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Ucraina: punto, uno Charlot tra Putin e Zelensky, inferno Donbass

Scritto per La Voce e il Tempo uscito il 19/05/2022 in data 22/05/2022 e, in versione diversa, per il Corriere di Saluzzo del 19/05/2022 e per il blog di Media Duemila il 19/05/2022 https://www.media2000.it/ucraina-uno-charlot-tra-putin-e-zelensky/

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“Il cinema non deve restare muto di fronte q quanto accade in Ucraina. L’odio alla fine sparirà e i dittatori moriranno. Siamo in guerra per la libertà”: accolto da una standing ovation, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky parla così, a sorpresa alla cerimonia di apertura del festival di Cannes. Zelensky, attore di professione, cita il ‘Grande Dittatore’ e dice: “Serve un nuovo Chaplin”, il coraggio che il cinema ebbe contro Hitler nel 1940 deve averlo oggi contro il presidente russo Vladimir Putin.

Il discorso di Zelensky a Cannes coincide con un doppio snodo del conflitto ucraino: sul terreno, l’evacuazione dei miliziani dall’Azovstal pone fine alla battaglia di Mariupol; in diplomazia, Finlandia e Svezia fanno passi decisivi verso l’ingresso nell’Alleanza atlantica.

I segnali sono contraddittori. Nonostante la presa di Mariupol, le cose non vanno bene per la Russia: al fronte, l’offensiva nel Donbass è in stallo e, nell’area di Kharkiv, le truppe russe sono arretrate – o sono state ricacciate – oltre il confine; e, nonostante i moniti del Cremlino, l’allargamento della Nato viaggia su un binario veloce.

G7 e Consiglio di Sicurezza dell’Onu si apprestano a discutere dei problemi di sicurezza alimentare del mondo intero, creati dalla guerra. E un incontro tra Putin e il presidente Usa Joe  Biden non è alle viste, né se ne prepara uno fra i responsabili degli Esteri Serguiei Lavrov e Antony Blinken, che non si parlano da febbraio.

“La Russia non ci dà nessun segnale che una conversazione tra Blinken e Lavrov possa essere utile e costruttiva in questo momento”, spiega il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price. Ma contatti ci sono: i responsabili della Difesa Serguiei Shoigu e Lloyd Austin si sono telefonati, magari soprattutto per evitare un allargamento del conflitto per errore; e le rispettive ambasciate “continuano ad avere incontri con le loro controparti”.

Le immagini dei resti di un battaglione russo, intercettato dall’artiglieria anti-carro ucraina mentre cercava di guadare un fiume nel nord-est dell’Ucraina, la settimana scorsa, sembrano documentare lo scontro più sanguinoso di questa guerra per le forze russe: si stima che i militari morti o feriti lì siano stati almeno 400. E – nota la stampa Usa più qualificata – le informazioni sui rovesci militari non vengono solo da voci dell’opposizione, ma pure da blogger russi vicini al Cremlino e sostenitori dell’invasione.

La Russia perde terreno pure in economia, con marchi come Renault e McDonald che se ne vanno, anche se l’Ue le concede respiro sull’energia, non trovando l’accordo sul pacchetto di sanzioni che prevede il blocco dell’import di petrolio. Scrive il New York Times: “La prima fase dell’invasione è stata un fallimento. La seconda fase non va meglio per Mosca … Falliti l’attacco a Kiev e la spallata a Zelensky, i progressi nel Donbass sono modesti…”. Il conflitto s’impantana, senza ancora avere sbocchi.

Riuniti a Berlino lo scorso fine settimana, i ministri degli Esteri dei Paesi della Nato commentano, con pochi distinguo, che l’Alleanza sarà rafforzata dall’allargamento nordico. Il segretario generale Jens Stoltenberg ripete che “l’Ucraina può vincere la guerra”, nota che la Russia “non sta realizzando i suoi obiettivi strategici” e dice che “la Nato è più forte e unita che mai”.

La resa a comando dei miliziani dell’Azovstal e l’incertezza sulla loro sorte

Il presidente Zelensky prova a vedere in una luce positiva la resa dei miliziani ucraini, molti feriti, intrappolati da un mese nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, l’ultima sacca di resistenza ucraina nella città martire: “Stiamo salvando i nostri ragazzi: l’Ucraina ha bisogno di eroi vivi”. Ma la sorte degli evacuati non è chiara.

