La guerra in Ucraina è in stallo sul terreno; la diplomazia è in fermento, non sempre con l’obiettivo della pace. La Finlandia ufficializza la domanda d’adesione alla Nato; la Svezia si appresta a farlo dopo che, ieri, il Partito socialdemocratico che guida il governo di Stoccolma ha dato il suo avallo all’ingresso nell’Alleanza atlantica: la domanda formale potrebbe essere presentata già domani, se oggi ci sarà l’ok del Parlamento.
Riuniti a Berlino, i ministri degli Esteri dei Paesi della Nato commentano, con pochi distinguo, che l’Alleanza uscirà rafforzata dall’allargamento nordico. Il segretario generale Jens Stoltenberg ripete che “l’Ucraina può vincere la guerra” – la Russia “non sta centrando i suoi obiettivi strategici” – e che “la Nato è più forte e unita che mai”.
Per la Finlandia, il presidente Sauli Niinisto dice: “Si apre una nuova era”. La premier Sanna Marin nota: “La minaccia nucleare è molto seria, non possiamo più credere che ci sarà un futuro di pace accanto alla Russia restando da soli”.
E’ diffusa la convinzione che le riserve della Turchia siano superabili. Ankara, però, chiede che Helsinki e Stoccolma cessino il sostegno al Pkk: il partito curdo è un’organizzazione terroristica, per il governo turco. Stoltenberg si mostra “fiducioso” e assicura “garanzie di sicurezza a Svezia e Finlandia anche nella fase di candidatura”. Fonti dell’Alleanza sottolineano “il clima costruttivo” dell’incontro di Berlino, nonostante che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu rinnovi le pressioni perché i Paesi nordici “smettano di sostenere i terroristi del Pkk”.
Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che era a Berlino, ha incontrato il segretario di Stato Usa Antony Blinken e ha poi riferito, in un tweet, che “sono in arrivo più armi e più aiuti”. Ucraina e Usa intendono “lavorare insieme per garantire che le esportazioni ucraine di derrate alimentari raggiungano i consumatori in Africa e Asia”.
Al Vertice di Madrid a fine giugno, la Nato potrebbe riferirsi alla Russia non più come “partner”, ma come “minaccia diretta” nel documento strategico, che viene messo a punto in questi giorni e che sarà lì approvato. Gli alleati intendono mantenere aperta l’opzione di un rilancio delle relazioni se il comportamento di Mosca cambiasse. Il documento strategico delinea le priorità politiche dell’Alleanza: la versione precedente, datata 2010, qualificava la Russia come “partner”.
L’Ue, intanto, studia se e come permettere di pagare il gas alla Russia senza violare le sanzioni. Secondo le regole in vigore, il pagamento deve essere effettuato in euro o dollari. Si cerca, però, una ‘exit strategy’ tra norme dell’Ue e pretese della Russia. Sulla questione, i 27 sono ancora divisi tra chi concorda sull’esigenza di una scappatoia e chi si richiama alla certezza delle regole. E, sottotraccia, si continua a discutere a Bruxelles sull’embargo al petrolio russo, una misura inserita nel sesto pacchetto di sanzioni annunciato a inizio maggio e tuttora bloccato: una soluzione non appare vicina e la questione, dicono fonti Ue, “resta complessa”. E’ possibile che il sesto pacchetto sia ‘spacchettato’ in due tempi, rinviando lo stop al greggio ad un secondo momento.
Fuori dalle reticenze della diplomazia e dal linguaggio delle sanzioni, le parole di Papa Francesco: all’Angelus, dopo la canonizzazione di dieci nuovi santi, il pontefice auspica “soluzioni di dialogo nel cuore e nella mente di quanti ricoprono incarichi di grande responsabilità e sono chiamati ad essere protagonisti di pace e non di guerra, mentre tristemente nel mondo crescono le distanze e aumentano le tensioni e i conflitti”.
Sul terreno, i miliziani asserragliati nell’acciaieria Azovstal a Mariupol si dichiarano “pronti alla battaglia finale”, dopo che i negoziatori di Mosca hanno chiarito che gli uomini del battaglione Azov non possono usufruire di salvacondotti umanitari. Fonti ucraine riferiscono che i russi hanno utilizzato bombe incendiare o al fosforo sull’impianto industriale: “L’inferno è sceso sulla terra alla Azovstal”.
Nell’aritmetica degli orrori del conflitto, che ogni giorno aggiorna le sue cifre, i bambini ucraini uccisi dall’inizio dell’invasione solo saliti a 227, con 420 feriti – cifre ovviamente provvisorie -. Bombe e missili russi hanno danneggiato 1.748 istituzioni educative e ne hanno distrutte 144.
Nonostante le atrocità della guerra, la vittoria, sabato notte, della Kalush Orchestra nell’Eurovision Song Contest ha suscitato in Ucraina un moto di orgoglio e entusiasmo: “Il nostro coraggio impressiona il mondo, la nostra musica conquista l’Europa”, commenta il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che vuole organizzare l’edizione 2023 in una Mariupol ricostruita. E la band diffonde un video della canzone premiata, ‘Stefania’, girato a Borodyanka, Irpin, Bucha, Gostomel, città martiri dell’occupazione russa: “Come ogni ucraino – dicono – siamo pronti a combattere, come possiamo e fino a quando possiamo”.
La valenza politica dell’Eurovision 2022 ha coinvolto la Nato, che parla “dell’immenso supporto per l’Ucraina” e di un messaggio al presidente russo Vladimir Putin, che “questa è la guerra più cinica e brutale dalla Seconda Guerra Mondiale”. Ma anche la Russia vi ha prestato attenzione, se è vero che la competizione è stata oggetto di attacchi informatici “provenienti dell’estero”, soprattutto da hackers riconducibili a Mosca.