre guardi un film e il giorno dopo prendi una busta di plastica, ci metti dentro qualcosa e parti, a piedi, per scappare dalla casa dove sei cresciuto per andare non so dove.
E perchè proprio una busta?
[sorride] Perché mentre scaricavo, ho visto passare una trentina di persone che venivano da non so dove per andare in un posto anche a loro sconosciuto. Non erano solo adulti, alcuni di loro tenevano per mano anche dei bambini. Qualcuno aveva un trolley, altri uno zaino, altri ancora solamente una busta. Mi sono chiesto tante volte cosa ci poteva essere in quelle ‘valigie’. Cibo? Foto? La loro maglietta preferita? E per i bambini? Una magliettina e un paio di scarpe? Il loro gioco preferito? Ma tu, cosa ci metteresti dentro una busta sapendo che sarà l’ultima volta che entrerai in quella casa? Perché poi, proprio dei vestiti e magari delle foto? Non sarebbe meglio prendere invece del cibo a lunga conservazione? È brutto da pensare, figuriamoci da dire: non è meglio che il tuo bambino pianga perché ha perso il suo giocattolo preferito piuttosto che dalla fame o dalla sete? Che strano il nostro istinto di conservazione, pensiamo a prendere la nostra felpa preferita e non il nostro cibo preferito. Il nostro passato che ormai non c’è più.
Ma poi, come glielo spieghi ad un bambino che quella è l’ultima volta che entrerà in quella casa? Come glielo spieghi che il peluche con cui ha dormito fino al giorno prima non è poi così importante?
di Martina Colabianchi, Angela Conte, Angelica Falchi, Federica Monti