Lo scontro tra Kiev e Mosca sulla sorte dei miliziani dell’Azov è acuto: la Duma esamina una bozza di risoluzione contro il loro scambio con prigionieri di guerra russi, definendoli “criminali nazisti”, e si prepara a sospendere la moratoria della pena di morte.

C’è incertezza su che cosa aspetta i miliziani ucraini del battaglione Azov: l’autoproclamata Repubblica popolare filo-russa di Donetsk ha nelle sue mani almeno 264 militari ucraini, 51 feriti. Non è chiaro se altri restino dentro e intendano resistere, nonostante l’ordine di cessare le ostilità.

Zelensky dice: “I difensori di Mariupol sono i nostri eroi, sono per sempre nella storia. Mantenendo la posizione all’Azovstal, hanno impedito all’esercito russo di trasferire fino a 17 battaglioni tattici, circa 20.000 soldati, in altre aree, ed evitato la caduta di Zaporizhzhia”. La vice-premier ucraina Iryna Vereshchuk dice che è in corso “un’operazione umanitaria”. L’Oms denuncia un rischio d’epidemia a Mariupol. In un video-messaggio, l’arcivescovo di Kiev Sviatoslav Shevchuk afferma che “170 mila persone soffrono la fame” nella città martire.

“La guarnigione di Mariupol ha compiuto la sua missione di combattimento, il comando militare supremo ordina ai comandanti delle unità di stanza ad Azovstal di salvare le vite dei combattenti”, recita un comunicato dello Stato Maggiore delle Forze armate ucraine.

I feriti sono stati portati in un ospedale della regione di Lugansk: tutti sono prigionieri di guerra e saranno trattati in linea con “le leggi internazionali”, dice il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma non è escluso che alcuni siano perseguiti per crimini di guerra. Il procuratore generale russo chiede alla Corte Suprema di riconoscere il battaglione Azov come “un’organizzazione terroristica” – il caso dovrebbe essere discusso il 26 maggio -.

E la Corte penale internazionale invia 42 investigatori ed esperti per indagare sui crimini di guerra in Ucraina. Mosca vuole un’indagine “indipendente e imparziale” sulla tragedia di Bucha, che Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, considera “una brillante e sanguinosa messa in scena”.

Nato: verso l’adesione di Finlandia e Svezia
La Svezia e Finlandia hanno inviato mercoledì le candidature per l’adesione alla Nato, dopo il voto di martedì del Parlamento di Helsinki (188 sì, 8 no) e la decisione finale del governo di Stoccolma. Giovedì, il presidente Biden ha ricevuto il presidente finlandese Sauli Niinisto e la premier svedese Magdalena Andersson per discutere di sicurezza europea, oltre che del sostegno all’Ucraina. E mercoledì la premier finlandese Sanna Marin è stata a Roma: ha incontrato il premier Mario Draghi e ha poranzato con il segretario del Pd Enrico Letta e il presidente del M5S Giuseppe Conte, i cui punti di vista sull’allargamento dell’Alleanza non coincidono.

Per la Finlandia, il presidente Niinisto dice: “Si apre una nuova era”. La premier Marin nota: “Non possiamo più credere che ci sarà un futuro di pace accanto alla Russia restando da soli”.

La domanda di adesione di Finlandia e Svezia è su un ‘fast track’, un binario veloce: la Casa Bianca è fiduciosa che, nonostante le riserve della Turchia, la Nato possa trovare un consenso unanime, dice la nuova portavoce di Biden Karine Jean-Pierre. Ma non è ancora sicuro che tutto fili liscio, perché il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha riserve sull’ingresso nell’Alleanza di Paesi che proteggono quelli che lui considera terroristi. Ankara chiede che Helsinki e Stoccolma cessino d’accogliere elementi del Pkk: il partito dei lavoratori curdi è un’organizzazione terroristica, almeno a giudizio della Turchia e non solo.

Il segretario di Stato Blinken vedrà il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu a New York: “Siamo fiduciosi che ci sarà un ampio consenso all’ingresso di questi due Paesi nell’Alleanza”, afferma il portavoce del Dipartimento di Stato Price. E truppe finlandesi e svedesi sono già impegnate in manovre della Nato in Estonia.

In segno di reazione, la Russia intende ritirarsi dal Consiglio degli Stati del Mar Baltico, fa sapere Lavrov, che accusa gli Stati occidentali di monopolizzare l’organismo per la cooperazione regionale fondato nel 1992.

Putin dice che “l’espansione della Nato è artificiale”: “La Russia non ha problemi con Finlandia e Svezia, la loro adesione all’Alleanza non è una minaccia per Mosca’, anche se – aggiunge – “l’espansione delle infrastrutture militari in quei Paesi provocherà sicuramente una nostra risposta”. E torna a battere il tasto della ‘denazificazione’: “Kiev fa dei suoi nazisti degli eroi nazionali … L’Occidente chiude un occhio sul neonazismo rampante osservato da tempo in Ucraina”.

Il Cremlino pensa che l’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia “non rafforzi” la sicurezza europea. Altri esponenti russi usano parole più minacciose di quelle di Putin: la Nato “non deve illudersi” che la Russia possa “sopportare l’adesione di Finlandia e Svezia”, dice il vice-ministro degli Esteri Sergei Ryabkov. Che aggiunge: “Garantiremo la nostra”; e parla di un errore che avrà conseguenze “di vasta portata”.

Lo stallo dell’avanzata e dei negoziati


L’accordo sull’evacuazione dalla Azov non ha avuto a caldo sviluppi diplomatici positivi. Anzi, Mosca sostiene che “Kiev si è praticamente ritirata dal processo negoziale” – il vice-ministro degli Esteri russo Andrei Rudenko – e che i colloqui “non si stanno svolgendo in alcuna forma” – Lavrov -. “Spostare il processo negoziale ucraino da Kiev a Washington e a Londra non porterà frutti”.

Dichiarazioni in contrasto con quelle di Zelensky, secondo cui Kiev continua “la massima attività diplomatica in altre aree”. Ma il suo consigliere e capo-negoziatore Mikhailo Podolyak ammette che “il processo negoziale è sospeso: dopo l’incontro di Istanbul a fine marzo, non ci sono stati sviluppi, nessun progresso … Ma ogni guerra finisce al tavolo delle trattative”.

Il portavoce del Cremlino Peskov, martedì, ha fatto dichiarazioni a raffica: “L’esistenza della Russia è irritante per l’Occidente … Gli Stati Uniti si comportano in maniera ostile nei nostri confronti … La Russia è sicura della vittoria e del raggiungimento degli obiettivi prefissati, è sicura che tutto andrà bene… Le azioni dei Paesi occidentali nei confronti della Russia sono una guerra, sarebbe più corretto ora indicare i Paesi non amici come ostili”.

Al Vertice di Madrid a fine giugno, la Nato potrebbe riferirsi alla Russia non più come “partner”, ma come “minaccia diretta” nel documento strategico, che viene messo a punto in questi giorni e che sarà lì approvato. Gli alleati intendono mantenere aperta l’opzione di un rilancio delle relazioni se il comportamento di Mosca cambiasse. Il documento strategico delinea le priorità politiche dell’Alleanza: la versione precedente, datata 2010, qualificava la Russia come “partner”.

Dopo essere stato domenica a Berlino, alla riunione della Nato, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba era lunedì a Bruxelles, all’Ue, per fare lobbying per le sanzioni alla Russia e anche per sollecitare ulteriori forniture di armi e il riconoscimento all’Ucraina dello statuto di candidata all’adesione.

L’Ue, intanto, studia se e come permettere di pagare il gas alla Russia senza violare le sanzioni. E continua a discutere sull’embargo al petrolio russo, misura inserita nel sesto pacchetto di sanzioni annunciato a inizio maggio e tuttora bloccato: una soluzione non pare vicina e la questione, dicono fonti Ue, “resta complessa”. E’ possibile che il sesto pacchetto sia ‘spacchettato’ in due tempi, rinviando lo stop al greggio a un secondo momento.

A Bruxelles, i ministri della Difesa del 27 hanno varato l’hub europeo per l’innovazione militare: è il primo risultato concreto del piano di difesa europeo, ha detto il ‘ministro degli Esteri’ dell’Ue Josep Borrell al termine del Consiglio dei Ministri della Diufesa dell’Ue.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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